Non mi sento più un odiatore di me stesso. Testimonianza di un ebreo israeliano

Articolo pubblicato originariamente su Mondoweiss e tradotto dall’inglese da Frammenti Vocali

Di Jonathan Ofir

UN NEGOZIO PALESTINESE CHIUSO A HEBRON DALL’ESERCITO ISRAELIANO, VANDALIZZATO CON UNA STELLA DI DAVID, UN ANTICO SIMBOLO EBRAICO ADOTTATO DALLO STATO ISRAELIANO COME SIMBOLO NAZIONALE. (FOTO: LAUREN SURFACE)

Sono nato ebreo israeliano, così  è  nel mio certificato di nascita, che sto guardando in questo momento. La mia religione è annotata lì: ebraica. E poi, nazionalità: ebrea. 

Quindi sono ebreo-ebreo. E per Israele, paradossalmente, non sono israeliano di nazionalità, perché una nazionalità israeliana non esiste , secondo Israele.

Sono nato come una risorsa per l’autoproclamato stato ebraico. 

È naturale per gli esseri umani voler restare fedeli al loro ambiente familiare, fare affidamento su ciò che conoscono meglio e con cui sono cresciuti: tende a dare un senso di sicurezza, forse anche di  nostalgia. 

Ma per me, sono passati quasi due decenni da quando ho iniziato a  mettere in discussione la narrativa sionista con cui sono stato educato. Ad un certo punto, tuttavia, è diventato un risveglio più brusco:  la narrazione era una bugia e  l’oppressione dei palestinesi non è il mero effetto collaterale di un “conflitto”, ma piuttosto una questione di progetto. 

Quando ho iniziato a rendere pubblico quel punto quasi un decennio fa, tutto è diventato  più  brutto. Fino a quel momento potevo esprimere una critica a Israele, ma è proprio quello che fanno le persone nei paesi democratici. Tuttavia, quando ho iniziato a denunciare pubblicamente l’oppressione dei palestinesi da parte di Israele, in particolare in inglese, è diventato un problema serio per molti. Mi stavo allontanando pubblicamente dal senso tribale di solidarietà: i “noi” erano chiaramente ebrei e si trattava dello stato ebraico. Non c’era bisogno di precisarlo, dato che l’intero social network era quasi esclusivamente ebraico. Quello che stavo facendo era sfidare la rettitudine del nazionalismo ebraico, altrimenti noto come sionismo. 

E così è arrivato quel suggerimento tribale: che ero un odiatore. È arrivato in tutti i modi, a volte in modo esplicito, a volte in modo più sottile. I vecchi amici mi dicevano che è incredibile quanto odio il posto dal quale sono nato. 

Anche se continuavo a gridare, soprattutto in inglese (ma anche in ebraico e danese, per chi volesse sentire), mi è rimasta impressa questa sorta di residuo, un semi-conscio senso di colpa o tradimento, o una sensazione assillante che forse ero motivato dall’odio più che dall’amore, dall’egoismo più che dall’altruismo.  

La realtà che sperimentiamo oggi, tuttavia, sta facendo sì che anche i sionisti dubitino della rettitudine di tutto ciò. Alcuni sostengono che la scivolata israeliana verso il fondamentalismo religioso e l’ultranazionalismo non sia l’Israele che conoscevano . Altri credono che il progetto sionista sia fallito, che ” siamo giù dal precipizio e stiamo cadendo “.

Il vero Israele

La mia visione è diversa. Israele non ha fallito. Piuttosto il progetto sionista è riuscito notevolmente bene. Questo è il problema. Quello che stiamo vedendo oggi è proprio l’Israele senza la maschera. 

Il progetto sionista non è ancora finito, ovviamente – il colonialismo, dopotutto, non è un evento singolare, ma piuttosto un processo – ma ora è molto più pronto a dichiarare Israele, frutto dell’ingegno del sionismo, per quello che è: un unico stato di supremazia ebraica. 

Il fondamentalismo religioso e l’ultranazionalismo sono diventati così espliciti che persino i sionisti irriducibili non possono ignorarlo, spingendo gente come Alan Dershowitz a esprimere i propri timori. Ovviamente non è contrario a uno stato ebraico – definisce l’opposizione a uno stato ebraico assolutamente antisemita – ma la facciata della democrazia si sta sgretolando. 

È dubbio, tuttavia, se coloro che mettono in discussione Israele alla luce del nuovo governo cambieranno completamente posizione e arriveranno a rimproverare l’essenza stessa della loro ideologia sionista. Una mossa del genere richiederebbe di venire a patti con qualcosa a cui molti hanno dedicato la propria vita. Se costretti a scegliere tra uno stato di supremazia ebraica o una democrazia con pari diritti, credo che la maggior parte dei sionisti sceglierà il primo. 

Rimarranno fedeli al sionismo al di sopra dell’uguaglianza. 

Nel frattempo  la decisione per i palestinesi è stata presa per loro molto tempo fa: espulsione, rifiuto del ritorno, oppressione, assedio e tutto il resto, diventando una realtà permanente delle loro vite. 

Ecco a cosa si riduce. Potrebbe sembrare bianco o nero, ma penso che sia davvero una scelta da fare: stai con i palestinesi o stai con i loro oppressori? 

Penso che un decennio fa, questa rappresentazione avrebbe potuto essere vista come più radicale di oggi. Più persone credevano nel giusto Israele, o nelle forze di pace e riconciliazione al suo interno. Non doveva essere proprio così. Infatti l’essenza del sionismo è stata eliminazionista nei confronti dei palestinesi sin dall’inizio. È l’intero obiettivo dell’avventura coloniale dei coloni sionisti. 

Un decennio fa mi sentivo come se la mia posizione facesse sembrare a molti che odiavo la mia stessa gente. Oggi, credo, più persone capiscono che non sono motivato dall’odio e che forse amo davvero la vita. 

Forse amo l’idea dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani.     

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