Articolo pubblicato originariamente su +972 Magazine e tradotto dall’inglese dalla redazione di Bocche Scucite
Coloni israeliani e attivisti di destra vedono costruire un “avamposto” all’interno del valico di Erez, 29 febbraio 2024. (Oren Ziv)
Decine di coloni e attivisti di destra hanno preso d’assalto il valico di Erez, costruendo due strutture in legno mentre soldati e polizia si tenevano in disparte.
Oltre 100 israeliani hanno preso d’assalto ieri pomeriggio il valico di Erez, all’estremità settentrionale di Gaza, nel tentativo più significativo di ristabilire insediamenti ebraici nella Striscia dall’inizio della guerra. Un piccolo numero è riuscito ad attraversare alcune centinaia di metri all’interno di Gaza prima di essere intercettato dai soldati israeliani, mentre circa altri 20 sono entrati nell’area tra i due muri che compongono la barriera che racchiude la Striscia. Lì, hanno stabilito un “avamposto” nello stile comunemente visto in Cisgiordania, costruendo per diverse ore senza che l’esercito o la polizia interferissero.
Fin dai primi momenti della guerra, è stato chiaro che i politici israeliani di destra e i leader dei coloni hanno percepito l’opportunità di cambiare radicalmente lo status quo in Israele-Palestina. Per mesi, gli appelli a reinsediare Gaza – spesso insieme alla richiesta di espellere i 2,3 milioni di residenti palestinesi della Striscia – sono stati sempre più forti, non da ultimo in occasione di un’importante conferenza tenutasi a Gerusalemme a gennaio, durante la quale gli alti funzionari hanno illustrato i loro piani. Parallelamente, gli attivisti di destra – per lo più giovani – si sono avvicinati regolarmente alla barriera di Gaza per manifestare contro l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia. L’azione di ieri, tuttavia, ha segnato un nuovo picco nelle loro attività.
Intorno alle 14.00, gli attivisti hanno iniziato a riunirsi in una stazione ferroviaria nella città di Sderot, nel sud di Israele, vicino a Gaza. In quel punto di incontro iniziale – per quella che apparentemente era una “protesta” in onore di Harel Sharvit, un colono ucciso mentre prestava servizio a Gaza – l’atmosfera era calma, persino sonnolenta. Un’auto della polizia è passata davanti a noi, indifferente alla scena. Da lì, gli attivisti si sono diretti con auto private verso il checkpoint di Erez, l’unico punto di attraversamento civile tra Israele e la Striscia di Gaza, che è stato definito dall’esercito israeliano come “zona militare chiusa” da quando è stato brevemente conquistato dai palestinesi durante gli attacchi del 7 ottobre, guidati da Hamas, al sud di Israele.
Quando si sono avvicinati al posto di blocco, gli attivisti sono scesi dalle loro auto e hanno iniziato a marciare. A questo punto, sono stati accolti da un altro convoglio di veicoli pieni di “giovani delle colline” – giovani coloni violenti che stabiliscono regolarmente nuovi avamposti in Cisgiordania e attaccano i palestinesi per costringerli a lasciare la loro terra. Almeno due di loro erano armati di fucili del tipo usato dai militari e portavano con sé materiali da costruzione per realizzare un avamposto.
A un certo punto, alcuni di loro hanno iniziato a correre verso il checkpoint e sono riusciti ad attraversarlo senza ostacoli, senza che i pochi soldati presenti potessero fermarli. Nello spazio tra i due muri che racchiudono la Striscia, circa 20 di loro hanno iniziato a erigere due strutture utilizzando i materiali che avevano portato: assi e pali di legno e lamiere di ferro per i tetti. Nel frattempo, un manipolo di giovani coloni si è spinto all’interno di Gaza, sempre senza essere ostacolato dai soldati.
Dalle radio dei soldati è arrivato il messaggio che un certo numero di persone aveva attraversato Gaza, e sono state inviate jeep militari e persino due carri armati per cercarle. Circa mezz’ora dopo, una jeep militare ha riportato i giovani sul lato israeliano del valico, senza arrestarli. Sono usciti dalla jeep tra gli applausi degli altri attivisti, unendosi al gruppo più numeroso al grido di “È nostro”.
Per diverse ore, coloro che avevano attraversato lo spazio tra i due muri hanno continuato a costruire l’avamposto – che hanno chiamato Nuova Nisanit, dal nome di uno degli insediamenti di Gaza evacuati nell’ambito del “disimpegno” del 2005 – senza interferenze. Come in Cisgiordania, i soldati sono rimasti nelle vicinanze e hanno fornito protezione, piuttosto che cercare di fermarli.
Questo è il nostro Paese
Amiel Pozen e David Remer, entrambi di 18 anni, erano due dei coloni che sono riusciti ad attraversare circa 500 metri verso Gaza. Dopo essere stati prelevati e riportati al posto di blocco dall’esercito israeliano, i due hanno parlato con +972.
“Non c’era paura di essere dentro [Gaza], il Santo è con noi e l’IDF è qui ad aiutarci”, ha detto Remer. “Siamo venuti qui [perché] volevamo tornare a casa. Vivo in una comunità di deportati da Gush Katif [il blocco di insediamenti ebraici all’interno di Gaza evacuato nel 2005] e volevamo tornare a casa. Dopo tutto quello che è successo, non c’è dubbio che dobbiamo tornare.
“La sensazione è molto buona, è come tornare a casa”, ha continuato Remer. “È nostro. Il Santo, che sia benedetto, ha detto che è nostra. Se non ci saremo, sappiamo cosa ci sarà”.
Pozen ha aggiunto: “Siamo venuti a rappresentare l’intero pubblico, il popolo ebraico. Vogliamo tornare in tutta la Terra d’Israele, in tutte le parti della nostra Terra Santa. Non esistono ‘due Stati per due popoli’: non è giusto. Il popolo di Israele appartiene alla Terra di Israele”.
Riguardo alla possibilità di convincere il governo a sostenere il reinsediamento di Gaza, Pozen ha detto: “Vorrei che il governo capisse [ciò che] la maggioranza della popolazione ha già capito: Noi siamo qui. È nostra. Non c’è alcun ostacolo politico o internazionale. Non abbiamo bisogno di considerare nessun altro. È una questione interna. Dobbiamo andare a Gaza, distruggere tutto il terrore che c’è lì e costruire noi stessi”.
Riguardo alla possibilità di convincere il governo a sostenere il reinsediamento di Gaza, Pozen ha dichiarato: “Vorrei che il governo capisse [ciò che] la maggioranza della popolazione ha già capito: Noi siamo qui. È nostra. Non c’è alcun ostacolo politico o internazionale. Non abbiamo bisogno di considerare nessun altro. È una questione interna. Dobbiamo andare a Gaza, distruggere tutto il terrore che c’è lì e costruire noi stessi”.
Un altro dei coloni intercettati dall’esercito dopo aver attraversato ulteriormente Gaza ha mostrato ai suoi amici una foto scattata con il suo telefono di una pianta di fragole in un campo palestinese, dicendo: “Guardate com’è bello il Paese”.
Nel corso della serata, i giovani coloni hanno continuato ad aggirare l’esercito e a correre verso l’avamposto. Molti di loro lo hanno fatto strisciando attraverso un buco nella recinzione che probabilmente è stato creato durante gli eventi del 7 ottobre, fino a quando i soldati hanno portato un bulldozer per chiuderlo con la terra.
Molti dei giovani appartenevano alle stesse organizzazioni che nelle ultime settimane hanno tentato – spesso con successo – di bloccare l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza. Ai loro occhi, c’è una connessione tra il rifiuto degli aiuti ai palestinesi e la ricostituzione degli insediamenti ebraici a Gaza: entrambi sono visti come un mezzo per ottenere una “vittoria” decisiva.
Mechi Fendel, un attivista di destra di Sderot, ha dichiarato a 972: “Siamo venuti qui per dichiarare che il giorno dopo la fine di questa guerra, dobbiamo insediarci, dobbiamo diffondere città ebraiche in tutta la Striscia di Gaza. Perché senza questo, diventerà un vespaio. Non si può lasciare il vuoto. Non c’è motivo per cui vogliamo che questo accada di nuovo. Io vivo a un chilometro di distanza dalla Striscia di Gaza. Non posso avere dei terroristi come vicini – e il 7 ottobre hanno mostrato la loro vera natura”.
Per quanto riguarda la costruzione dell’avamposto vicino alla barriera, ha spiegato: “È un atto simbolico, che dimostra che abbiamo costruito due case. Sono arrivati con questi grandi pezzi di legno e hanno costruito due strutture qui nella Striscia di Gaza. Naturalmente è un atto simbolico perché non rimarranno qui stanotte. Ma il punto è che è qui che dobbiamo stare. Questo è il nostro Paese. Non possiamo lasciare che un’intera striscia di terra non venga colonizzata”.
E cosa accadrebbe ai palestinesi di Gaza se venissero creati degli insediamenti ebraici? “Se sono disposti ad accettare la giurisdizione israeliana, se sono disposti a farci entrare e a controllare il loro sistema educativo e ad aiutarli finanziariamente, allora lasciamoli restare se sono pacifici”, ha detto Fendel. “Finora non ho trovato un palestinese pacifico. Come ho descritto, i lavoratori palestinesi [che hanno lavorato in Israele] per decine di anni sono diventati terroristi in un secondo.
“Penso che il governo, quando vedrà che siamo d’accordo con loro, che la gente lo vuole, sarà favorevole”, ha proseguito. “Perché anche il governo non vuole che si crei un vespaio di terroristi. Penso che se abbiamo le persone e la volontà e dimostriamo che siamo lì, siamo coraggiosi e vogliamo farlo, il governo ci aiuterà”.
Prima l’irruzione dei soldati, ora quella dei coloni
Le dinamiche ricordavano le scene tipiche della Cisgiordania, con i coloni che avevano libertà d’azione mentre i soldati se ne stavano in disparte, nonostante si trovassero all’interno di una zona militare chiusa e alcuni di loro fossero addirittura entrati in una zona di combattimento. Alcuni soldati sono stati visti abbracciare gli attivisti. Un soldato ha dichiarato a +972 che i soldati sostengono gli attivisti e che il problema sono “i media che vogliono l’azione, per filmare i soldati che picchiano gli ebrei”.
Anche se i soldati hanno l’autorità di detenere i cittadini israeliani – e negli ultimi mesi hanno arrestato giornalisti e altri civili che si erano avvicinati alla recinzione – evitano sempre di arrestare i coloni che infrangono la legge in Cisgiordania, e così è stato anche ieri. Uno degli attivisti, che ha dichiarato a +972 di essere un soldato fuori servizio e di indossare l’arma militare su abiti civili, ha detto di aver lasciato l’area in anticipo perché i soldati lo avevano avvertito che lo avrebbero “cacciato dall’esercito”.
I soldati hanno parlato con calma con gli attivisti, tra cui il noto kahanista Baruch Marzel, arrivato in un secondo momento. “È come i soldati che hanno fatto irruzione [a Gaza] – ora sono loro [i giovani coloni] a fare irruzione”, ha detto Marzel a uno dei soldati.
Più tardi, mentre se ne stavano andando, Marzel ha detto a +972 che l’azione gli ha ricordato il “primo insediamento di Sebastia” – un villaggio vicino a Nablus, in Cisgiordania, dove, circa 50 anni fa, un gruppo di coloni del movimento Gush Emunim ha tentato di stabilire un insediamento ebraico e ha sfidato i tentativi del governo di sfrattarli finché non ha ceduto. Ha aggiunto che per lui la questione principale non è l’insediamento a Gaza, ma la deportazione dei palestinesi in “tutti i Paesi che li sostengono”.
Un funzionario della sicurezza presente sulla scena ha espresso a +972 il suo disappunto per il fatto che gli attivisti siano riusciti ad attraversare il checkpoint con tanta facilità. “Se sono riusciti a entrare a Gaza, significa che [i palestinesi] possono entrare anche nella direzione opposta”, ha detto.
Gli agenti di polizia arrivati sul posto hanno agito con la stessa indifferenza dei soldati. Sembravano non avere fretta di intervenire e inizialmente hanno arrestato solo un manifestante. Dopo il tramonto, intorno alle 19, alcuni attivisti hanno iniziato ad andarsene, mentre gli altri sono stati successivamente dispersi dalla polizia. In totale nove persone sono state arrestate e portate in una stazione di polizia ieri sera.
Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…