Articolo originariamente pubblicato su+972mage tradotto in italiano da Valentina Timpani per Nena News
di Orly Noy
Lungi dal servire i bisogni dei residenti di Sheikh Jarrah, la scusa del comune di Gerusalemme per aver espulso la famiglia Salhiyeh è assolutamente cinica: “Ci sono molti terreni nella zona di Shuafat. Ci si può costruire una scuola, non c’è bisogno di distruggere la casa di qualcuno. A Shuafat, Sheikh Jarrah e Beit Hanina, non c’è un reale bisogno di scuole nuove in quei quartieri, mentre a Jabal Mukaber, dove la necessità è di gran lunga maggiore, non stanno costruendo nemmeno un’aula”.
Anche per gli attivisti veterani di Gerusalemme che hanno già visto una bella fetta di spettacoli crudeli – dalle demolizioni di case alla dura violenza della polizia e agli arresti brutali – l’immagine di Mahmoud Salhiyeh barricato, la settimana scorsa, sul tetto di casa sua nel quartiere di Sheikh Jarrah con una bombola di gas e una tanica di benzina, che minacciava di farsi esplodere, è stata straziante in modo differente.
Diversi attivisti e giornalisti hanno seguito gli sviluppi in uno stato di ansiosa allerta durante le ore in cui stava lì, pieno di rabbia e disperazione, pregando che casa sua non venisse distrutta dalle ruspe mandate dal comune. Eppure, quella sera nessun disastro ha avuto luogo – cioè, nessun disastro tranne la demolizione del vivaio, del negozio da barbiere e del terreno presenti all’interno delle proprietà della famiglia. Ma gli Salhiyeh non sono stati cacciati da casa loro, e Mahmoud è sceso dal tetto sano e salvo.
Dato che tutti sapevano che la minaccia di demolizione ed espulsione pendeva ancora sopra le teste della famiglia, gli attivisti sono rimasti nella casa, facendo turni giorno e notte per garantire una presenza che li proteggesse. Per tutto il giorno seguente, un’atmosfera quasi surreale pervadeva la casa; sul tetto, qualcuno suonava un oud, probabilmente senza sospettare che prima dell’alba il loro destino si sarebbe già abbattuto su di loro. Secondo chi era a casa nel momento dell’irruzione due giorni dopo, le forze di polizia sono arrivate sulla scena come se si trattasse di una zona di guerra.
Non è un segreto che lo stato di Israele, con tutti i poteri a sua disposizione ha intrapreso da decenni una guerra aperta e determinata contro i residenti palestinesi della città. Eppure in questo caso c’è qualcosa che fa passare in secondo piano persino la crudeltà della demolizione della casa di una famiglia e dell’atto di cacciarla per strada in una delle notti più fredde dell’anno, e si tratta della scusa incredibilmente cinica in nome della quale questo atto violento di barbarie ha avuto luogo: costruire una scuola sulla terra che è stata espropriata dal comune di Gerusalemme.
Voglio chiedere al sindaco di Gerusalemme, Moshe Leon: cosa impareranno i bambini in questa scuola? Quali valori promuoverà il sistema educativo in una scuola costruita sulle rovine delle vite della famiglia Salhiyeh?
Si tratta di una scusa cinica e malvagia, proprio perché a Gerusalemme est c’è davvero una carenza disperata di aule, per cui il comune di Gerusalemme è ampiamente responsabile, a causa della sua lunga politica di incuria.
Secondo i dati di Ir Amim, una ong israeliana che prova a rendere Gerusalemme una città più sostenibile ed equa per gli israeliani e i palestinesi che la condividono, in relazione all’anno scolastico 2020-21, a Gerusalemme est mancano 2.840 aule. In più, una richiesta di informazioni libere presentata da Ir Amim ha fatto emergere che il comune di Gerusalemme non è a conoscenza del quadro educativo in cui studiano 37.233 bambini palestinesi (quasi il 27 percento dei bambini di Gerusalemme Est in età da scuola dell’obbligo).
Anche coloro che sono più attivi riguardo la questione dell’istruzione a Gerusalemme est non credono che la demolizione della casa dei Salhiyeh sia pensata per dare beneficio ai loro bambini. Basta dire che nello stesso Sheikh Jarrah, un terreno vuoto pensato per i bisogni pubblici è stato dato dal comune alla non profit ultra-ortodossa Ohr Somayach, che ha intenzione di costruirci una yeshiva religiosa e dei dormitori per i suoi studenti.
“Non c’è un solo palestinese a Gerusalemme est che crede che lo stiano facendo nell’interesse dei bambini”, dice Abdel Karim Lafi, che è stato per dieci anni presidente del Comitato dei Genitori di Gerusalemme est. “Guardate come ci trattano nel dipartimento di pianificazione. Fanno diventare matti i nostri architetti. Non ti accettano le richieste di permesso, non ti rispondono alle email, poi ti dicono ‘Abbiamo chiuso il programma’”.
“Demoliscono una casa per costruire una scuola? Quanti terreni stanno lì vuoti a Beit Hanina, a Shuafat? Chi cercano di prendere in giro? Pensano che siamo stupidi? Non è normale per niente, quello che stanno facendo. Avete visto quante auto della polizia e quanti poliziotti ci sono? È una seconda occupazione”, dice.
La scusa della costruzione di una scuola è assurda anche agli occhi di Nahar Halsi, membro del comitato dei genitori nel quartiere di Jabal Mukaber, che ha lavorato per tanti anni per migliorare lo stato dell’istruzione a Gerusalemme est.
“Ci sono molti terreni nella zona di Shuafat. Ci si può costruire una scuola, non c’è bisogno di distruggere la casa di qualcuno”, mi dice Halsi. “Ma a Shuafat, Sheikh Jarrah e Beit Hanina, il comune sta costruendo senza necessità; non c’è un reale bisogno di scuole nuove in quei quartieri, mentre a Jabal Mukaber, dove la necessità è di gran lunga maggiore, non stanno costruendo nemmeno un’aula”.
“Non è una questione di costruire scuole, ma di realizzare altri obiettivi. Questo quartiere non ha bisogno di una scuola, di certo non immediatamente. Un bambino di Sheikh Jarrah può andare a Shuafat o a Beit Hanina dove ci sono molte scuole vuote. Ci vogliono cinque minuti di macchina. L’emergenza più grave è nel sud della città: Ras al-Amud, Silwan, Jabal Mukaber – è lì che c’è la maggiore mancanza di aule”.
Sono venuta a conoscenza di questa grave carenza all’inizio dell’anno scolastico in corso durante un tour con Halsi delle istituzioni scolastiche a Jabal Mukaber. Halsi mi ha mostrato un appezzamento di terreno che secondo i piani del comune è destinato a essere usato per la costruzione di una scuola, eppure il comune ha evitato di portare avanti il progetto perché un residente del posto sta occupando abusivamente la zona e si rifiuta di liberarla.
Nonostante la grave carenza di aule a Jabal Mukaber sia di gran lunga maggiore di quella a Sheikh Jarrah e nei quartieri settentrionali di Gerusalemme Eet, il comune non ha chiesto lo sfratto, e la polizia non ha fatto irruzione nel cuore della notte con granate stordenti per cacciare l’intruso in modo da poter costruire la scuola.
“Fondamentalmente stanno applicando una politica, e si tratta di una politica specifica e chiara: sbarazzarsi del maggior numero possibile di palestinesi e introdurre il maggior numero possibile di ebrei, in modo tale da frammentare i quartieri arabi e impedire la contiguità palestinese”, conclude Halsi.
Guardando il modo in cui Israele gestisce Gerusalemme est, bisognerebbe avere un livello patologico di ingenuità per non vedere la politica di cui parla Halsi. Con l’assistenza generosa dello Stato, l’impresa di insediamento sta piantando un paletto in quasi ogni quartiere palestinese. Solo che questa volta, il comune stesso sta prendendo il comando.
“Per anni, il comune ha discusso con noi riguardo la carenza di aule”, dice Yehudit Oppenheimer, direttore di Ir Amim, che, insieme all’Associazione per i Diritti Civili in Israele (Acri), ha condotto una petizione riguardo la questione della carenza di aule a Gerusalemme est. “Non costruiscono in posti dove i residenti implorano perché vengano fatte costruzioni, anche dove i progetti sono stati approvati. A Jabal Mukaber, per esempio, aspettano da anni che siano costruite sette scuole che sono già state approvate”.
“Il comune costruisce a rilento, mettendo avanti delle condizioni, e ora usa questa ragione assolutamente cinica”, continua Oppenheimer. “In un quartiere pieno di espulsioni, cacciate un’altra famiglia? Non vedete il contesto? E perché distruggere la casa, quando anche secondo il progetto del comune era possibile lasciarla lì?”.
“Il ministro della sicurezza pubblica Omer Bar-Lev ha affermato in riferimento alla demolizione a Sheikh Jarrah, ‘Non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca’ cioè ‘Volete che vi proteggiamo e vi diamo un’istruzione? Non è un po’ troppo?!’ Ma non si può sostenere di stare lavorando nell’interesse dei residenti e poi espellere una famiglia così, senza pietà. Mi ricorda anche l’appello dei residenti di Beit Safafa contro questa strada terribile che passa attraverso la loro terra. I rappresentanti del comune gli dissero quella volta ‘Ma vi abbiamo dato due scuole’”.
“È un’immagine che arriva al cuore di come i palestinesi sono percepiti dal comune di Gerusalemme. I diritti limitati che è disposto a dargli – come l’istruzione – li concede con la forza e in modo criminale, senza preoccuparsi di esplorare altre possibili alternative, invece di cedere a una yeshiva un terreno vuoto pensato invece per una scuola.
“Dopo tutto, la famiglia non era contraria alla costruzione di una scuola; è un terreno grande abbastanza perché ci stiano sia una casa che una scuola. E sai cosa? Il vivaio che è stato demolito dalla polizia avrebbe potuto essere integrato nella scuola di educazione speciale che vogliono costruire lì. Ma tutto viene avanzato con forza e violenza”.
“C’è anche una questione di tempistica. Dopotutto, non è che costruiranno lì domani, non era urgente, si poteva aprire nuovamente una trattativa con la famiglia e cercare alternative. In un momento in cui gli sfratti a Sheikh Jarrah da parte dei colonizzatori stanno causando un tale attrito, una tale ostilità, il comune deve mettere su questo spettacolo? E nella settimana più fredda dell’anno?”.
Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…