Il successo della protesta bianca in Israele

Articolo pubblicato originariamente su Haaretz e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto

Di Gideon Levy

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La protesta bianca ha avuto successo. Ha fermato la riforma della giustizia e per questo i suoi partecipanti meritano tutto il rispetto e la gratitudine possibili. Non ci sono stati molti movimenti di protesta nella storia di questo Paese, e questo sembra aver avuto il maggior successo.

Congratulazioni, cari amici. Avete dimostrato che gli israeliani non sono ungheresi o polacchi. Ma il caloroso entusiasmo non deve mascherare i mali e i difetti di questa protesta. I sintomi recentemente sono solo peggiorati.

Più la protesta ha avuto successo, più l’autocompiacimento è cresciuto tra i suoi organizzatori: guardate quanto siamo meravigliosi, e con ciò è arrivata puntuale la consueta difesa della purezza del campo, non permettendo a nessun’altra questione di confondere le acque. Questo autocompiacimento ha soddisfatto la protesta; la purezza del campo lo rendeva troppo bianco. La storia forse lo ricorderà come un movimento che ha bloccato qualche legislazione pericolosa; e certamente lo ricorderà come un movimento sistematicamente codardo nell’evitare questioni più fatali.

Dopotutto, anche se la protesta raggiungesse pienamente i suoi obiettivi, Israele tornerà solo a quello che era fino a pochi anni fa. Per ricordare, anche quello era un Paese moralmente contorto, solo leggermente meno di quello attuale guidato da Netanyahu.

Durante il fine settimana, gli organizzatori della protesta hanno invitato il Dottor Rawia Aburabia, professore di diritto all’Istituto Accademico Sapir, a parlare della violenza nelle comunità arabe. La protesta sta espandendo la sua copertura, diversificando i temi della sua campagna, diventando più rilevante e attuale. Ma poi si è scoperto che l’invito includeva una clausola: non si doveva nominare l’Occupazione. Aburabia ha ovviamente deciso di rifiutare questo generoso invito, scrivendo che: “Se questo è l’aspetto della libertà di parola in una protesta volta alla democrazia per soli ebrei, in cui le strutture di potere etno-nazionali e gli interventi degli oratori sono decisi da altre sfere, sinceramente, non so più cosa dire”.

Questo era ovviamente un evento prevedibile, in una protesta determinata a combattere le persone che combattono l’Occupazione. L’Occupazione ovviamente non è collegata alla democrazia agli occhi dei democratici di Kaplan Street.

La fotogenica eroina della protesta, Shikma Bressler, recentemente fotografata in posa da Che Guevara, con in mano una bandiera israeliana, ha affermato che “vedere gli israeliani che difendono la democrazia, protestano ovunque nel mondo e in Israele, dovrebbe far capire che siamo come il movimento chassidico Chabad, che difende solo la democrazia. Siamo pieni di fede a modo nostro, combattendo per essere ciò che siamo. La bandiera ha sostituito i vestiti neri indossati dai discepoli Chabad”.

Siamo così fortunati. La bandiera israeliana ha sostituito l’abito nero e ora abbiamo un nuovo Chabad. Tralasciando naturalmente l’incredibile paragone con un’organizzazione religiosa ultranazionalista e pericolosa chiamata Chabad, a cui si ispira il leader del movimento di protesta.

Lasciamo da parte anche il suo atteggiamento nei confronti dell’abito nero, che è innocuo anche se singolare: una protesta che si autocompiace in questo modo è una protesta pretenziosa, una protesta dei privilegiati. Se una tale protesta rifiuta qualsiasi contatto con persone che capiscono che una democrazia costruita sulle basi di una crudele dittatura militare non sarà mai una vera democrazia, sarà un movimento di protesta vuoto, fuorviante e pretestuoso.

È positivo che masse di persone continuino a scendere in piazza. È difficile criticare la consapevolezza politica e la prontezza ad agire da parte delle brave persone. Ma oltre a marciare con le bandiere, bisogna anche dire la verità. E la verità è che questa protesta ha un obiettivo: la rimozione di Benjamin Netanyahu. Questa è la vera intenzione dei manifestanti.

Questo è un obiettivo legittimo e anche giusto. Netanyahu ha la piena responsabilità del folle crollo del sistema negli ultimi mesi. Ma le persone che sventolano le bandiere in Kaplan Street, bianche e con diritti, ebrei e sionisti, devono ricordare che anche se Netanyahu se ne va, Israele continuerà a essere uno Stato di Apartheid.

Uno Stato di Apartheid non sarà mai una democrazia, anche se gli ebrei manterranno i loro diritti, anche se continueranno a sfilare con le bandiere su Kaplan Street per gli anni a venire.

Quindi, non è una vera democrazia quella per cui stanno combattendo. Pertanto, i veri democratici non possono unirsi a questa lotta.

* Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.

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