‘Più strano della finzione’: come i prigionieri palestinesi sfidano Israele per avere figli dietro le sbarre

Articolo originariamente pubblicato su Palestine Chronicle e tradotto dall’inglese dalla redazione di Bocche Scucite

Di Ahmed Dremly*

L’unico modo per i prigionieri palestinesi di concepire un bambino è il contrabbando di sperma. (Foto: via MEMO)

“Milad è un sogno per Walid, per i detenuti che sperano di diventare padri e per i palestinesi che sfidano le ingiustizie e le privazioni senza soccombere alla disperazione”.

Walid Dakka, 59 anni, è uno dei più anziani detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. È stato arrestato nel 1986 e condannato a 38 anni per accuse legate a un’operazione della Resistenza nel 1985, in cui un soldato dell’occupazione fu catturato e ucciso. Durante il periodo di detenzione, Dakka ha conseguito un master in scienze politiche e ha pubblicato diversi romanzi e libri di teoria politica. Ha anche scritto una storia di fantasia su un bambino di nome Milad, nato grazie allo sperma contrabbandato fuori dalla prigione. La storia di Dakka, tuttavia, finì per essere ancora più strana della sua stessa finzione.

Dakka aveva sposato Sanaa Salama nel 1999. Le autorità carcerarie hanno imposto gravi sanzioni: Dakka fu messo in isolamento e a Salama fu impedito di visitarlo per otto mesi. Nonostante avessero chiesto per anni di poter stare da soli per concepire un bambino, o di poter donare lo sperma per l’inseminazione artificiale, i tribunali israeliani continuarono a respingere le loro richieste. Sono arrivati a credere che l’unico modo per concepire fosse il contrabbando di sperma.

Salama ha iniziato un lungo processo medico di esami e iniezioni per rimanere incinta. Quando visitò il marito prima del primo esame, concordarono che se fosse rimasta incinta avrebbe portato il fratello di Dakka alla visita, mentre in caso contrario sarebbe venuta da sola.

“Quando sono entrata nella sala visite con suo fratello, Waleed non riusciva a stare in piedi per salutarci. Ha iniziato a tremare e a piangere. Gli ho detto. ‘I tuoi pensieri sono giusti ed ecco tuo fratello’. Gli altri detenuti lo hanno abbracciato. La sala delle visite era piena di pianti e di risate”, ha raccontato Salama. “Milad è un sogno per Walid, per i detenuti che sperano di diventare padri e per i palestinesi che sfidano le ingiustizie e le privazioni senza soccombere alla disperazione”.

Dakka è stato tenuto in isolamento durante il parto. Salama ha annunciato che il canale televisivo Palestina lo avrebbe ripreso. “In questo modo, se non avessimo avuto la possibilità di chiamarlo e rassicurarlo”, ha detto, “gli altri detenuti che avevano accesso a una TV avrebbero saputo la notizia e l’avrebbero raccontata”.

Milad Walid Dakka è nato il 2 marzo 2022. Per due anni, la famiglia di Milad ha lottato nei tribunali israeliani per inserire il nome del padre sul suo certificato di nascita. “Hanno cercato di dare alla mia bambina il certificato senza il nome di Walid, ma non ci siamo fermati finché non abbiamo vinto. Non possono negare l’identità dei figli dei detenuti palestinesi”, ha confermato Salama.

Non si tratta di un caso isolato. Ahmed Abu Aida ha ora 6 anni ed è un altro bambino nato tramite sperma di contrabbando e inseminazione intrauterina. È il figlio del detenuto gazanese Mohammad Abu Eida, arrestato nel 2004, dopo soli sette mesi di matrimonio, e condannato a 22 anni di carcere.

Alla moglie di Eida, Walla Abu Aida, è stato impedito di visitarlo in carcere per oltre 2 anni. “Durante la prima visita dopo tanto tempo, ho continuato a guardare Mohammed, come lui ha fatto con me, per tutti i 45 minuti della visita, senza dire una parola. I parenti degli altri detenuti, presenti nella grande sala delle visite, si sono avvicinati per confortarci”, ha raccontato Aida.

Pur avendo la possibilità di raggiungere la sua famiglia a Dubai, Aida ha scelto di rimanere a Gaza e di aspettare suo marito. Insieme hanno lottato per avere un figlio.

Avere figli tramite il contrabbando di sperma è più difficile per le donne a causa dei tempi e delle procedure necessarie per l’inseminazione intrauterina. La coppia ci ha provato tre volte. La prima volta non ha funzionato. La seconda volta è andata ancora peggio. Aida rimase incinta e partorì due gemelle, ma purtroppo morirono. “Ho sofferto di preeclampsia. Sono entrata in coma per un mese dopo il parto e il mio cuore si è fermato per un po’”, mi ha detto. Seguì un periodo molto difficile per entrambi i genitori.

Nel 2016, hanno tentato per la terza volta e la procedura ha finalmente funzionato. Quando Aida ha comunicato a Eida che l’inseminazione era andata a buon fine e che era incinta, ha sentito le grida di gioia di tutti i detenuti insieme al marito. Si è preoccupata in tutti i modi di proteggere la sua salute e quella del bambino in arrivo. I suoi genitori le hanno chiesto di nuovo di raggiungerli a Dubai, dove vivono, ma lei ha rifiutato, perché, ha detto, “ero preoccupata di perdere il feto a causa delle difficoltà di viaggio a Gaza”.

Aida ha spiegato le difficoltà di prendersi cura di un bambino mentre il padre è lontano. “Vorrei dare ad Ahmed tutte le cose belle della vita, ma non posso dargli nemmeno il semplice diritto di stare con suo padre”, ha detto. Ahmed, sei anni, capisce dove si trova suo padre e sa che sarà libero nel 2026.

“Voglio tanto bene a papà. Sto aspettando che sia qui. Voglio stare con lui. Voglio giocare con lui”, ha detto con innocenza. Ahmed raggiungerà sua madre per la prima volta quando visiterà suo padre alla fine di questo mese. “Prima di questo”, ha detto Aida, “Mohammed e io avevamo paura che entrasse in carcere. Ora ho ancora paura, ma lui chiede sempre di vedere suo padre”.

Il 7 dicembre 2022 a Walid Dakka è stata diagnosticata la leucemia. Era malato da tempo, conseguenza della negligenza medica, pratica abituale delle autorità di occupazione isrealiane. “Avevo paura di perderlo durante la crudele e disumana detenzione in isolamento. È un assassinio graduale”, ha detto Salama. E ha continuato: “Il dolore della vita non finisce, e nemmeno la pazienza, e nemmeno la certezza della libertà”. Inshallah.

* Ahmed Dremly è un giornalista e traduttore di Gaza. I suoi scritti sono apparsi su We Are Not Numbers e Mondoweiss. WANN ha contribuito a questo articolo di The Palestine Chronicle.

 

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