Voci dalla Palestina: al-khalil, la città occupata

Di Abu Sara, dalla Palestina

Torno ad At-twani sul carro di uno di questi vecchi enormi trattori. Il

carro ha appena scaricato letame, ma per fortuna bisogna comunque stare in

piedi, attaccati alla sponda, da seduti gli scossoni romperebbero anche la

schiena del mio giovanissimo collega inglese, figurarsi la mia!

Qui è tutto tranquillo; mentre a khalet ad dabaa pochi bambini sono andati

a scuola, qui molto di più. Ci sono problemi di sciopero degli insegnanti,

che non stanno percependo stipendi. E così c’è l’accompagnamento dei

bambini di Tuba, un pezzo con i volontari di operazione colomba e il pezzo

che attraversa in mezzo a due parti della colonia, con una jeep

dell’esercito. Al ritorno partecipo anche io, abbandonando Hafez e la sua

pulitura, oggi puliamo intorno a delle viti da poco innestate.

Ad At-twani succede poco, molto belare di pecore all’ora del rientro. Le

foto con i bambini sono di Yan, qualche giorno fa con una incursione dei

soldati in una scuola di un altro villaggio. I colori del tramonto sono

meravigliosi, il cielo è limpidissimo, e subito la temperatura precipita,

bisogna coprirsi in fretta.

Oggi ci muoviamo verso al khalil, ma c’è un posto di blocco, di quelli

cattivi: bande chiodate in terra, passaggio a gimcana. E i soldati sono

bruttissimi: passamontagna nero calato sulla faccia, mitra in mano,

microfono alla bocca, caricatori e bombe varie nel giubbotto. Attraversiamo

la route 60, andiamo verso la zona A, solo palestinese, cosa vogliono? Dove

andate? Il ragazzo che ci porta insegna a scuola, allora dice che ci porta

alla sua scuola a spiegare un po’ di inglese. E gli zaini?, si sono i loro,

li rotolano, non sembrano trovare armi, l’autista deve mostrare ID e

patente, a noi non chiedono niente e finalmente ci fanno andare.

A khalil, dopo un panino con i felafel, andiamo in giro per il mercato. Yan

che partirà domani da Amman, mi pare rasserenato, e trova la buona volontà

di fare delle interviste, prima Layla di Women’s in Hebron, poi Badeea di

Human Rights Defenders. Le cose che dicono sono sempre un po’ le solite, ma

il meglio è sentire i palestinesi dire che sarebbero prontissimi a

convivere con gli ebrei, ma certo non con i coloni.

E così veniamo a un po’ di confronto sulla storia di Hebron. Qui ebrei e arabi hanno sempre

convissuto, ma erano ebrei sefarditi, cioè quelli che si sono distribuiti

nei paesi arabi, dal Marocco all’Iraq, e non hanno mai avuto problemi. Chi

ha causato problemi sono i “buoni cristiani” europei che hanno perseguitato

gli ebrei Ashkenazi e ora ne fanno pagare le conseguenze ai Palestinesi.

Tornando a Hebron, il massacro del ’29 parte dalla dichiarazione Balfour

che regalava la Palestina agli ebrei, dall’inizio di arrivi di ebrei

Ashkenazi che portavano il sionismo, e all’ultimo dal fatto che ci sono

state violenze a Gerusalemme qualche giorno prima, con l’uccisione di

arabi. Per ultimo, mentre gli inglesi che avrebbero dovuto controllare la

situazione facevano ben poco, sono stati dei palestinesi a nascondere gran

parte degli ebrei per salvarli dalle violenze. I coloni sono tutti arrivati

di recente e sono sempre Ashkenazi, i più esaltati e violenti.

Nelle foto c’è il mercato dal piano sopra e un’incredibile pezzo di volta

lasciata a pietra.

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