GIDEO LEVY // I SOLDATI ISRAELIANI HANNO SPARATO A UN PALESTINESE CON UN PROIETTILE DI GOMMA, TENTANDO POI DI TIRARLO FUORI DALL’AMBULANZA

tratto da: Beniamino Benjio Rocchetto

venerdì 1 gennaio 2021   17:54

Le truppe israeliane hanno sparato contro i manifestanti che sostenevano i pastori il cui villaggio era stato demolito. Dopo che un manifestante è stato colpito da un proiettile di gomma, i soldati hanno cercato di impedire i soccorsi.

Di Gideon Levy e Alex Levac – 1 gennaio 2021

Il paramedico chiuse velocemente la porta dell’ambulanza. I soldati arrivarono ​​di corsa, a fucili spianati. Uno di loro ha sparato in aria una granata lacrimogena. Un passante gli imprecò contro. I soldati si fermarono momentaneamente, consultandosi tra loro su cosa fare. Dopodiché uno di loro entra come una furia nell’ambulanza, un veicolo palestinese appartenente all’organizzazione della Mezzaluna Rossa. Le urla di dolore e terrore provenienti dall’interno del veicolo, dove un uomo ferito giaceva su una barella, si fecero più forti.

All’interno dell’ambulanza è avvenuta una violenta tergiversazione tra il paramedico e il soldato, entrato dalla porta scorrevole laterale. Il soldato ha trascinato il ferito verso di sé, cercando di estrarlo con la forza dall’ambulanza; il paramedico tratteneva il ferito dalla furia del soldato, cercando di proteggerlo e tenerlo sulla barella. Era una scena orribile e le urla si intensificavano. Altri soldati si avvicinarono e aprirono le due porte posteriori dell’ambulanza; anche loro cercarono di trascinare via il ferito, che veniva strattonato da tutte le direzioni.

Un altro soldato si è sporto nel veicolo. Il suo elmetto delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) portava l’iscrizione “S.A.” In tedesco, questa è l’abbreviazione di Sturmabteilung, le forze d’assalto naziste. Probabilmente nessuno aveva la più vaga idea della spaventosa connotazione. Un altro soldato che ha guardato all’interno dell’ambulanza indossava un elmetto con la scritta “A.A.” sopra, come per mitigare l’impressione creata dal copricapo del suo collega.

Nel frattempo, alcuni soldati sono riusciti a salire sull’ambulanza e a prenderne il controllo. Il paramedico era da solo ad affrontarli. La lotta all’interno del veicolo si intensificava, insieme ai rantoli e le urla del ferito. Sullo sfondo, spesse nuvole bianche di gas lacrimogeno si levavano lungo la strada. Arrivarono altri soldati, ma all’improvviso desistettero e lasciarono l’ambulanza. Devono aver ricevuto un ordine. Le portiere dell’ambulanza si chiusero partendo in tutta fretta a sirene spiegate.

Il video dell’orribile incidente è apparso sui social media palestinesi ed è stato trasmesso dalle emittenti televisive di tutto il mondo. Questo è il vero volto dell’IDF.

A casa nella piccola città di Tayasir, in una delle abitazioni più vicine al punto di controllo coronavirus presidiato dalla polizia palestinese, l’uomo ferito dall’incidente è ancora spaventato e agitato. Fahdi Wahdan, un bracciante di 25 anni, di bassa statura, sorridente e scalzo, vive nella casa dei suoi genitori ma ora ha paura di uscire.

Circa un terzo dei 3.000 residenti in questa città del nord della Valle del Giordano, compresi i bambini, sono impiegati come braccianti agricoli negli insediamenti israeliani della zona, sfruttati e con salari da fame. Wahdan ha lavorato con suo zio anche per alcuni proprietari terrieri palestinesi.

Questa parte della valle si colora di verde e marrone in questo periodo dell’anno. Non lontano, le truppe dell’IDF stanno partecipando a un’esercitazione, scalando una parete di cemento accanto all’insediamento di Hemdat; nel frattempo i “giovani delle colline” provenienti da avamposti illegali conficcano dei paletti nel terreno e costruiscono un altra recinzione per rubare altra terra palestinese. Il loro scopo è impedire ai proprietari terrieri e agli altri palestinesi di pascolare le loro pecore vicino alle aree di addestramento dell’esercito. Questa è la quotidianità nella Valle del Giordano.

Le truppe israeliane hanno preso Wahdan dal suo letto nel cuore della notte per tre volte negli ultimi anni, e ogni volta lo rilasciavano al checkpoint di Tayasir dopo averlo tenuto legato al freddo tutta la notte. L’IDF sembra avere un debole per le case nella parte orientale di Tayasir, che sono vicine alle sue aree di addestramento, è facile entrare e arrestare i residenti. I giovani locali di tanto in tanto setacciano i campi al seguito dei soldati e raccolgono i resti delle munizioni o del cibo che si lasciano dietro. In seguito l’IDF cerca nelle case chi è sospettato di presunti reati o di chissà cosa.

Wahdan è un ragazzo molto semplice, nell’ambulanza qualcuno è stato sentito gridare che lui è un Majnun, “un demente”, nella speranza di proteggerlo. In ogni caso, con la sua bassa statura non sembra rappresentare alcun tipo di minaccia. Il 24 novembre ha preso parte a una manifestazione di solidarietà con i residenti di Khirbet Humsah, situato anch’esso nella valle, a sud-ovest, dove il 3 novembre l’Amministrazione Civile Israeliana nei territori ha perpetrato uno dei suoi più grandi atti di distruzione negli ultimi mesi. Agli abitanti del villaggio furono dati 10 minuti per prendere tutti i loro effetti personali e averi quel giorno, prima che la squadra di demolizione si mettesse al lavoro: 18 strutture furono rase al suolo, lasciando 11 famiglie, 74 anime, di cui 41 bambini, senza un tetto sopra la testa, sotto la pioggia, vento e gelo invernale della Valle del Giordano. In Cisgiordania è stata indetta una giornata in loro solidarietà per il 24 novembre.

Quel giorno Wahdan ha aspettato all’ingresso di Tayasir, dove si sono radunate persone provenienti da tutta la Cisgiordania, circa 1.500 manifestanti in una marcia di protesta che ha percorso lentamente il breve tragitto fino al checkpoint di Tayasir. Generalmente non è presidiato, ma questa volta le truppe israeliane stavano aspettando in gran numero. Khirbet Humsah è a circa 30 chilometri dal checkpoint, ma i manifestanti sapevano che l’IDF non gli avrebbe permesso di marciare lì. Com’era prevedibile, le truppe iniziarono a sparare in aria granate lacrimogene e proiettili di gomma, oltre a munizioni vere. I giovani palestinesi lanciarono pietre contro il checkpoint.

Aref Daraghmeh, capo del consiglio regionale palestinese della Valle del Giordano settentrionale e ricercatore locale sul campo per l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, stima che almeno 100 soldati abbiano affrontato i manifestanti.

La manifestazione si fermò di fronte al checkpoint, ma gli scontri tra i soldati e i manifestanti proseguirono per almeno due ore. Circa 100 metri separavano i manifestanti dalle truppe. Sembrava un “campo di battaglia”, ricorda Daraghmeh. 21 manifestanti sono rimasti intossicati dai gas lacrimogeni, due hanno necessitato del ricovero in ospedale. I soldati hanno anche sparato granate stordenti contro i manifestanti, la maggior parte dei quali erano affiliati all’organizzazione di Fatah che ha organizzato la protesta. Hanno intonato cori contro le forze di occupazione: “Vattene, esercito terrorista, vattene di qui”.

Wahdan fu ferito circa mezz’ora dopo gli scontri. Colpito all’addome da un proiettile di gomma, cadde a terra, contorcendosi per il dolore. Ci racconta che sembrava gli esplodesse il ventre e sentiva che stava per svenire. “Mi limitavo semplicemente a manifestare, come tutti gli altri, non facevo nulla di sospetto”, dice. I giovani manifestanti lo hanno soccorso e trasportato di corsa a un’ambulanza di scorta, come in ogni manifestazione del genere. Poi i soldati tentarono di prelevarlo dall’ambulanza.

Wahdan dice che era terrorizzato dai soldati che sono entrati nell’ambulanza. Non riesce a spiegare perché abbia urlato con tale disperazione. L’ambulanza alla fine lo portò all’ospedale turco nella vicina città di Tubas, la sede del governo distrettuale. Dopo averlo radiografato, i medici volevano ricoverare Wahdan, per paura di possibili emorragie interne all’addome, ma lui rifiutò e tornò subito a casa con un taxi.

Haaretz ha chiesto all’Unità del portavoce dell’IDF perché i soldati hanno cercato di prendere Wahdan dall’ambulanza, perché alla fine hanno rinunciato e, in generale, se i soldati avevano agito correttamente. La risposta: “Martedì 24 novembre 2020 si sono verificati violenti disordini, che hanno coinvolto circa 200 palestinesi che hanno lanciato molotov e pietre contro le forze dell’IDF vicino al villaggio di Tayasir, nel territorio della Brigata della Valle del Giordano. Le forze dell’IDF hanno risposto con mezzi antisommossa.

“Il sospetto che appare nel video ha preso parte ai disordini, ha lanciato bottiglie molotov contro i soldati dell’IDF e, per eludere l’arresto, è fuggito e si è nascosto in un’ambulanza sul posto. Quando i soldati hanno accertato che il sospetto era ferito, hanno permesso all’ambulanza di trattenerlo per medicarlo. È stato accertato che il sospetto sia stato ferito solo superficialmente da una granata fumogena. Sottolineiamo che non sono stati sparati proiettili di gomma durante i disordini.”

Fahdi Wahdan è stato effettivamente ferito durante l’incidente, come l’unità del portavoce riconosce verso la fine di quella dichiarazione, o si stava semplicemente nascondendo nell’ambulanza per eludere l’arresto, come affermato all’inizio? Sembra che non ci siano limiti alle acrobazie verbali dell’Unità del portavoce dell’IDF.

La madre di Wahdan, Umm Jihad, una donna robusta, quel giorno era a Tubas con Fida, la sorella gemella di Fahdi. Sua cognata la chiamò verso mezzogiorno e le disse: “Fahdi è stato ferito da un proiettile. Era su Facebook.” Umm Jihad dice che era così scossa che è svenuta per strada. Nessuno poteva dirle nulla sulle condizioni di suo figlio. Qualcuno da un ristorante vicino le ha portato dell’acqua e ha cercato di calmarla. Si precipitò a casa in un taxi condiviso, totalmente sconvolta. La sera, Fahdi è apparso sulla porta. “Dio mi ha aiutato”, dice ora, sorridendo.

Ma la vita di Fahdi non ha ripreso il suo corso normale. Al contrario. Dopo l’incidente, ogni volta che sente i soldati entrare in città, il suo impulso è di scappare cercando di trovare un posto dove nascondersi in casa. Per le prime tre notti dopo l’accaduto non riuscì a dormire. Durante la prima settimana non è uscito di casa; solo in seguito ha iniziato gradualmente a tornare al lavoro. Lavorava con lo zio nei campi vicino a Gerico, ma dopo l’incidente non osa avvicinarsi al checkpoint di Tayasir, temendo che i soldati cerchino nuovamente di prenderlo. In questi giorni lavora solo vicino a Tubas, in un luogo che non necessita di attraversare un posto di blocco dell’esercito. Ogni tanto guarda il video di ciò che gli è accaduto. Dice di averlo già visto centinaia di volte.

Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.
Alex Levac è diventato fotografo esclusivo per il quotidiano Hadashot nel 1983 e dal 1993 è fotografo esclusivo per il quotidiano israeliano Haaretz. Nel 1984, una fotografia scattata durante il dirottamento di un autobus di Tel Aviv smentì il resoconto ufficiale degli eventi e portò a uno scandalo di lunga data noto come affare Kav 300. Levac ha partecipato a numerose mostre, tra cui indiani amazzonici, tenutesi presso l’Università della California, Berkeley; la Biennale israeliana di fotografia Ein Harod; e il Museo di Israele a Gerusalemme. Ha pubblicato cinque libri.
Traduzione: Beniamino Rocchetto
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