Articolo pubblicato originariamente su Haaretz e tradotto in italiano da Beniamino Rocchetto
Tutti lamentano la scomparsa del Mar Morto. Tuttavia discussioni, articoli e previsioni di decenni fa mostrano che ogni fase della scomparsa del mare era stata effettivamente anticipata.
Di Nir Hasson
“Chiunque voglia godersi un viaggio attraverso l’intero Mar Morto dovrebbe sbrigarsi e realizzare il suo desiderio”, ha scritto il giornalista di Haaretz Y. Terizi. E anche coloro che vogliono visitare i luoghi esotici lungo il Mar Morto, il lungomare e anche il luogo chiamato ‘Penisola’ (Tongue) dovrebbero affrettarsi, perché prima lo fanno, meglio è. In caso contrario, nel giro di pochi anni si potrebbe non avere l’opportunità di goderti tutto questo. In realtà è molto probabile che l’intero Mar Morto avrà un aspetto molto diverso dall’attuale e dal modo in cui appariva centinaia di migliaia e milioni di anni fa”.
Questo è stato scritto nel 1934.
Negli 88 anni successivi, quella profezia di sventura si è avverata. Alla fine del 2021, tutte le spiagge del Mar Morto in Israele sono state abbandonate e molte altre completamente distrutte dall’erosione. Infatti, per la maggior parte degli israeliani, il Mar Morto originale non è altro che il ricordo di un frammento di blu all’orizzonte. Ci sono ancora due posti dove si può entrare in acqua e fare il bagno: attraverso diverse spiagge all’estremità settentrionale del mare (precisamente, in Cisgiordania), e sul lungomare di Neve Zohar, nella parte meridionale, dove si trovavano gli alberghi costruiti ai margini di un enorme bacino di evaporazione creato dalla Dead Sea Works (Lavori del Mar Morto). Ogni altro tentativo di raggiungere la riva originale del mare è una missione per escursionisti coraggiosi o proprietari di fuoristrada.
Si potrebbe presumere che l’articolo di Terizi sia il primo nella stampa ebraica che avverte di un disastro ecologico e paesaggistico del Mar Morto. Ma sarebbe una lettura inattuale e fuori tempo. Scrivendo di un cambiamento nell’aspetto del Mar Morto a metà degli anni ’30, Terizi non si riferiva necessariamente a un cambiamento in peggio. Terizi, infatti, lo intendeva proprio come l’opposto: un cambiamento positivo sulla strada per un futuro migliore. “I bulldozer sbuffano potentemente, spianano vasti tratti di terra, vengono eretti argini protettivi, si costruiscono strade, le paludi stanno scomparendo, le aree dei futuri bacini stanno prendendo forma e sta emergendo qualcosa di tremendo come mai visto prima nel Paese che stiamo costruendo”, ha scritto. Come molti altri in quel periodo e nei decenni successivi, vide il prosciugamento del Mar Morto non come un problema ma come un’opportunità.
“Lo sfruttamento del Mar Morto è stato trattato come un’attività redditizia”, afferma la curatrice e ricercatrice Orit Engelberg-Baram, che ha studiato la storia ambientale del Mar Morto per la sua tesi di dottorato presso l’Università di Haifa. Intitolata: “Una Morte Annunciata”, la tesi è stata scritta sotto la supervisione del Professor Efraim Lev e del Dottor Asaf Zeltser. Analizza l’atteggiamento assunto dal movimento sionista e dallo Stato d’Israele nei confronti della più importante risorsa naturale che gli è stata concessa. La metamorfosi del Mar Morto da singolare fenomeno naturale globale a vasto impianto per la produzione di potassio non è un intoppo o un errore, spiega Engelberg-Baram; è il risultato inevitabile di una serie di decisioni prese nel secolo scorso. La sua tesi racconta la burocrazia dietro un disastro ecologico in divenire.
“Siamo entrati nell’abisso con gli occhi aperti, era tutto prevedibile”, dice, e poi aggiunge con riluttanza: “Quasi tutto. L’unica cosa che è stata una sorpresa sono stati gli stagni: nessuno prevedeva quello sviluppo”. Riflettendo, aggiunge: “In realtà, la percezione di un disastro ecologico è dovuta solo agli stagni; senza di essi, non sono sicuro che sarebbe visto come un disastro, senza gli stagni non è affatto inteso come un abisso”.
Come esempio, Engelberg-Baram individua un altro articolo sulla stampa, questo del 1946. Intitolato “Sfruttare le acque del Giordano per l’irrigazione non danneggerà il Mar Morto”, l’articolo afferma che l’utilizzo dell’acqua del Giordano comporterebbe un rapido abbassamento del livello del mare e il prosciugamento del bacino meridionale del mare. “Come è possibile che il bacino meridionale si prosciughi e il mare non venga danneggiato?”, chiede retoricamente Engelberg-Baram. “Perché ciò che contava allora nel Mar Morto erano i minerali e non il paesaggio. L’approccio era che tutto il possibile dovesse essere sfruttato senza fare riferimento al Mar Morto come un paesaggio che possiede un valore intrinseco”. Lo scrittore del 1946 dice rassicurante: “Un abbassamento di 10 metri non influirà sulla concentrazione di salamoia”, cioè i minerali che potrebbero essere estratti dal mare.
La genesi di questo approccio, dice Engelberg-Baram, risiede nelle radici del sionismo e nel suo atteggiamento verso la natura. Theodor Herzl anticipò l’estrazione di minerali dal Mar Morto e un romanzo utopico del 1892 dello scrittore e attivista sionista Elhanan Leib Lewinsky: “Viaggio Nella Terra di Israele nell’Anno 5800”, l’anno ebraico corrispondente al 2039-2040, prevede una “città del sale” di 100.000 abitanti sulle rive del Mar Morto. “C’è grande trambusto, c’è molto rumore e stridio di macchine, il vapore sale dalle ciminiere e migliaia di lavoratori vi sono impiegati”.
Palestine Potash Ltd. (Palestina Potassio SPA), l’antenato storico dell’odierno Israel Chemicals Group Ltd (Gruppo Chimico Israeliano SPA), attuale proprietario della Dead Sea Works (Opere del Mar Morto), è stata la prima a lanciare operazioni che hanno rimodellato l’estrazione dei minerali nel Mar Morto. L’azienda era una specie di anomalia nel panorama pionieristico sionista dell’epoca: non era una cooperativa o un’industria appartenente alla federazione del lavoro Histadrut, ma una società di imprenditori privati registrata alla Borsa di Londra. Questo nuovo concetto non si adattava bene alla dirigenza dell’Yishuv, di orientamento socialista, la comunità ebraica in Palestina prima del 1948. Engelberg-Baram ipotizza che questo sia il motivo per cui il fondatore dell’azienda, Moshe Novomeysky, un ingegnere di origine siberiana, è una figura un po’ dimenticata nella storiografia sionista. Gerusalemme è l’unica città con una strada che porta il suo nome, e anche quella è una strada minore, nel quartiere di Ramat Sharett. Questo stato di cose fu in qualche modo rettificato il mese scorso quando l’Israel Chemicals Group ha inaugurato il Centro Museale Moshe Novomeysky presso lo storico sito della fabbrica di potassio di Sdom, sul Mar Morto.
Nel 1948, quando scoppiò la Guerra d’Indipendenza di Israele, le credenziali capitaliste internazionali di Novomeysky gli fornirono l’opportunità di cercare di salvare il progetto della sua vita. All’epoca, la maggior parte dell’attività industriale si svolgeva nella parte settentrionale del Mar Morto, in un’area che secondo il piano di spartizione delle Nazioni Unite doveva entrare a far parte dello Stato arabo. Novomeysky ha raggiunto un accordo con alti funzionari britannici e giordani per lasciare la fabbrica intatta in una sorta di enclave internazionale. Il giorno in cui lo Stato è stato dichiarato, Novomeysky si è affrettato a informare David Ben-Gurion dell’accordo. Il leader del nuovo Stato ha visto positivamente l’accordo, ma aveva fretta di arrivare alla cerimonia di proclamazione e ha chiesto a Novomeysky di tornare più tardi. Quando Novomeysky ha lasciato la riunione, è stato investito da una motocicletta e ricoverato in ospedale. In sua assenza l’accordo è andato in pezzi e su ordine dell’Haganah, l’esercito pre-statale, i dipendenti dello stabilimento settentrionale hanno demolito la struttura e sono fuggiti su barche a Sdom prima che il sito potesse essere attaccato dai giordani.
Successivamente sono stati compiuti sforzi per riprendere la produzione di potassio a Sdom. “Il Mar Morto costituisce la più importante di tutte le risorse naturali”, affermava un rapporto del comitato governativo del 1949. Il rapporto è stato redatto come parte di uno sforzo “per realizzare il pieno, rapido ed efficiente sfruttamento possibile di questa risorsa essenziale”. Tuttavia, ci volle fino al 1952, quando lo Stato nazionalizzò la compagnia di potassio, perché questi sforzi ottenessero un risultato. In questo periodo furono fatti ingenti investimenti, ma ci furono anche numerosi fallimenti. “Il detto all’epoca era che l’unica cosa che annega nel Mar Morto è il denaro”, dice Engelbert-Baram.
Nel 1955, l’ex Capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa Israeliane Mordechai Maklef fu nominato direttore della Dead Sea Works. Ha ricoperto la carica per più di un decennio ed ha esercitato un’influenza cruciale sugli sviluppi dello stabilimento durante quel periodo. Il suo biografo, Amos Goren, descrive un incontro che Makleff tenne con un candidato alla carica di ingegnere capo dell’azienda, in cui il direttore espose la sua visione: “Grandi dighe che divideranno la parte meridionale del mare in bacini di evaporazione, stazioni di pompaggio e fabbriche per la produzione di potassio, bromo e magnesio”, disse all’ingegnere, “trattando il mare come un’enorme miniera in cui i lavori sono appena iniziati”.
Poi, nel 1961, arrivò una delle svolte più drammatiche nella storia dell’industrializzazione del Mar Morto: l’emanazione della Legge sulla Concessione del Mar Morto da parte della Knesset. Era un atto legislativo eccezionale, formulato come un accordo tra lo Stato e la ditta Dead Sea Works, che allora era ancora una società governativa. La legge conferisce alla società diritti straordinari in vasti ambiti, tra cui, esplicitamente, il “diritto di trivellazione”.
Il testo della legge fa riferimento al “diritto esclusivo di estrarre per evaporazione (solare o artificiale), raffreddamento, estrazione mineraria, estrazione o in altro modo sali minerali, minerali e prodotti chimici, sia in soluzione che in forma solida, che si trovano dentro e sotto il Mar Morto nonché il diritto esclusivo di realizzare, ampliare, modificare, mantenere e trivellare, dentro e sotto il Mar Morto compresi, ma senza derogare alla generalità di quanto sopra, argini, bacini di evaporazione, canali sotterranei, barriere d’acqua, stazioni di pompaggio, canali, tubazioni, linee elettriche e cavi elettrici, strade, impianti antiallagamento, pozzi di trivellazione, e altri impianti”.
La legge è stata approvata sotto la forte pressione della Banca Mondiale, osserva Engelbert-Baram. La Banca Mondiale, insieme alle banche americane, avrebbe dovuto sottoscrivere la costruzione dei nuovi impianti per la lavorazione del potassio nel Mar Morto meridionale, e voleva garantire che alla società fosse concessa la completa libertà operativa. Anche in questo frangente c’è stato chi ha messo in guardia sulle conseguenze: “Credo che sarà difficile nascondere all’opinione pubblica locale e mondiale il fatto della capitolazione alle richieste arbitrarie di Mr. Black”, riferendosi a Eugene Robert Black, all’epoca presidente della Banca mondiale. Mordechai Bentov, Ministro dello Sviluppo, ha ammonito il Ministro delle Finanze Pinhas Sapir.
I partiti di sinistra vedevano gli eventi, ovviamente, come un’acquisizione colonialista e capitalista delle risorse nazionali, e attaccavano aspramente la legge. “È stato con straordinaria fretta che il gabinetto ha concluso la discussione sulla confisca dei tesori del Mar Morto ai proprietari privati di capitali e sull’abolizione della proprietà statale di una delle più grandi e importanti industrie di base del nostro paese”, ha accusato Y. Tomer, di Kol Ha’am, il giornale del Partito Comunista.
Nonostante tali proteste, iniziò la costruzione di grandi infrastrutture nella parte meridionale del Mar Morto con l’obiettivo di creare impianti moderni per estrarre potassio, sotto la gestione di Maklef. Questo periodo vide anche l’inizio di quello che sarebbe diventato uno dei più gravi problemi ambientali relativi al Mar Morto: l’estrazione della terra necessaria per costruire gli argini e le infrastrutture richieste dalla Dead Sea Works. Qui è entrata in vigore la piena forza della legge. “L’Autorità per le Riserve Naturali ha chiesto a Makleff di non aprire miniere in luoghi importanti dal punto di vista paesaggistico ed ecologico. Ha risposto: C’è una Legge di Concessione e farò come voglio”, dice Engelberg-Baram, “anche se alla fine ha accettato di ascoltare e spostare l’area mineraria”.
GRANDE SEGRETO GEOGRAFICO
Fu durante gli anni ’60 che si cominciarono a sentire le prime voci che suggerivano che il Mar Morto fosse più di una gigantesca miniera. Nel 1963, quando la costruzione delle moderne strutture della Dead Sea Works era al culmine, il quotidiano Davar, portavoce del partito al governo Mapai, precursore del Partito Laburista, pubblicò un articolo in anticipo sui tempi. “Per prima cosa trasformiamo il lago Hula in terreno agricolo. Poi trasformiamo il lago Kinneret in un bacino per l’irrigazione. E ora stiamo trasformando il Mar Morto in una fabbrica chimica”, scrisse all’epoca il giornalista Nahum Pundak. “È possibile, perché il livello della bilancia dei pagamenti sta migliorando, ma il nostro paesaggio sta facendo il contrario. Gran parte del Mar Morto che ora si trova all’interno dei nostri confini diventerà una vasta distesa di sale. Questo è destinato ad accadere entro 60-70 anni”.
Un ulteriore avvertimento è stato lanciato nel 1966 da Azaria Alon, co-fondatore della Società per la Tutela della Natura in Israele, considerato il padre della tutela ambientale del paese. “Davanti a noi ci sono lunghi e complicati processi legali e amministrativi; fino al loro completamento, è necessario assicurarsi che nulla di irreparabile venga fatto nel deserto e in riva al mare. Dobbiamo ricordare che, a causa delle condizioni climatiche, non possiamo aspettarci che la natura aggiusti ciò che gli esseri umani rovinano. Se nel nord l’acqua e le piante curano le “cicatrici”, non è così nel deserto. Ogni posto che scalfiamo, anche leggermente, rimane tale per decine e centinaia di anni. Questo è il vantaggio del deserto e anche il suo difetto. Se vogliamo preservare per noi stessi questo paesaggio impareggiabile, dobbiamo prima di tutto non danneggiarlo”.
Nel 1973 si tenne un simposio scientifico sul Mar Morto, in cui uno dei relatori, il Professor David Vofsi, affrontò una delle questioni più gravi relative al Mar Morto, una questione che avrebbe occupato lo Stato e la Dead Sea Works per i decenni a venire: l’innalzamento del livello dei bacini marini. A differenza del bacino settentrionale, che soffre di un rapido prosciugamento (il livello scende di circa 120 centimetri all’anno), il bacino meridionale presenta il problema opposto. Da quando il bacino si è prosciugato alla fine degli anni ’70, il suo territorio è diventato l’area degli stagni di evaporazione dell’azienda: ogni anno lo stabilimento del Mar Morto pompa l’acqua dal bacino settentrionale e allaga gli stagni. Negli anni ’70, quando si cominciarono a costruire i primi alberghi sulle sponde del più grande bacino di evaporazione, l’innalzamento del livello degli stagni sembrava ancora un problema lontano.
“Gli stagni stanno cominciando a intasarsi”, ha avvertito Vosfi, un chimico, “e tra 10 anni, diciamo, il luogo in cui ci troviamo ora sembrerà una grande distesa di sale. Questo è qualcosa di cui dobbiamo tener conto, perché finalmente qui si stanno costruendo alberghi, e prenderà il via un’industria i cui ricavi non saranno sicuramente trascurabili rispetto ai ricavi del potassio, e quindi ci verrà consigliato di aumentare le dighe, in modo da poter ritardare questo destino per un certo tempo. L’intero processo a cui stiamo pensando deve tenere conto del problema dello smaltimento del sale”.
Vosfi fu uno dei primi a parlare della necessità di rimuovere il sale dagli stagni. Ma è stato solo decenni più tardi, quando questi minacciavano di allagare gli alberghi, che sono iniziate intense discussioni sull’argomento. La questione della raccolta del sale dagli stagni divenne uno dei gravi problemi economici e ingegneristici che lo Stato dovette affrontare. Dopo lunghe discussioni e la creazione di una società governativa dedicata (la Compagnia di Conservazione del Mar Morto), lo Stato e l’Israel Chemicals Group (ILC) hanno raggiunto un accordo e durante lo scorso anno un’enorme chiatta ha iniziato a rimuovere il sale dal fondo delle vasche. La domanda ora è cosa fare con il sale raccolto, montagne di sale che nessuno vuole. L’ultima idea di ILC è quella di stendere una vasta superficie salina a nord degli stagni e usarla come piattaforma su cui costruire un parco fotovoltaico.
Il drammatico evento che ha alterato la mappa naturale della Terra d’Israele si è verificato nel 1979: il bacino meridionale del Mar Morto si è prosciugato ed è stato cancellato dal paesaggio. Quel dramma ha fatto poca notizia. Engelbert-Baram ha trovato un articolo sulla stampa, di Yisrael Tomer sul quotidiano Yedioth Ahronoth, che trattava l’argomento. “Si arriva a Masada, e leggermente più a sud, di fronte alla famosa “Penisola”, viene rivelato il profondo segreto. All’improvviso ci si accorge che manca qualcosa. Qui sta succedendo qualcosa di strano. “Solo un attimo”, e ti chiedi, “dov’è il mare?”. Questo sviluppo non appare ancora su nessuna mappa della Terra d’Israele. Questo deve essere il più grande segreto geografico che si è verificato nel nostro tempo”, ha scritto Tomer.
Ma in quella fase regnava ancora l’etica dello sviluppo. La Dead Sea Works era ancora una specie di simbolo nazionale e la redditività dell’ICL e la quantità di potassio che produceva ricevevano regolare copertura sui giornali. “Proprio come tutti hanno seguito l’andamento del lago Kinneret negli anni successivi, le persone hanno poi tenuto traccia di quante tonnellate di potassio venivano prodotte ogni mese” nel Mar Morto, osserva Engelberg-Baram.
A suo avviso, la svolta è arrivata solo all’inizio degli anni ’80. Il ritiro dell’esercito israeliano dal Sinai sulla scia del trattato di pace con l’Egitto ha dato luogo a forti pressioni per sviluppare il Negev. In risposta, iniziò a instillare la sensazione che, dopo tutto, avrebbe potuto essere utile preservare gli spazi aperti e desolati del deserto. Nel 1982, la Società per la Tutela della Natura tenne una storica conferenza al Moshav Hatzeva (comunità agricola), nel deserto di Arava. All’evento, il cui soggetto era: “La Dimensione Sionista per la Conservazione della Natura”, gli scrittori Amos Oz, S. Yizhar e Amos Kenan hanno riformulato i termini dell’amore per la terra e della conquista della natura selvaggia; la discussione sul deserto, compreso il Mar Morto, iniziò a cambiare. “Forse avremmo dovuto rivedere il nostro approccio al concetto di natura”, ha detto Kenan all’epoca. “Per me la natura racchiude tutti i ricordi della terra e tutti i mormorii che la terra emette e tutte le storie che ci sono da raccontare”.
Engelberg-Baram rileva i primi cambiamenti nella percezione ambientale della Dead Sea Works nel 1986, quando fu costruito il trasportatore che trasporta il potassio dallo stabilimento a Mishor Rotem, vicino a Dimona. “Cominciano a operare in modo diverso, non solo in base ai criteri minimi a cui la legge li obbliga”, dice. L’azienda ha assunto i servizi dell’architetto paesaggista Shlomo Aronson e si è affidata alle sue raccomandazioni in merito alla riduzione dell’impronta del trasportatore sul paesaggio e al movimento degli animali da un lato all’altro.
Meno di 10 anni dopo, quando il Primo Ministro Yitzhak Rabin ha voluto modificare la legge di concessione prima della privatizzazione della Dead Sea Works, era chiaro che la discussione pubblica e politica sul Mar Morto era cambiata; i costi ambientali del continuo sviluppo del mare erano ormai al centro della discussione.
“Mi sembra che questa sia stata la prima volta che il tema della qualità ambientale, almeno questa sarà la ricompensa di tutte le nostre fatiche, ha ricevuto grande attenzione”, ha detto l’allora Ministro della Tutela Ambientale Yossi Sarid, aggiungendo: “Oggi le questioni di qualità ambientale non sono una questione da affrontare retoricamente e non sono questioni ‘verdi’. Sono vere e proprie questioni economiche”.
A questo l’allora parlamentare Tamar Gozansky (Hadash) ha aggiunto: “Non c’è speranza per imprese come queste se non dimostrano che stanno attuando tutte le soluzioni possibili per preservare la qualità dell’ambiente, preservare il paesaggio, proteggere tutti i valori importanti per tutta la società”. Voci simili si sentivano anche dal lato destro della mappa politica. Il parlamentare Uzi Landau (Likud) ha dichiarato: “Con tutto il rispetto che ho per queste industrie e per il loro importante contributo è impossibile accettare questa urgenza. Il desiderio di privatizzare e la fretta sono del diavolo. Costruire e cementificare questo Paese da un capo all’altro sta sconvolgendo e danneggiando gravemente la qualità della vita e dell’ambiente, nonché l’equilibrio tra esseri umani, natura e vegetazione.
Alla fine del 2021, un’altra pietra miliare è stata segnata nella storia dello sviluppo e dello sfruttamento del Mar Morto: è entrata in funzione una nuova enorme stazione di pompaggio, denominata P-9. Situata su una piattaforma che si erge a pochi metri sopra il mare, di fronte a Masada, è il più potente impianto di pompaggio in Israele. È un’immensa struttura di acciaio, tubi e pompe collegata alla riva da un ponte. Fu eretta in sostituzione della precedente stazione, che come tutte le precedenti fu abbandonata a causa del restringimento del mare. Ogni anno pomperà 450 milioni di metri cubi di acqua arricchita con minerali fino a un’altezza di 50 metri per inviarla attraverso un canale aperto verso sud negli stagni di evaporazione della Dead Sea Works.
Contrariamente al punto di vista convenzionale, le officine di potassio non sono responsabili del prosciugamento del mare, sebbene stiano dando un contributo non trascurabile a tale processo. Le gigantesche pompe israeliane e giordane abbassano il mare di circa 20 centimetri all’anno, ulteriori 100 centimetri si perdono a causa dell’evaporazione dell’acqua e perché Israele, Giordania, Siria e palestinesi utilizzano quasi ogni goccia di acqua dolce destinata a fluire nel Mar Morto. Il risultato combinato, come notato, è un abbassamento di circa 120 centimetri all’anno.
A pochi chilometri a nord della piattaforma si trova l’ultima spiaggia, ridottasi dopo il ritiro del litorale, quella del comprensorio termale di Ein Gedi, chiuso durante la prima ondata di pandemia di coronavirus, due anni fa. La vegetazione all’ingresso del lussuoso centro termale ha già iniziato a rinsecchire e all’interno gli operai hanno accatastato i cartoni per imballare il contenuto del negozio di souvenir.
“Quando un giornalista lungimirante ha recentemente chiesto al Primo Ministro Levi Eshkol: E cosa accadrà allora?” Nahum Pundak, che aveva anticipato la trasformazione del Mar Morto in una “distesa di sale”, nel 1963, “Eshkol gli rispose: Annota il mio numero di telefono. Allora potremo parlare del futuro”.
Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…