Articolo pubblicato originariamente sul Manifesto
Di Chiara Cruciati
Checkpoint chiusi ovunque, impossibile andare a scuola e al lavoro. E su internet compaiono le prime censure. Il ministro, in bilico, promette di armare i coloni e i cittadini delle città miste israeliane
«È tutto chiuso. Se stai a Betlemme, resti a Betlemme. Se stai a Hebron, resti a Hebron». Yasser dal suo villaggio alla periferia di Betlemme racconta la nuova realtà nella Cisgiordania occupata.
«Gli israeliani hanno chiuso con montagne di terra e blocchi di cemento le bypass road, le strade che dalle colonie portano dentro Israele». Ovvero le strade che – allo stesso tempo – collegano anche città palestinesi e piccole comunità.
«Un lockdown completo – aggiunge Hanan da Betlemme – Israele ha chiuso tutti i checkpoint da e per la Cisgiordania e quelli tra le città palestinesi». Perché questa è la normalità in Cisgiordania, tante piccole enclavi separate da colonie e checkpoint: ne chiudi uno, blocchi il movimento da est a ovest, da sud a nord. L’articolato sistema di frammentazione interna è considerato uno dei principali strumenti dell’occupazione israeliana, e anche il meno costoso: bastano un checkpoint e un gruppo di soldati.
A GERUSALEMME la stessa scena «si limita» alle zone della periferia est: il campo profughi di Shuafat, Beit Iksa e al-Jib sono stati chiusi ermeticamente. Come vietato da ieri mattina è l’accesso alla Spianata delle Moschee: al-Aqsa è raggiungibile solo ai fedeli anziani.
Dentro le «bolle» palestinesi, si corre nei supermercati e alle stazioni di benzina, si fanno scorte. Il timore è che la chiusura durerà a lungo, interrompendo la vita di due milioni e mezzo di persone impossibilitate a muoversi, raggiungere il posto di lavoro, andare a scuola.
Un clima sospeso tra attesa, disillusione e paura. E proteste: continuano, insieme agli attacchi dei coloni, da Masafer Yatta ai dintorni di Nablus. È qui, in una delle città considerate da sempre l’alcova della resistenza palestinese, che nella notte tra lunedì e martedì l’esercito israeliano è di nuovo entrato, come successo svariate volte negli ultimi mesi.
Al momento, la principale forma di collegamento e scambio di informazione, è internet. Non senza molti dei limiti già sperimentati in passato: «La censura sui social media impatta sulla narrativa digitale – ci spiega Mona Shtaya, esperta palestinese di diritti digitali – Facebook ha ridotto la visibilità del principale hashtag usato dai palestinesi su Facebook per documentare violazioni dei diritti umani. Questo riduce la capacità di fare fact-checking o di accedere a informazioni. Questo approccio aiuta la stereotipizzazione dei palestinesi sui media e rafforza la militarizzazione digitale che giustifica la violenza e incrementa il rischio di incitamento all’odio».
A Gaza internet è off limits, non c’è elettricità. I tentativi di comunicazioni sono lenti, le persone contattate riescono a rispondere solo usando sim card dedicate a internet: «Quando la tensione sale a Gaza – aggiunge Shtaya – le infrastrutture dell’informazione sono un target, con bombardamenti mirati sugli edifici dei media. Perché il conflitto è anche una battaglia sulla narrazione». In Cisgiordania si prova ad aggirare le censure, usando l’emoticon del cocomero (stessi colori della bandiera palestinese) per limitare gli oscuramenti.
FUORI DALLA RETE, l’aria è pesante. Se la sollevazione che Hamas sperava di provocare nel resto dei Territori occupati palestinesi non è arrivata, almeno al momento, la narrazione del governo di ultradestra israeliano (in fase, forse, di revisione) non cambia e getta benzina sul fuoco di un possibile e terribile scontro armato interno alla Cisgiordania.
A farlo è il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, la cui testa potrebbe essere la prima a cadere nel caso di esecutivo di unità nazionale. Ieri ha annunciato l’acquisto di 10mila fucili «per armare le squadre di sicurezza civili», ovvero i movimenti organizzati dei coloni che negli insediamenti hanno propri team, a metà tra il militare e il civile, ma non solo.
Una parte sarà distribuita, aggiunge, alle città miste arabo-ebraiche dentro Israele. «Centinaia di città – dice – che hanno squadre di sicurezza legate alla polizia di frontiera israeliana». Un assaggio di quella guardia nazionale che spera di creare da quando è entrato al ministero e che verrebbe posta sotto i diretti ordini del suo dicastero.
Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…