GIDEON LEVY – LA VERITÀ È NIENT’ALTRO (con docufilm JENIN JENIN)

tratto da: Beniamino Benjio Rocchetto

giovedì 14 gennaio 2021  14:04

Di Gideon Levy – 13 gennaio 2021

https://archive.is/RLS48

Se il film di Mohammad Bakri “Jenin, Jenin” non può essere proiettato in Israele, allora anche ogni telegiornale dovrà essere censurato. In quasi ogni programma televisivo c’è più propaganda, calunnia, esagerazione, repressione psicologica e menzogne ​​che nel meraviglioso, autentico e straziante film di Bakri. L’ho appena rivisto. I ricordi del campo profughi di Jenin riaffiorano, insieme alle atrocità, alle lacrime, al dolore e al disastro, così come i crimini dell’esercito israeliano.

Va quindi ringraziato il gruppo di soldati riservisti israeliani sensibili alla loro onorevole reputazione e che negli anni hanno perseguitato Bakri. Grazie a loro, il film di Bakri è vivo e vegeto da 20 anni e ora sta riscuotendo un nuovo successo. Dalla decisione del tribunale distrettuale di Lod di lunedì, c’è stato un forte aumento degli spettatori di “Jenin, Jenin” sul sito web dell’Istituto Cinematografico Palestinese.

Va ringraziato anche il giudice del tribunale distrettuale di Lod Halit Silash, che ha pronunciato l’autoritaria e spietata sentenza. Grazie a lei, la situazione si è rivelata in tutta la sua meschinità: un tribunale israeliano vieta la proiezione di un documentario. Il giudice Silash è il garante della verità, e lei sa cosa è successo e non è successo nel campo profughi di Jenin nel 2002.

C’è anche un significato simbolico per l’ubicazione del suo tribunale. Lod, Lydda, come era conosciuta prima della fondazione di Israele, è evocatrice dei massacri, la pulizia etnica, la discriminazione e l’espropriazione. Ora c’è anche un giudice a Lod che sta zittendo i testimoni e compiacendo i soldati che hanno partecipato a un’incursione criminale e che, nella loro grande impudenza, hanno osato fare causa per diffamazione.

Questo dice tutto: nessuno dei soldati che hanno partecipato al raid a Jenin hanno dovuto affrontare un processo per i loro crimini. È stata solo la persona che li ha documentati, che ha dato al dolore e alla sofferenza una telecamera e un microfono, che è stata condannata. Israele inoltre non ha mai pagato alcun indennizzo a nessuno dei residenti del campo ai quali ha distrutto l’esistenza e le case. Solo a Bakri viene richiesto di pagare un risarcimento a un soldato per i suoi tre secondi nel film.

Il giudice Silash è stato così magnanimo da stabilire i parametri di questa distorta moralità israeliana e dovrebbe essere ringraziato per questo. Ma il ringraziamento più grande deve andare a Bakri, un artista coraggioso e nobile, che ha pagato un prezzo insopportabilmente alto per il suo film. Verrà il giorno in cui “Jenin, Jenin” sarà mostrato in ogni scuola come una lezione obbligatoria di educazione civica e storia israeliana.

Bakri andò a Jenin per ascoltare il dolore che scaturiva dalle parole di ognuno ne parlasse. Potrebbe esserci stata un’esagerazione da parte di alcuni di loro, forse persino bugie. Ma l’ironia è che, grazie a loro, ci è stata mostrata la verità. Se non fosse stato per lo scandalo del film, sarebbe passata inosservata. La verità è apparsa in ogni scena, così come i crimini di guerra, di cui nessuno ha parlato, né il giudice di Lod né i riservisti in cerca di giustizia.

Le immagini della terrificante distruzione del campo erano una bugia? I resoconti del bombardamento dell’ospedale da parte dell’esercito israeliano, un crimine di guerra, erano diffamatori? Lo strazio e le lacrime non erano autentici? L’incredibile sofferenza degli esseri umani che sono stati rifugiati due o tre volte era una notizia falsa?

I bambini che frugavano tra le rovine che erano state le loro case erano il prodotto dell’immaginazione? Il medico che ha assistito alla morte di suo figlio era un attore? Le macerie erano un set Hollywoodiano?

Ma come possiamo paragonare tutto questo alle sofferenze di colui che ha intentato il caso giudiziario, il tenente colonnello della riserva Nissim Magnaji, che ora riceverà un risarcimento? Dopotutto, martedì, il quotidiano Yedioth Ahronoth ha raccontato come i soldati israeliani avevano distribuito cibo ai bambini nel campo dopo aver demolito le loro case.

Non c’era nessun crimine di guerra menzionato nel film che l’esercito israeliano non avesse commesso a Jenin, prima di Jenin o dopo Jenin. L’esercito non ha forse ucciso Ibrahim Abu-Turia, un doppio amputato su una sedia a rotelle alla recinzione di confine a Gaza. L’esercito non ha ucciso 344 bambini a Gaza durante l’operazione Piombo Fuso (Cast Lead) alla fine del 2008 e all’inizio del 2009, o 549 bambini nell’operazione Bordo Protettivo (Protective Edge) nel 2014? Non erano crimini di guerra?

Ogni volta che i media israeliani riferiscono dell’occupazione, per lo più omettono i fatti. E quando lo fanno, si basano su bugie, mezze verità e propaganda divulgata dal portavoce dell’esercito israeliano e dai coloni. D’ora in poi sarà possibile citare in giudizio i media per diffamazione, per oltraggio alla verità e anche per vietarne la divulgazione menzognera. Il giudice Silash approverebbe.

Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.
Traduzione: Beniamino Rocchetto
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