Chi finanzia l’occupazione israeliana in Palestina

Articolo pubblicato originariamente su Valori.it

Di Claudia Vago

l rapporto “Don’t buy into occupation” analizza gli affari di multinazionali, banche e fondi nei territori occupati della Palestina

Da Gerusalemme la strada scenda rapida, attraversando un paesaggio di colline brulle. L’autostrada 1 attraversa la Cisgiordania, un tornante dopo l’altro. Quando incrocia l’autostrada 90, che scende dal lago di Tiberiade, bisogna tenere la destra. La spiaggia di Kalia è la prima che si incontra, costeggiando il Mar Morto. È la spiaggia dell’omonimo kibbutz. Meta gradita ai pellegrini e ai turisti che frequentano la zona.

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La spiaggia di Kalia, sulle rive del Mar Morto. Meta di turisti e pellegrini © Darko Tepert Donatus/Wikimedia Commons

Kalia è un insediamento israeliano in Cisgiordania. Per la legge internazionale è illegale. Eppure, i suoi 300 abitanti si dedicano all’agricoltura coltivando palme da dattero, meloni, ciliegie e pomodori. E al turismo. Il Kalia Kibbutz Hotel, 4 stelle, è circondato dal verde dei prati e delle palme che fa dimenticare il deserto che sta poco più in là. Ha una spiaggia privata, la piscina e un parco giochi per i bambini. Le recensioni online sono molto positive. Chi vuole prenotare il soggiorno, lo trova su Booking.com.

Booking.com complice dell’occupazione illegale della Palestina

Booking Holdings è un’azienda statunitense proprietaria di diversi marchi di siti e piattaforme dedicati ai viaggi. Tra questi, Booking.com che ha la propria sede nei Paesi Bassi e nel febbraio del 2020 è stato incluso dalle Nazioni Unite nel database delle 112 aziende coinvolte negli insediamenti israeliani illegali. La ragione? Promuovere strutture come il Kalia Kibbutz Hotel che sorgono su terreni illegalmente occupati da Israele. E allo stesso modo anche Airbnb e Expedia, per rimanere nel settore turistico.

Booking.com consente a proprietari di alloggi in tutto il mondo di registrarsi al proprio sito e offrire così soggiorni e servizi «a condizione che siano conformi alla legislazione applicabile a Booking.com e alle sue operazioni. Laddove leggi e sanzioni chiaramente definite e applicabili ci proibiscano di offrire i nostri servizi, ci adattiamo completamente a tali restrizioni». Così ha risposto la compagnia a “Don’t buy into occupation”, una coalizione di 26 organizzazioni palestinesi ed europee, ad agosto 2021.

Nonostante alcuni passi avanti, il colosso del turismo continua a fornire ai potenziali visitatori informazioni ritenute da “Don’t buy into occupation” troppo scarse circa la natura dell’occupazione dei territori palestinesi. Oltre al fatto che, secondo l’organizzazione, queste strutture non dovrebbero nemmeno comparire sul sito, dato che si trovano su terreni illegittimamente sequestrati ed espropriati. L’accusa della coalizione di organizzazioni non governative è netta e dura. Traendo profitto da alloggi in insediamenti illegali, Booking.com starebbe essenzialmente guadagnando grazie a crimini di guerra e crimini contro l’umanità, compreso l’apartheid.

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Esempio di come Booking.com presenta le strutture che sorgono nei territori occupati e negli insediamenti illegali israeliani

Il ruolo di banche, assicurazioni e fondi

Tra gennaio 2018 e maggio 2021 quattro banche europee (Deutsche Bank, BNP Paribas, HSBC e Standard Chartered) hanno fornito a Booking Holdings prestiti per 590 milioni di dollari e 1,6 miliardi di dollari in sottoscrizioni. Inoltre, i primi 20 investitori europei (partecipazioni azionarie e obbligazionarie) di Booking Holdings detengono investimenti per un totale di 12,19 miliardi di dollari. I quattro più grandi investitori sono BPCE Group, Janus HendersonCrédit Agricole e il fondo sovrano norvegese.

Sono 672 gli istituti finanziari che hanno relazioni con 50 aziende attivamente coinvolte nei territori illegalmente occupati da Israele. Banche, asset manager, compagnie di assicurazione e fondi pensione. Con un totale di 114 miliardi di dollari in prestiti e altri servizi, e 141 miliardi in partecipazioni azionarie o obbligazionarie.

«Il coinvolgimento di questi istituti finanziari – attraverso investimenti, prestiti bancari, estrazione di risorse, contratti di infrastrutture e accordi di fornitura di attrezzature e prodotti», scrive Michael Lynk, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati nella prefazione del rapporto, «fornisce ossigeno economico indispensabile alle aziende fanno affari negli insediamenti per crescere e prosperare». Un ruolo cruciale per facilitare la crescita della redditività economica dell’occupazione israeliana della Palestina.

Il database delle attività commerciali legate agli insediamenti nei Territori Palestinesi Occupati

Nel marzo 2013 la Missione d’accertamento dei fatti creata dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha presentato un rapporto che approfondisce le implicazioni degli insediamenti israeliani sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali sul popolo palestinese. Nel rapporto viene elencata una lista di attività che sollevano particolari preoccupazioni circa la violazione di diritti umani.

A seguito della pubblicazione di questo rapporto il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha adottato nel marzo 2016 la risoluzione 31/36 con la quale si fa richiesta all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani di redigere un database di tutte le aziende coinvolte in una serie di attività ritenute lesive dei diritti umani del popolo palestinese. Dopo anni di ritardo dovuti a pressioni politiche, nel febbraio 2020 è stato pubblicato un database che individua 112 aziende israeliane e multinazionali. Un lavoro accolto con entusiasmo da molti attivisti per i diritti umani di tutto il mondo. Un primo passo per assicurare trasparenza e promuovere la responsabilità delle imprese, pur mancando di chiarezza circa la frequenza di aggiornamento della lista.

Vivere in Palestina significa essere sottoposti ad un regime di apartheid. Anche dal punto di vista finanziario © rglinsky/iStockPhoto

BNP Paribas, il maggiore finanziatore europeo delle aziende coinvolte negli insediamenti in Palestina

A febbraio scorso BNP Paribas, il più grande istituto bancario francese, è stato oggetto di una settimana di azioni promosse da gruppi di attivisti intenzionati denunciare il coinvolgimento della banca degli insediamenti israeliani nei Territori Palestinesi Occupati. Pressoché unanimemente riconosciuti come una violazione dei diritto internazionale. La banca, come emerge dallo stesso rapporto “Don’t Buy into Occupation”, è il maggiore finanziatore europeo delle 50 aziende che supportano gli insediamenti.

In totale l’istituto francese ha fornito negli ultimi anni 17,30 miliardi di dollari in prestiti e sottoscrizioni a 27 di queste 50 società. Quasi il 50% in più rispetto alla seconda della lista, Deutsche Bank. Inoltre, BNP Paribas ha investito in obbligazioni e partecipazioni azionarie per un valore totale di 3,34 miliardi di dollari in 30 società coinvolte nell’attività di insediamento illegale. Diventando il dodicesimo maggiore investitore individuato nel rapporto.

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Una manifestazione di attivisti della coalizione Don’t Buy into Occupation a Parigi © Banktrack

Turismo, prodotti militari e di demolizione delle abitazioni palestinesi

Dal 2018 al maggio 2021 la banca francese ha fornito 592 milioni di dollari di credito a Booking.com, oltre a concedere prestiti a Tripadvisor e Airbnb. BNP Paribas ha prestato inoltre 38 milioni di dollari a Elbit Systems, un’azienda che fornisce prodotti e servizi all’esercito, al ministero degli Interni e alla polizia israeliana. Compresi i droni utilizzati spesso durante le operazioni militari nella Cisgiordania occupata. Oltre a essere uno dei principali fornitori del sistema di recinzione elettronica del Muro di separazione.

Inoltre, BNP Paribas ha concesso ingenti prestiti a due aziende, Caterpillar, con sede negli Stati Uniti, e HeidelbergCement, con sede in Germania, entrambe importanti società di costruzioni che svolgono un ruolo logistico diretto nell’espansione degli insediamenti illegali. Who Profits afferma che le attrezzature di Caterpillar sono state utilizzate per operazioni illegali come demolizioni di case su larga scala, missioni di dissodamento di terreni nelle città palestinesi e arresti o uccisioni di palestinesi.

La coalizione Don’t Buy into Occupation ha cercato un confronto con la banca prima della pubblicazione del rapporto, offrendo la possibilità di commentare la sua posizione e il suo coinvolgimento negli insediamenti israeliani. BNP Paribas non ha risposto.

 

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