Articolo pubblicato originariamente su The Palestine Chronicle e tradotto dall’inglese da Aldo Lotta per Zeitun
di Ramzy Baroud & Romana Rubeo
Noam Chomsky. Foto: Nuclear Age Peace Foundation, via Wikimedia Commons
Questo è, secondo il socialista italiano Antonio Gramsci, l’”interregno” – il momento raro e sismico della storia in cui si verificano grandi cambiamenti, quando degli imperi crollano e altri nascono, con la conseguenza di nuovi conflitti e battaglie.
L’”interregno” gramsciano, tuttavia, non è un passaggio facile, perché questi profondi cambiamenti spesso incarnano una “crisi”, che “consiste proprio nel fatto che il vecchio sta morendo e il nuovo non riesce a nascere”.
“In questo interregno compare una grande varietà di sintomi morbosi”, scrisse l’intellettuale antifascista nei suoi famosi “Quaderni dal carcere”.
Anche prima della guerra Russia-Ucraina e del successivo aggravamento della crisi Russia-NATO il mondo stava chiaramente vivendo una sorta di interregno: la guerra in Iraq, la guerra in Afghanistan, la recessione globale, la crescente disuguaglianza, la destabilizzazione del Medio Oriente, la ‘primavera araba’, la crisi dei profughi, la nuova ‘spartizione dell’Africa’, il tentativo statunitense di indebolire la Cina, l’instabilità politica degli stessi USA, la guerra alla democrazia e il declino dell’impero americano.
Gli eventi recenti, tuttavia, hanno finalmente dato a questi cambiamenti sconvolgenti una maggiore chiarezza, con la Russia che si è mossa contro l’espansione della NATO e con la Cina e altre economie emergenti – le nazioni BRICS [associazione che vede riuniti al suo interno cinque Paesi caratterizzati da un’economia in forte ascesa: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, con recente richiesta di adesione da parte di Argentina e Iran, ndt.].
Per riflettere su tutti questi cambiamenti e altro ancora abbiamo parlato con l’intellettuale “più citato” e rispettato al mondo, il professor Noam Chomsky del MIT [Massachusetts Institute of Technology, una delle più importanti università di ricerca del mondo, ndt.]
L’obiettivo principale della nostra intervista era di esaminare le sfide e le opportunità che la lotta palestinese deve affrontare durante questo “interregno” in corso. Chomsky ha scambiato con noi le sue opinioni sulla guerra in Ucraina e le sue vere cause profonde.
Tuttavia l”intervista si è concentrata in gran parte sulla Palestina, sulle opinioni di Chomsky riguardo il linguaggio, le tattiche e le soluzioni connesse alla lotta e alla questione palestinesi. Di seguito sono riportati alcuni dei pensieri di Chomsky su questi problemi, tratti da una conversazione più lunga che può essere visualizzata qui.
Chomsky sull’apartheid israeliano
Chomsky crede che chiamare le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi “apartheid” sia in realtà un “regalo per Israele”, almeno se per apartheid si intende l’apartheid in stile sudafricano.
“Ho sostenuto per molto tempo che i Territori Palestinesi Occupati sono molto peggio del Sud Africa. Il Sudafrica aveva bisogno della sua popolazione nera, faceva affidamento su di loro”, dice Chomsky, aggiungendo: “La popolazione nera costituiva l’85% della popolazione. Era la forza lavoro; il paese non poteva funzionare senza quella popolazione e, di conseguenza, hanno cercato di rendere la loro situazione più o meno tollerabile da parte della comunità internazionale. (…) Speravano in un’approvazione internazionale, che non hanno ottenuto”.
Quindi, se i Bantustan [territori del Sudafrica e della Namibia assegnati alle etnie nere dal governo sudafricano nell’epoca dell’apartheid, ndt.] erano, secondo Chomsky, “più o meno vivibili”, lo stesso “non vale per i palestinesi nei Territori Occupati. Israele vuole solo sbarazzarsi delle persone, non le vuole. E le sue politiche degli ultimi 50 anni, con poche variazioni, hanno in qualche modo reso la vita invivibile, in modo che le persone vadano da qualche altra parte”.
Queste politiche repressive si applicano all’intero territorio palestinese: “A Gaza, (loro) [Israele, ndt.] li annientano e basta”, dice Chomsky. “Ci sono oltre due milioni di persone che ora vivono in condizioni orribili, sopravvivono a malapena. Le organizzazioni di sostegno dei diritti internazionali affermano che probabilmente fra un paio d’anni non saranno nemmeno in grado di sopravvivere. (…) Nei Territori Palestinesi Occupati, in Cisgiordania, le atrocità (si verificano) ogni giorno”.
Chomsky pensa anche che Israele, a differenza del Sudafrica, non stia cercando l’approvazione della comunità internazionale. “La sfrontatezza delle azioni israeliane è piuttosto sorprendente. Fanno quello che vogliono, sapendo che gli Stati Uniti li sosterranno. Bene, questo è molto peggio di quello che è successo in Sud Africa; non è un tentativo di accogliere in qualche modo la popolazione palestinese come forza lavoro subordinata, è solo [un tentativo, ndt.] di sbarazzarsene”.
Chomsky sulla nuova unità palestinese
Gli eventi del maggio 2021 e l’unità popolare tra palestinesi costituiscono, secondo Chomsky, “un cambiamento molto positivo”. “Per prima cosa, ciò che ha gravemente ostacolato la lotta palestinese è il conflitto tra Hamas e l’OLP [le due principali organizzazioni politiche palestinesi che competono per garantirsi il controllo dei territori palestinesi, ndt.]. Se non viene risolto, ciò costituisce un grande regalo ad Israele”.
Secondo Chomsky i palestinesi sono comunque riusciti a superare la frammentazione territoriale: “Inoltre, la divisione tra i confini legali” che separa Israele dall’”area larga della grande Palestina” è sempre stata un ostacolo all’unità palestinese. Ora questo viene superato, poiché la lotta dei palestinesi “si sta trasformando nella stessa lotta. I palestinesi sono tutti nella stessa barca”.
“Tuttavia la descrizione di B’tselem e Human Rights Watch [organizzazioni per i diritti umani, la prima israeliana, la seconda internazionale, ndt.] dell’intera regione come regione di apartheid – anche se non sono del tutto d’accordo con la definizione per i motivi che ho menzionato, perché penso che non sia abbastanza dura – è un passo verso il riconoscimento che c’è qualcosa di fondamentalmente in comune all’interno di tutta quest’area”.
“Quindi penso che questo sia un passo positivo. È saggio e promettente per i palestinesi riconoscere che “siamo tutti sulla stessa barca”, comprese le comunità della diaspora. Sì, è una lotta comune”, conclude Chomsky.
Chomsky su uno Stato o due Stati
Sebbene negli ultimi anni il sostegno a uno Stato unico sia cresciuto in modo esponenziale, al punto che un recente sondaggio dell’opinione pubblica condotto dal Jerusalem Media and Communication Center (JMCC) [organizzazione no profit costituita da giornalisti e ricercatori palestinesi impegnata nella diffusione di informazioni e nella realizzazione di sondaggi su fatti e temi riguardanti la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, e la Striscia di Gaza, ndt.] ha concluso che la maggioranza dei palestinesi in Cisgiordania è attualmente favorevole alla soluzione ad un unico Stato, Chomsky mette in guardia contro discussioni che non diano priorità alla questione più urgente riguardante l’obiettivo coloniale di Tel Aviv per un “grande Israele”.
“Non dovremmo illuderci nel pensare che le cose stiano evolvendo verso la realizzazione di uno Stato unico o di una confederazione, come ora viene argomentato da parte della sinistra israeliana. Non ci si sta muovendo in quella direzione, non è nemmeno un’opzione per ora. Israele non la accetterà mai finché avrà l’opzione di un grande Israele. E, inoltre, nella comunità internazionale non c’è nessun sostegno per tale opzione, da parte di nessuno. Nemmeno degli Stati africani”.
“I due Stati, beh, possiamo parlarne, ma bisogna riconoscere che si deve lottare contro l’opzione attualmente in gioco di un grande Israele”. In effetti, secondo Chomsky, “gran parte della discussione su questo argomento mi sembra fuori luogo”.
“È soprattutto un dibattito tra soluzione a due Stati o a uno Stato che tiene fuori l’opzione più importante, l’opzione in gioco, quella che viene perseguita, ovvero un grande Israele. La costituzione di un grande Israele, per cui Israele si impossessa di tutto ciò che vuole in Cisgiordania, schiaccia Gaza e annette – illegalmente – le alture del Golan siriano .., prende semplicemente ciò che vuole, impedisce le concentrazioni di popolazioni palestinesi in modo da non incorporarle. Non vogliono i palestinesi a causa di quello che viene chiamato lo Stato ebraico democratico, la pretesa di uno Stato ebraico democratico in cui lo Stato è lo Stato sovrano del popolo ebraico. Quindi, il mio Stato, ma non lo Stato di una manciata di abitanti di un villaggio palestinese”.
Chomsky continua: “Per mantenere questa pretesa, è necessario mantenere un’ampia maggioranza ebraica, per cui si può in qualche modo fingere l’assenza di repressione. Ma in tal modo la politica è quella di un grande Israele, in cui non ci sarà alcun problema demografico. Le principali concentrazioni di palestinesi sono emarginate in altre aree, in pratica vengono espulse”.
Chomsky su BDS e Solidarietà Internazionale
Abbiamo anche chiesto a Chomsky la sua opinione sulla crescente solidarietà con i palestinesi nella scena internazionale e sui social media e sul sostegno alla lotta palestinese da parte di molte personalità pubbliche e celebrità.
“Non credo che le celebrità popolari significhino così tanto. Ciò che conta è ciò che sta accadendo tra la popolazione in generale negli Stati Uniti. In Israele, purtroppo, la popolazione si sta spostando a destra. È uno dei pochi Paesi che conosco, forse l’unico, in cui i giovani sono più reazionari dei più anziani”.
“Gli Stati Uniti stanno andando nella direzione opposta”, continua Chomsky, poiché “i giovani sono più critici nei confronti di Israele e sempre più favorevoli ai diritti dei palestinesi”.
Per quanto riguarda il movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS), Chomsky ha riconosciuto il ruolo significativo svolto dal movimento di base globale, sebbene abbia notato che il BDS “ha risultati non sempre positivi”. Il movimento dovrebbe diventare “più flessibile (e) più attento agli effetti delle azioni”, osserva Chomsky.
“Le basi ci sono”, conclude Chomsky. “È necessario pensare attentamente a come svilupparle”.
– Il dottor Ramzy Baroud è un giornalista e caporedattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out” [La nostra visione per la liberazione: parlano i leader palestinesi e gli intellettuali coinvolti”. Baroud è ricercatore anziano associato presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA) [Centro no profit di ricerca sociale e politica sul mondo islamico, con sede ad Istambul, ndt.]. Il suo sito web è www.ramzybaroud.net
– Romana Rubeo è una scrittrice italiana e caporedattrice di The Palestine Chronicle. I suoi articoli sono apparsi su molti giornali online e riviste accademiche. Ha conseguito una master in Lingue e Letterature Straniere ed è specializzata in traduzione audiovisiva e giornalistica.
Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…