Chi protegge i palestinesi in fuga dall’Ucraina?

Articolo pubblicato originariamente su +972 Magazine e tradotto in italiano da Grazia Parolari per Invicta Palestina

Itamar Mann –  9 marzo 2022

Immagine di copertina:  Studenti palestinesi in arrivo dall’Ucraina su un volo di salvataggio sono accolti dalle loro famiglie all’aeroporto internazionale Ben-Gurion vicino a Tel Aviv, 1 marzo 2022. (Tomer Neuberg/Flash90)

Da quando la Russia ha iniziato la sua invasione, l’esodo dall’Ucraina ha suscitato interrogativi sulla discriminazione tra i rifugiati. La scorsa settimana, i social media sono stati inondati da testimonianze secondo le quali i rifugiati ucraini bianchi al confine con la Polonia hanno ricevuto un trattamento preferenziale rispetto ad altri gruppi, comprese le persone provenienti da molte nazioni mediorientali e africane che vivevano o studiavano nel paese. Sebbene inizialmente negate, Flippo Grandi, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha in seguito confermato le accuse.

Le diffuse segnalazioni di razzismo al confine rivelano che la preferenza per gli ucraini bianchi non era (solo) una politica discriminatoria polacca o europea. È stata, in larga misura, guidata da funzionari ucraini che hanno assunto il controllo su chi può fuggire e come.

La difficile situazione degli studenti palestinesi in Ucraina conferma ulteriormente questo modello. E, in modo notevole, ha anche messo in luce un aspetto ancora poco discusso della crisi dei rifugiati: il ruolo della protezione diplomatica nel far valere i diritti degli stranieri. Quando sono emerse le segnalazioni di razzismo al confine, i governi africani hanno immediatamente risposto con una protesta agli stati europei e all’ONU chiedendo che i loro cittadini fossero ugualmente protetti. Ma nonostante le numerose segnalazioni di discriminazione nei confronti degli studenti palestinesi, nessuno stato ha sollevato proteste simili a loro favore.

Durante le crisi internazionali, i palestinesi che vivono sotto un’occupazione indefinita, compresi i gerosolimitani est, spesso cadono tra le crepe della protezione diplomatica a causa sia della non volontà di Israele nel riconoscere e consentire uno stato palestinese sovrano, sia per il simultaneo rifiuto di Israele di garantire i diritti dei palestinesi come suoi cittadini sotto la sua regola di fatto. Ciò solleva una domanda cruciale con conseguenze reali: fino a che punto Israele deve estendere la sua protezione diplomatica ai palestinesi che studiano all’estero, compresi quelli che stanno attualmente fuggendo dall’Ucraina?

Detenuto, picchiato, affamato e al freddo

Muhammad Khatib, 25 anni, del quartiere di Sur Baher nella Gerusalemme est occupata, è uno studente palestinese del quarto anno di medicina presso l’Università Nazionale Taras Shevchenko di Kiev.  Come da lui raccontato, quando l’invasione è iniziata il 24 febbraio, il ministero degli Esteri israeliano ha iniziato a pubblicare avvertimenti che la guerra era all’orizzonte. All’inizio era difficile per lui crederci, soprattutto  perché l’università aveva dichiarato  che andava tutto bene e che non c’era bisogno di andarsene. Ma Khatib ha deciso di non dare ascolto alle dichiarazioni dell’università: “Non sono un idiota, sono salito su un volo con altri 10 studenti arabi provenienti da tutto il paese”, ha detto.

Dimostranti e rifugiati ucraini portano cartelli e bandiere durante una protesta contro l’invasione russa dell’Ucraina, fuori dal Palazzo della Cultura e della Scienza a Varsavia, Polonia, 6 marzo 2022. (Olivier Fitoussi/Flash90)

Sei dei suoi compagni studenti arabi, tuttavia, sono rimasti bloccati in Ucraina allo scoppio della guerra e sono stati costretti a fuggire in treno e poi a piedi, camminando  per 19 ore al freddo. Sono stati quindi detenuti al confine ucraino-polacco per due giorni. Alcuni di questi studenti, come Muhammad, sono residenti a Gerusalemme est ma non cittadini israeliani; invece del passaporto, hanno una carta d’identità israeliana blu con uno speciale documento di viaggio che Israele rilascia loro.

Khatib si è messo in  in contatto con il ministero degli Esteri israeliano per cercare di facilitare l’uscita dei suoi amici dal confine polacco, ma si è arrabbiato quando il ministero ha detto che non era in grado di aiutarli. Khatib non  poteva avvalorare la dichiarazione del ministero secondo la quale: “I gerosolimitani [palestinesi] orientali che sono arrivati ​​al confine con gli ebrei [israeliani] non sono rimasti bloccati lì”, ha detto.

Majdulin Arrar di Ramallah e Yahyia Atrash di Gerusalemme est, entrambi di 23 anni,  sono tra i palestinesi che hanno cercato di lasciare l’Ucraina e si sono ritrovati bloccati al confine. I due erano stati più ottimisti di Khatib ed erano rimasti a Kiev, che da anni ospita migliaia di studenti palestinesi. Arrar dice che quando è diventato chiaro che le cose sarebbero diventate pericolose, i suoi genitori l’hanno chiamata per dirle che doveva rimanere in città per evitare pericoli lungo la strada di casa. Poi è arrivata un’esplosione nelle prime ore del mattino del 26 febbraio. “Abbiamo visto che l’edificio accanto a noi è stato colpito”, ha detto Atrash.

Insieme ad alcuni altri studenti, sono arrivati ​​alla stazione ferroviaria di Kiev più tardi quella mattina, ma hanno avuto  difficoltà a trovare posto sul treno. La stazione era in tumulto: i viaggi in treno erano gratuiti, ma l’imbarco sembrava inizialmente riservato ai soli cittadini ucraini. Quando alla fine la sera sono saliti su un treno, ha detto Arrar, hanno iniziato a sentire dei bombardamenti nelle vicinanze, così che il treno è rimasto bloccato in stazione per diverse ore. Una donna si è avvicinata a loro per chiedere che pagassero il viaggio “solo perché siamo stranieri”, ha continuato Arrar. Dopo una lunga attesa, il treno ha lasciato la stazione e finalmente è arrivato a Leopoli, vicino al confine con la Polonia, nell’Ucraina occidentale. Da lì hanno iniziato il loro viaggio a piedi.

Quella, disse Atrash, era stata la parte facile.

Bambini ucraini in fuga dall’aggressione russa, Przemyśl, Polonia. 27 febbraio 2022. (Mirek Pruchnicki/CC BY 2.0)

Quando sono arrivati ​​​​al confine alle 2 del mattino del 27 febbraio, è diventato chiaro che solo agli ucraini veniva concesso il permesso di partire, con priorità data alle donne. Arrar e le altre donne del gruppo palestinese hanno aspettato cinque ore prima che il gruppo fosse infine diviso e le donne fossero  lasciate entrare nella parte polacca.

Gli uomini, invece, hanno aspettato altri due giorni al confine, durante i quali sono stati picchiati, insultati e minacciati dal personale di sicurezza ucraino. Atrash ha riferito come le autorità abbiano proibito loro di scattare foto e che una delle persone che era con loro è stata picchiata per averlo fatto. Il gruppo ha sofferto di una grave carenza di cibo, nonché della mancanza di indumenti caldi a temperature prossime allo zero.

“Ci siamo seduti lì con circa 2.000 stranieri provenienti da tutti i tipi di paesi”, ha aggiunto Atrash, “alcuni dei quali studenti, molti africani. Non sapevamo cosa stesse succedendo”. A differenza di Khatib, che era arrabbiato con il ministero degli Esteri israeliano, la rabbia di Atrash era rivolta agli ucraini: non capiva perché gli stranieri  fossero costretti ad aspettare al freddo mentre i cittadini ucraini lasciavano il Paese liberamente.

“ Lasciati a sopravvivere da soli”

Gli studenti palestinesi in Ucraina facevano parte di una più ampia comunità di stranieri provenienti da paesi in via di sviluppo che avevano trovato un posto per studiare fuori dalla loro patria. Ma il loro status di residenti di Gerusalemme Est occupata, privi della cittadinanza israeliana, non ha reso loro la situazione facile. Come ha riferito una fonte al quotidiano Asharq al-Awsat, “poiché i palestinesi hanno vissuto molteplici guerre e conflitti, capiscono cosa significa fuggire dalla guerra e tornare, attraverso i continenti, alla guerra costante e a bassa intensità contro il occupazione.”

Persone in fuga riposano in un centro di accoglienza temporanea, a Korczowa, Polonia, 7 marzo 2022. (Olivier Fitoussi/Flash90)

Secondo il diritto internazionale, la dottrina della protezione diplomatica consente a uno Stato di proteggere i propri cittadini da emergenze e disastri naturali anche quando si trovano all’estero. Ma qual è lo status di coloro che portano una carta d’identità israeliana blu, ma non hanno la cittadinanza? Offrire tale protezione diplomatica è in definitiva un privilegio degli stati, e poiché Israele non riconosce la Palestina come stato sovrano, il ministero degli Esteri israeliano non può affermare che i gerosolimitani palestinesi possono ricevere  protezione diplomatica da un altro stato.

Il documento di viaggio di Gerusalemme Est che accompagna la carta d’identità blu, tra l’altro, indica che il suo titolare è “giordano” – un residuo del controllo del regno sul territorio prima del 1967 – ma la maggior parte dei suoi titolari non ha un numero di carta d’identità o cittadinanza giordana. Samer Sinjilawi, attivista di Gerusalemme est e presidente del Jerusalem Development Fund, spiega che questo documento di viaggio non garantisce alcun diritto reale nei consolati e nelle ambasciate israeliane all’estero. Nella sua stessa esperienza, avendo vissuto in Spagna per anni, la richiesta di assistenza alle autorità israeliane di solito richiede perquisizioni umilianti e interrogatori dietro le quinte.

Nel contesto della guerra in Ucraina, l’Autorità Palestinese è stata attiva nell’assistere gli studenti palestinesi facendo sforzi per garantire varie forme di protezione diplomatica. Secondo l’ambasciatore Ahmad Al-Deek, il ministero degli Affari esteri palestinese ha formato quattro centri per la risposta alle emergenze, fornendo servizi ai palestinesi alle frontiere, nei villaggi ucraini e nella città di Kharkiv, pesantemente bombardata, dove uno studente palestinese è morto per infarto.

Eppure alcuni studenti palestinesi non sono così facilmente assistiti dall’AP, tra cui i gazawi e i  gerosolimitani. Il servizio estero dell’Autorità Palestinese è disposto ad aiutare i residenti di Gerusalemme, ma non ha il controllo sulle informazioni rilevanti e spesso non ha il potere di farlo. “Possono portarti ad Amman, ma questo non aiuta se devi raggiungere Tel Aviv”, ha detto Sinjilawi. Inoltre, “l’Autorità Palestinese ha preso le distanze dai gerosolimitani est. Sono ignorati e vengono lasciati a sopravvivere da soli”.

Ebrei in fuga dalla guerra in Ucraina atterrano all’aeroporto Ben Gurion, 6 marzo 2022. (Hadas Parush/Pool)

Il 28 febbraio, l’ambasciatore del Kenya alle Nazioni Unite Martin Kimani ha affermato che “i maltrattamenti dei popoli africani ai confini dell’Europa devono cessare immediatamente, sia per gli africani in fuga dall’Ucraina che per quelli che attraversano il Mediterraneo”. Dal punto di vista di uno Stato in via di sviluppo, queste ingiustizie di confine dovrebbero essere considerate, in termini legali internazionali, come questioni di protezione diplomatica, forse anche più di quanto non riguardino i diritti dei rifugiati (un quadro più familiare nel dibattito europeo).

In questo contesto, l’esperienza degli studenti palestinesi fuggiti dall’Ucraina rivela la posizione ambigua di Israele di fronte alla crisi: quella di una generosità sovrana apparentemente forte nei confronti degli ebrei ucraini, intesi come aspiranti cittadini in virtù di legami etnico-religiosi; e allo stesso tempo, una posizione ridotta nei confronti dei palestinesi, non disposti come sono a fornire un minimo di protezione diplomatica non discriminatoria alle persone che vivono permanentemente in aree in cui ha imposto la propria sovranità.

Il sentimento di disprezzo descritto dagli studenti palestinesi è quindi il risultato di caratteristiche strutturali del controllo israeliano. Quando l’emergenza accade all’estero, non possono fare affidamento su uno stato che girerà loro le spalle. Israele sta attualmente compiendo sforzi significativi per garantire una forma di protezione  non solo ai suoi cittadini, ma a tutti coloro che hanno radici ebraiche e, in una certa misura, anche agli ucraini non ebrei. Ma in circostanze così estreme, tutti i gruppi che vivono sotto la sovranità de facto di Israele dovrebbero ricevere la sua protezione diplomatica.

Itamar Mann è Professore Associato di Giurisprudenza presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Haifa, dove insegna e ricerca il diritto internazionale e numerosi corsi correlati. È anche consulente legale presso il Global Legal Action Network (GLAN).

 

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