Cosa non c’è di vero nel rapporto di Amnesty International

Articolo pubblicato originariamente su Haaretz e tradotto in italiano da Beniamino Rocchetto

Di Gideon Levy 

Mentre le reazioni esasperate si placano, Amnesty è antisemita, il rapporto è pieno di bugie, la metodologia è assurda, ci si deve chiedere: Cosa, precisamente, non è vero nel rapporto sull’apartheid israeliano di Amnesty International?

Israele non è da sempre fondato su una politica esplicita di mantenimento dell’egemonia demografica ebraica, riducendo al contempo il numero di palestinesi all’interno dei suoi confini? Sì o no? Vero o falso? Questa politica non esiste ancora oggi? Sì o no? Vero o falso? Israele non mantiene un regime di oppressione e controllo dei palestinesi in Israele e nei Territori Occupati a beneficio degli ebrei israeliani? Sì o no? Vero o falso? Le regole di ingaggio contro i palestinesi non riflettono una politica di sparare per uccidere, o almeno mutilare? Sì o no? Vero o falso? Gli sfratti dei palestinesi dalle loro case e la negazione dei permessi di costruzione non fanno parte della politica israeliana? Sì o no? Vero o falso?

Allo Sheikh Jarrah non è in atto l’apartheid? La legge dello Stato-Nazione non è apartheid? E la negazione del ricongiungimento familiare? E i villaggi non riconosciuti? E la “giudaizzazione”? C’è un solo ambito, in Israele o nei Territori, in cui vi sia una vera, assoluta uguaglianza, se non solo nominalmente?

Leggere il rapporto è sconfortante. È tutto ciò che sapevamo, ma scritto nero su bianco. Eppure in Israele non si prova né sconforto né rimorso. La maggior parte dei media l’ha ignorato e offuscato, e il coro della propaganda sionista Hasbara lo ha rinnegato. Il Ministro della Propaganda, Yair Lapid, ha recitato la sua parte e ha attaccato anche prima che il rapporto fosse pubblicato. Il Ministro per gli Affari della Diaspora Nachman Shai lo ha seguito a ruota. Deve ancora nascere il rapporto internazionale che Israele non denuncerà trascurando di rispondere a un singolo punto che solleva. Un’organizzazione dopo l’altra, alcune importanti e oneste, lo chiamano apartheid, e Israele risponde: antisemitismo.

Vi prego, dimostrate che Amnesty si sbaglia. Che non ci sono due sistemi di giustizia nei Territori, due classi di diritti e due regole per la distribuzione delle risorse. Che la legittimazione di Evyatar non è apartheid. Che gli ebrei possano reclamare le loro proprietà precedenti al 1948 mentre ai palestinesi viene negato lo stesso diritto non è apartheid. Che un insediamento verdeggiante proprio accanto a una comunità di pastori senza elettricità o acqua corrente non è apartheid. Che i cittadini arabi di Israele non sono discriminati sistematicamente e istituzionalmente. Che la Linea Verde non è stata cancellata. Cosa non è vero?

Anche Mordechai Kremnitzer era spaventato dal rapporto e lo ha attaccato. Le sue argomentazioni: Il rapporto non distingue i Territori Occupati da Israele e tratta il passato come se fosse il presente. È così che va quando anche gli accademici di sinistra si arruolano in difesa della propaganda sionista. Accusare Israele dei peccati del 1948 e chiamarlo apartheid è come accusare gli Stati Uniti di apartheid a causa delle passate leggi di Jim Crow [2], ha scritto su Haaretz mercoledì 2 febbraio.

La differenza è che il razzismo istituzionalizzato negli Stati Uniti è gradualmente scomparso, mentre in Israele è vivo e vegeto ed più forte che mai. Anche la Linea Verde è stata cancellata. È uno Stato da molto tempo ormai. Perché Amnesty dovrebbe distinguere? Il 1948 continua. La Nakba continua. Una linea retta collega Tantura e Jiljilya. A Tantura e stato compito un massacro, a Jiljilya causata la morte di un ottantenne, e in entrambi i casi le vite dei palestinesi non valgono nulla.

Naturalmente non c’è propaganda senza riconoscimenti per il sistema giudiziario. “L’importante contributo del consiglio legale del governo e dei tribunali, che, contro una larga maggioranza politica, ha impedito l’interdizione dei candidati e delle liste arabi alla Knesset. Un partito arabo che si unisce alla coalizione mette automaticamente in ridicolo l’accusa di apartheid”, ha scritto Kremnitzer.

È così bello avere l’Alta Corte di Giustizia, che non ha impedito una singola iniquità dell’occupazione, e Mansour Abbas per dimostrare che non c’è apartheid. Settantaquattro anni di statualità senza una nuova città araba, una nuova università araba o una stazione ferroviaria in una città araba sono tutti sminuiti dal grande insabbiatore dell’occupazione, dall’Alta Corte di Giustizia e da un alleato minore della coalizione araba, e persino questo è considerato illegittimo.

Il mondo continuerà a denunciare, Israele continuerà a ignorare. Il mondo dirà apartheid, Israele risponderà antisemitismo. Ma le prove continueranno ad accumularsi. Quanto scritto nel rapporto non nasce dall’antisemitismo, ma contribuirà a rafforzarlo. Israele è il più grande motivatore di impulsi antisemiti nel mondo di oggi.

Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.

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