Una doccia di quattro minuti per i prigionieri palestinesi è la nuova imposizione di Itama Ben Gvir

Articolo pubbliato originariamente su Haaretz e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto

La restrizione è un’altra mossa dell’incendiario Ministro della Sicurezza Nazionale israeliano contro i detenuti e le loro famiglie.

Di Amira Hass

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Quattro minuti di doccia per ogni prigioniero palestinese, ha ordinato il padrone, e così facendo ha aperto un vecchio-nuovo fronte nella nostra guerra per la supremazia ebraica.

Per ora, la nuova regola può essere applicata solo in due ali della prigione di Nafha, nel Sud, perché le docce sono fuori dalle celle e le guardie possono chiudere la conduttura principale quando vogliono. Ma ci si può aspettare che la mente ebraica escogiti modi per imporre la nuova restrizione a tutti i prigionieri politici e di sicurezza palestinesi.

L’idea è di tornare agli anni ’60 e ’70? “Entrando nella doccia comune, la guardia avvertiva i prigionieri che dovevano spogliarsi, fare la doccia e vestirsi in pochissimo tempo. Contava fino a 10 e durante quel periodo i prigionieri dovevano finire di fare la doccia e vestirsi”, scrive Ghazi Abu-Jiab a proposito della prigione di Ashkelon, che fungeva da laboratorio per incarcerare i palestinesi della Striscia di Gaza e della Cisgiordania.

Nel suo articolo del 9 febbraio: “Perché c’è bisogno di questa follia?”, sul sito web Siha Mekomit, Abu-Jiab descrive le condizioni carcerarie dei palestinesi subito dopo l’inizio dell’occupazione nel 1967. Prima di tutto il cibo era pessimo (per colazione mezzo uovo, gocce di marmellata e margarina e due fette di pane). C’era anche il divieto di tenere strumenti per scrivere, niente materassi e solo quattro coperte. Gli stivali servivano da cuscini. I prigionieri potevano camminare nel cortile esterno solo mezz’ora al giorno, durante la quale dovevano tenere le mani dietro la schiena e non potevano parlare tra loro. Tutto questo si aggiungeva a regolari percosse e umiliazioni.

Abu-Jiab, membro del gruppo Ofek dell’Istituto Van Leer, che propone articoli non orientalisti dai media arabi e sulle società arabe, racconta di scioperi della fame di massa dei prigionieri palestinesi che hanno gradualmente migliorato le loro condizioni.

Queste lotte, come altre, hanno fatto un grande favore a Israele. Una società si misura dal modo in cui tratta coloro che sono ai margini: anziani, malati, disoccupati, carcerati, bambini e animali. Ogni lotta per migliorare le proprie condizioni di vita allarga la cerchia delle persone che trattano gli altri e sono trattate con dignità. Ciò approfondisce la comprensione che il trattamento rispettoso delle persone, dell’ambiente e di ogni creatura vivente è il fondamento per una comunità solida e la sua sostenibilità.

Ma il livello della civiltà e dell’esistenza di Israele come società umana sono priorità secondarie rispetto a schiacciare i palestinesi. Nel corso degli anni, attori politici, compresi i giornalisti, hanno spacciato la menzogna secondo cui i prigionieri palestinesi erano tenuti in condizioni da Hotel a cinque stelle e hanno chiesto che ciò venisse fermato. Si scopre che l’Ufficio del Difensore Pubblico, nelle sue dure critiche alle condizioni carcerarie israeliane, non era a conoscenza di quelle prigioni Hotel.

Limitare il tempo della doccia a quattro minuti è una delle tante mosse del Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir per ridurre la falsa valutazione a cinque stelle delle prigioni. Non tre minuti, non cinque o sei, ma esattamente quattro; il Ministro deve essersi consultato con esperti e matematici. Questo è il tipo di matematica applicata in cui eccelliamo noi in Israele e di cui ha bisogno la burocrazia del controllo e della sottomissione.

Nel 2008-2009, abbiamo calcolato di quante calorie avevano bisogno i palestinesi di Gaza prima di raggiungere la malnutrizione in modo da poter continuare a gestire il blocco dell’enclave e isolarla dal mondo. Gli esperti del Coordinatore delle Attività di Governo nei Territori (COGAT) hanno concluso che si trattava di 2.279 calorie al giorno per persona. Esattamente. Questo accadeva ai tempi del Primo Ministro Ehud Olmert, del Ministro della Difesa Ehud Barak e del suo subordinato come capo del COGAT, Amos Gilead.

Nel 2017, gli esperti del COGAT e del Ministero dell’Agricoltura hanno calcolato il numero di giornate lavorative necessarie per aumentare i raccolti nella “zona di congiunzione”, le terre palestinesi tra la barriera di separazione e la Linea Verde. Con la precisione di un computer che imposta l’orario delle ferrovie svizzere, scoprirono che i fagioli richiedevano 55 giorni/uomo di lavoro all’anno per ogni acro di serra, mentre l’okra (gombo) richiedeva 28 giorni, gli ulivi 10 giorni e i pomodori 22 giorni. Sulla base di tale calcolo, i funzionari hanno determinato il numero di permessi di lavoro e per il numero di giorni che ciascun coltivatore avrebbe ricevuto.

L’obiettivo non dichiarato della burocrazia qui era quello di dissuadere i palestinesi dal lavorare la loro terra, in modo che potesse diventare una destinazione per gli ebrei che facevano passeggiate ed escursioni nella natura. Questo accadeva ai tempi del Primo Ministro Benjamin Netanyahu, del Ministro della Difesa Avigdor Lieberman e del suo subordinato al COGAT, Yoav Mordechai.

Negli ultimi 10 giorni i detenuti palestinesi hanno protestato contro le nuove misure, e il servizio carcerario risponde con rappresaglie per accontentare il suo padrone. Questo non è un nuovo fronte. Che si tratti di lanciare un sasso, scrivere un post online o uccidere israeliani, le loro azioni sono nel contesto di un popolo sotto occupazione che sta facendo quello che ha fatto qualsiasi altro popolo oppresso sotto dominio straniero che ha raggiunto livelli indescrivibili di disperazione.

Ma in carcere, i detenuti palestinesi diventano un “nemico” collettivo per le autorità e vengono puniti non solo negando loro la libertà, ma umiliandoli e negando loro la loro umanità. Ora il comandante di questo fronte è un noto piromane sotto steroidi. E nessuno lo ferma.

Amira Hass è corrispondente di Haaretz per i territori occupati. Nata a Gerusalemme nel 1956, Amira Hass è entrata a far parte di Haaretz nel 1989, e ricopre la sua posizione attuale dal 1993. In qualità di corrispondente per i territori, ha vissuto tre anni a Gaza, esperienza che ha ispirato il suo acclamato libro “Bere il mare di Gaza”. Dal 1997 vive nella città di Ramallah in Cisgiordania. Amira Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi i quali sono raccolte dei suoi articoli.

Fonte: https://www.haaretz.com/…/00000186-6f5d-dc65-a5de…

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