Gli israeliani non hanno un’altra patria?

Articolo pubblicato originariamente su Haaretz e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto

Di Gideon Levy

Il lamento nazionale del giorno è “Non ho nessun’altra Patria”. I francesi hanno un’altra Patria, così come gli svedesi, i tedeschi, i congolesi e gli indiani. Solo i poveri israeliani, solo loro, non hanno un’altra Patria, e mi si spezza il cuore. Che nazione miserabile è, che non ha altra Patria, e questo le dà il diritto di fare quello che vuole perché, in fondo, “non ha altra Patria”, tanto è sventurata. I palestinesi non hanno nemmeno una Patria, ma gli israeliani si lamentano di non avere un’altra Patria. Che cosa terribile.

La bellissima canzone, la poesia di Ehud Manor che Corinne Allal ha messo in musica, è stata scelta la scorsa settimana come canzone preferita dagli israeliani in un sondaggio congiunto condotto da Radio Kan Gimel e dal quotidiano Israel Hayom, per la Giornata dell’Indipendenza. Questa cantilena viene cantata ad ogni manifestazione e il testo della canzone si legge dai grandi schermi elettronici dei grattacieli sedi di alcune grandi imprese edili, il loro coraggioso contributo alla lotta contro il Colpo di Stato giudiziario.

L’affascinante, talentuoso e indimenticabile Manor scrisse innocentemente un’elegia tardiva per suo fratello Yehuda, caduto nella guerra di logoramento nel 1968, che fu subito adottata come inno di protesta durante la prima guerra del Libano ed è diventata il canto di protesta di tutti i tempi. “Non starò in silenzio perché la mia Patria / ha cambiato volto / non smetterò di ricordarle / e cantargli all’orecchio / finché non aprirà gli occhi con un corpo dolente e un cuore affamato / La mia casa è qui”. La sua poesia è davvero molto commovente, ma l’uso che se ne fa per servire la propaganda israeliana di auto-vittimizzazione è intollerabile.

Israele non ha nessun’altra Patria, proprio come tutte le nazioni del mondo, solo loro non se ne lamentano. Più di qualche nazione non ha una Patria. È vero che Nancy Pelosi, l’ex portavoce di lunga data della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, ha citato la poesia di Manor in diverse occasioni, anche in risposta allo smantellamento del diritto costituzionale all’aborto da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti e dopo che suo marito è stato aggredito con un martello in casa, ma anche gli americani non hanno un altra Patria, e di solito non se ne lamentano. Il loro Paese è abbastanza per loro.

Non è così per gli israeliani. Dal momento che sono convinti che il loro Paese affronti una minaccia permanente di immediato annientamento, anche in questo, presumibilmente sono gli unici al mondo a provare questo sentimento, una potenza regionale con un super esercito che si sente in costante pericolo di annientamento, sono convinti che le parole di Manor abbiano per loro un significato speciale. Dopotutto, tutto è diverso quando si tratta di Israele, diverso e speciale, non come tutte le altre nazioni, da quando il popolo di Israele è stato nominato per essere un faro per le nazioni.

Quasi un milione di israeliani ha effettivamente un’altra Patria, e il loro numero sta solo aumentando. Lo Stato si rifiuta di fornire cifre ufficiali, ma centinaia di migliaia di israeliani hanno doppia o addirittura tripla cittadinanza, e negli ultimi anni nessuna tendenza è stata più di moda di quella di ottenere un passaporto aggiuntivo. Solo nel 2020, si stima che 50.000 israeliani abbiano richiesto un passaporto portoghese. Circa 750.000 israeliani sono emigrati da quando lo Stato fu fondato, per non tornare mai più. Anche loro hanno un’altra Patria. Nel 2017, secondo l’Ufficio Centrale di Statistica, oltre 500.000 israeliani vivevano all’estero. In altre parole, per una parte significativa di noi, forse più che nella maggior parte delle altre nazioni, c’è di fatto un altra Patria.

Ma il problema di questo lamento sta nell’ingiustificata auto-vittimizzazione, un genere molto amato dagli israeliani; gli ebrei non hanno sofferto abbastanza, e ora non hanno nemmeno un’altra Patria. Per una nazione che ha conquistato un Paese, occupato un’altra nazione, espropriato ed espulso la sua popolazione dalla propria Patria e lasciata sanguinante, umiliata, senza diritti e senza rispetto già da 100 anni, è un atto di estrema sfacciataggine lamentarsi di non avere un’altra Patria, come merita. Per una nazione che non ha ancora imparato esattamente come gestire correttamente la propria unica Patria, è particolarmente presuntuoso chiederne un’altra.

Accontentiamoci, dunque, dell’unica Patria, sofferente e gemente; lottiamo per la sua moralità e non chiediamone un’altra. Cantiamo un inno di protesta diverso alle manifestazioni. Un’altra Patria? Questa è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.

La poesia di Ehud Manor è molto commovente, ma l’uso che se ne fa per servire la propaganda israeliana di auto-commiserazione è intollerabile.

* Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.

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