Articolo pubblicato originariamente su Haaretz e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto
Cinque adolescenti palestinesi sono andati a fare una scampagnata, forse solo per fare un’escursione, come si suol dire. O forse per lanciare pietre contro le auto. I soldati israeliani gli hanno teso un’imboscata e scatenandogli addosso una tempesta di fuoco, uccidendone uno e ferendo gli altri, uno gravemente.
Di Gideon Levy e Alex Levac
Il villaggio, la strada, il muro della casa e le pareti della stanza del defunto, ora sono tutti adornati da due ritratti: uno dello zio, Wilyam Rimawi, che è stato incarcerato in una prigione israeliana per 21 anni, e l’altro del nipote morto, Diaa Rahmi, 16, che non ha mai conosciuto.
Wilyam è stato arrestato nel 2002 e condannato a 30 anni di carcere per una serie di reati contro la sicurezza che includevano tentato omicidio e possesso illegale di un’arma. Diaa è stato colpito e ucciso durante un’imboscata delle Forze di Difesa Israeliane un mese fa. I tre proiettili che lo hanno colpito alle spalle mentre fuggiva hanno messo fine alla sua giovane vita.
La madre di Wilyam Rimawi, che è la nonna di Diaa, la prossima settimana andrà a trovare suo figlio in prigione e gli racconterà del nipote morto che non ha mai conosciuto. L’ultima volta che la nonna Fawziya, 64 anni, ha visitato Wilyam è stato il giorno prima che suo nipote venisse ucciso. Ci sono stati momenti in cui tutti e quattro i suoi figli sono stati imprigionati contemporaneamente. Ora i ritratti di suo figlio e suo nipote sono appesi fianco a fianco nella sua casa nel villaggio di Beit Rima, nella Cisgiordania centrale, dove vive la sua famiglia allargata.
Dieci giorni prima dell’uccisione di Diaa, Beit Rima perse altri due figli: Jawad e Zafer Rimawi, fratelli rispettivamente di 22 e 19 anni, furono uccisi dai soldati prima dell’alba del 29 novembre, durante una visita al villaggio di Kafr Ein. I soldati sospettavano che uno di loro gli avesse lanciato contro una bottiglia incendiaria, e quando suo fratello ha cercato di trascinarlo via hanno sparato a morte anche a lui.
Ora Beit Rima piange anche per Diaa, uno studente di terza superiore. Anche quattro dei suoi amici sono rimasti feriti nello stesso incidente, avvenuto l’8 dicembre. Uno di loro, Hisham Taha, 17 anni, è stato ricoverato in ospedale, arrestato e rilasciato su cauzione lunedì, dopodiché è stato trasferito all’Ospedale Arabo Istishari di Ramallah, dove rimane in gravi condizioni.
Nel pomeriggio di quello stesso giovedì, cinque amici di Beit Rima hanno terminato la scuola, quattro di loro stanno prendendo lezioni preparatorie per gli esami di maturità di fine anno, e sono partiti per il vicino villaggio di Aboud. Diaa, un anno più giovane degli altri, aveva una mashtuba, un’auto senza documenti, che aveva comprato per 1.500 shekel (400 euro) dai suoi risparmi; il gruppo vi si strinse all’interno.
I giovani di Beit Rima, un villaggio senza insediamenti israeliani nelle vicinanze, si recano spesso in località vicine come Aboud, Nabi Saleh e Kafr Ein, per prendere parte ad attività di protesta e di resistenza. Potrebbe essere stato anche il caso di questi giovani, ma lo negano. Raccontano di aver fatto un’escursione naturalistica, per divertirsi nel fine settimana, che per loro inizia il giovedì pomeriggio. Ad Aboud, hanno fatto salire un altro amico, quindi erano in sei.
Parcheggiarono sul ciglio di una strada sterrata alla periferia di Aboud e iniziarono a risalire a piedi. La strada è più o meno parallela all’autostrada 465, che i coloni chiamano Trans-Binyamin Road; una torre di guardia dell’IDF la sovrasta. A metà salita uno dei ragazzi si è accorto di aver dimenticato il cellulare e tornò a prenderlo. Questo apparentemente lo salvò. Ora erano cinque.
Erano avanzati di circa 200 metri dalla loro auto quando, all’improvviso, risuonò un singolo colpo. Subito dopo, senza preavviso, il gruppo è stato colpito da un pesante fuoco incrociato. Un attimo prima non avevano visto nessun soldato nella zona, come ci racconterà poi A., che è rimasto ferito e ora si sta riprendendo a casa.
Sferzava un vento freddo martedì di questa settimana quando abbiamo visitato il luogo in cui gli adolescenti sono stati uccisi, insieme a Iyad Hadad, un ricercatore sul campo del gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem. Volevamo vedere meglio l’autostrada e la torre di guardia. Per ragioni di sicurezza, non ci siamo avvicinati troppo. Un’ora prima, all’ingresso di Nabi Saleh, due soldati armati di fucili pesanti e con atteggiamento intimidatorio si erano avvicinati a noi, chiedendo di sapere cosa stessimo facendo.
Torniamo ai giovani. I soldati si erano nascosti tra un appezzamento di ulivi e la strada principale in attesa di un’imboscata. Diaa e il suo amico Hisham Taha furono colpiti per primi. A. ricorda che gli amici cercarono di soccorrere Diaa, probabilmente morto sul colpo, dopo essere stato raggiunto alle spalle da tre proiettili, e Hisham, colpito da ancora più proiettili ma sopravvissuto, mentre i soldati continuarono a sparare e gli altri furono costretti a fuggire per salvarsi la vita.
A. è stato colpito alla coscia, il proiettile ha lasciato una formidabile lacerazione, come abbiamo visto questa settimana in una fotografia, ma è riuscito comunque a fuggire e si è accorto effettivamente di essere stato colpito solo dopo che il suo amico M., anch’egli ferito, lo chiamò per chiedere aiuto. A. sentì improvvisamente dolore alla gamba e vide che stava sanguinando. Due soldati inseguirono il gruppo e gli spararono, finché non desistettero e si ritirarono.
I soldati raccolsero il corpo di Diaa e di Hisham gravemente ferito. Un passante palestinese ha detto al ricercatore Hadad che poco tempo dopo ha visto i soldati trasferire un corpo avvolto in coperte di lamina di Mylar, insieme a una persona ferita intubata, da un’ambulanza all’altra in una stazione di servizio vicino alla cittadina di Rantis, a Ovest di Aboud.
I due giovani feriti che erano fuggiti, A. e M., insieme al loro amico di Aboud e l’altro adolescente che era andato a recuperare il suo telefono, hanno usato l’auto di Diaa per raggiungere velocemente la clinica di Aboud, ma era già chiusa. Si sono diretti allora alla clinica di Beit Rima, dove gli sono stati prestati i primi soccorsi; da lì sono stati trasferiti all’Ospedale Istishari di Ramallah.
Abbiamo incontrato A. questa settimana a casa sua a Beit Rima. Era sdraiato accanto a una stufa a spirale e ha ancora bisogno di una stampella per camminare. È un giovane di bell’aspetto che spera che le sue ferite non influenzino negativamente i suoi esami di maturità. Dopo che ce ne siamo andati, ha detto che avrebbe fatto visita a Hisham, che è stato rilasciato lunedì.
Hisham è stato inizialmente portato dall’esercito all’Ospedale Beilinson di Petah Tikva, e poi trasferito al Centro Medico Pediatrico Schneider; nei suoi confronti è stato emesso un ordine di custodia cautelare. Un tribunale ha esteso la sua custodia cautelare due volte, per otto giorni ogni volta, durante tutto il suo periodo di ospedalizzazione. Soffre ancora di ferite agli arti e a diversi organi vitali; apparentemente è stato colpito da almeno cinque proiettili. Il suo modulo di ammissione allo Schneider cita: “Era coinvolto in attività terroristiche contro i soldati dell’IDF. Riferisce che era con amici che lanciavano pietre e giocava con il suo telefono. Sentiva di essere stato ferito. Non ricorda come è arrivato allo Schneider”.
Hisham ha successivamente ricevuto ulteriori cure presso l’infermeria del Servizio Carcerario Israeliano nella prigione di Ramle. Dopo essere stato rilasciato da lì questa settimana su cauzione di 5.000 shekel (1.345 euro), è stato trasferito direttamente all’Ospedale Istishari.
Questa settimana abbiamo chiesto all’Unità del Portavoce dell’IDF perché i giovani fossero stati sottoposti a un fuoco così pesante. Questa è stata la risposta: “L’8 dicembre, un gruppo di sospetti ha lanciato pietre e bottiglie di vernice a veicoli che viaggiano sull’autostrada 465, nel settore di competenza della Brigata territoriale Ephraim. I soldati dell’IDF che si trovavano nell’area stavano conducendo attività pianificate per proteggere le strade della zona hanno sparato colpi in direzione dei sospetti. A seguito dell’incidente è stata aperta un’inchiesta da parte dell’Unità Investigativo della Polizia Militare. Dopo le sue conclusioni, i risultati saranno inviati per ulteriori indagini alla Procura Militare.
Il lutto non è cessato a casa di Diaa. Sua madre, Yusra, 34 anni, è vestita di nero e indossa un ciondolo con le fotografie di suo figlio, il maggiore, di una famiglia di due figlie e ora due figli, su entrambi i lati: su uno, c’è una foto di Diaa che bacia Yusra; dall’altra, di lei e del figlio defunto, presso la sua tomba. La sorella di Diaa, Noor, anche lei vestita di nero, indossa lo stesso ciondolo. Il loro padre, Mohammed, 40 anni, che lavora in agricoltura nel Nord della Cisgiordania, non era a casa quando gli abbiamo fatto visita.
La mattina della sua morte, sua sorella ricorda che Diaa si è svegliato presto ed è andato a scuola. Al suo ritorno si è recato, come di consueto, nell’appartamento dei nonni, annesso a quello della sua famiglia, per aiutare a fare il bagno al nonno paterno, il sessantanovenne Shafiq. Shafiq si è ammalato di demenza circa sei mesi fa; questa settimana, quando è entrato in soggiorno, indossando una galabia e una kefiah, ha agitato il bastone e ha gridato minacciosamente alla famiglia. Sua moglie, Anisa, 71 anni, era al suo fianco; Anche l’altra nonna di Diaa, Fawziya, sedeva sul divano della famiglia in lutto.
Dopo che Diaa ha aiutato suo nonno, se n’è andato senza dire dove stava andando o quando sarebbe rientrato. Non è mai tornato.
Nel pomeriggio, Yusra ha detto che suo fratello Tareq l’ha chiamata per chiederle se sapeva dove fosse Diaa. Lei ha risposto che era uscito qualche tempo prima e non era tornato a casa, dopodiché suo fratello l’ha raggiunta a casa e le ha dato l’amara notizia.
Un membro delle forze di sicurezza palestinesi gli aveva inviato una fotografia del volto dell’adolescente deceduto, che aveva ricevuto dall’IDF a scopo di identificazione. Gli israeliani hanno consegnato il corpo alla famiglia la sera stessa al posto di blocco di Rantis. Diaa è stato sepolto nel villaggio il giorno successivo.
In un atto insolito tra i palestinesi, Yusra ha partecipato al funerale di suo figlio e ha persino aiutato a trasportare il suo corpo. Una triste fotografia la ritrae accanto al volto scoperto del figlio morto.
“Volevo accompagnare mio figlio fino all’ultimo momento”, ci ha detto questa settimana. “Alla tomba. Non volevo sentirmi in colpa per non esserci quando è stato sepolto.”
La madre in lutto ha aggiunto di essere svenuta quando il corpo è stato portato a casa prima del funerale. In seguito, le sue gambe l’hanno semplicemente portata alla tomba e nessuno l’ha fermata.
“Era un ragazzino, perché l’hanno ucciso?” ha chiesto questa settimana. “Aveva 16 anni e non sapeva ancora niente”.
“Diciamo che ha lanciato pietre”, chiese suo fratello Tareq, nascondendo a malapena il suo dolore. “Chi spara a un gruppo di ragazzini? Pensano che le nostre vite valgano così poco? Che non amiamo la vita? Che non amiamo i nostri figli? Cosa ha fatto? E se anche avesse lanciato pietre?”
La famiglia in seguito ci raccontò che a Diaa piacevano le colombe bianche, e quando gli veniva chiesto perché, diceva: “La colomba ci porta la pace. La colomba ci porta un Paese senza posti di blocco e senza occupazione”.
Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.
Alex Levac è diventato fotografo esclusivo per il quotidiano Hadashot nel 1983 e dal 1993 è fotografo esclusivo per il quotidiano israeliano Haaretz. Nel 1984, una fotografia scattata durante il dirottamento di un autobus di Tel Aviv smentì il resoconto ufficiale degli eventi e portò a uno scandalo di lunga data noto come affare Kav 300. Levac ha partecipato a numerose mostre, tra cui indiani amazzonici, tenutesi presso l’Università della California, Berkeley; la Biennale israeliana di fotografia Ein Harod; e il Museo di Israele a Gerusalemme. Ha pubblicato cinque libri.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…
Fermate le guerre,le armi e le ingiustizie,creiamo un mondo più giusto con rispetto dell’ambiente e di ogni persona.