Articolo pubblicato originariamente su Valigia Blu
Di Paola Caridi – @invisiblearabs
Creator: © Baz Ratner / Reuters | Credit: REUTERS
Ancora al voto. Ancora un voto pro o contro Bibi Netanyahu. A favore o contro, i gruppi e i leader politici si sono mossi negli anni più recenti per decidere se il “regno” di Bibi Netanyahu, in sostanza il più longevo nella storia israeliana con i suoi dodici anni continui di premierato, debba durare ancora. Neanche le accuse di corruzione e il conseguente iter giudiziario (non è il primo nella storia dei leader israeliani, solo due esempi: Ariel Sharon e Ehud Olmert) sono riusciti a mettere fuori dall’agone politico il principale esponente della destra, che dal 2009 ha guidato il governo fino alla vittoria di misura nel 2021 di una fragile coalizione, quella guidata da Naftali Bennett e Yair Lapid. Tanto fragile da non durare neanche un anno.
La lunga strada di Israele per ritrovare una stabilità di governo dura, dunque, da tre anni e mezzo, e oggi su questo percorso a tappe è poggiato il ciglio delle quinte elezioni. Poco meno di quaranta liste presentano i loro candidati, per essere eletti alla Knesset con il sistema proporzionale e uno sbarramento di poco più del 3%. E i sondaggi affermano già che non si tratterà di una tornata elettorale risolutiva. Il testa a testa tra Yair Lapid e Benjamin Netanyahu parla di una oscillazione minima, ma conferma un quadro già evidente da anni: lo scontro, in Israele, è tra centro-destra e destra-destra estrema. La sinistra e i partiti arabi sono relegati a ruoli di sostegno, nel caso in cui lo Yesh Atid di Yair Lapid, che guida il governo per gli affari ordinari da quando sono state indette queste elezioni, riesca a ottenere consensi importanti e venga chiamato dal presidente Herzog a tentare di formare una nuova coalizione e un nuovo esecutivo.
Chi pensava che fosse finita l’era Netanyahu è stato seccamente smentito. L’ex premier è riuscito a riunire attorno a sé un’alleanza che rischia di portarlo di nuovo a tenere le redini del paese. La novità sta nel fatto che un tabù è stato definitivamente frantumato: se Netanyahu vince, lo fa con il sostegno di un’estrema destra razzista e suprematista, che non fa mistero di voler incrementare le colonie in Cisgiordania (a dire il vero, già in rapidissima crescita, nella realtà quotidiana), e di guardare alla popolazione palestinese dentro Israele come subalterni a cui chiedere lealtà e subordinazione.
Questa destra estrema in ascesa non è silenziosa, ma è la voce che più si è sentita durante la campagna elettorale. I suoi leader, molto diversi tra di loro eppure alleati, si chiamano Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir. Il secondo è forse il più conosciuto all’estero, per le sue azioni eclatanti negli ultimi anni a Gerusalemme, soprattutto nel quartiere palestinese di Sheikh Jarrah, a est di una Linea Verde ormai simulacro di un “ordine” della questione israelo-palestinese che ha cambiato per sempre i suoi paradigmi. È però la figura di Bezalel Smotrich a essere più interessante, rispetto al tribuno e radicale Ben Gvir. Smotrich è del tutto l’espressione totale del mondo dei coloni, a cui invece Ben Gvir arriva da adulto, provenendo una famiglia sefardita laica (padre ebreo iracheno, madre ebrea curda), e sposando l’espressione più radicale degli insediamenti. Ben Gvir vive infatti a Kiryat Arba, vicino Hebron, un simbolo nero, il luogo in cui viveva e in cui è sepolto Baruch Goldstein, il terrorista che uccise 29 palestinesi riuniti nella moschea Ibrahimi nel febbraio 1994. Smotrich viene, invece, dal brodo di coltura di Gush Emunim, il primo nucleo del movimento dei coloni che si insediano all’inizio degli anni Settanta nella Cisgiordania settentrionale, non lontani da uno dei cuori della storia urbana palestinese. Nablus. Nato sulle alture occupate del Golan, Smotrich vive infatti a Kedumim, uno dei primi insediamenti, “benedetto” nel 1977 da Menachem Begin, il primo leader del Likud ad assumere la carica di premier. È l’espressione del sionismo religioso che è sempre più radicato nel movimento dei coloni.
Una figura tutta politica, Smotrich usa una lingua chiara, tanto chiara da essere suprematista nelle parole e nella strategia che propone non solo per la Cisgiordania, ma in particolare per Israele. Per quel 21% della popolazione di Israele che è palestinese. La questione palestinese sembra, a prima vista, esclusa dal dibattito delle quinte elezioni in tre anni, ma si tratta di una lettura artificiale. Bisogna infatti intendersi sul significato della “questione palestinese”. Il quadro di riferimento, infatti, non è più il 1967. È il 1948. Non sono solo Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est a rappresentare la questione palestinese, che invece si è concentrata dentro Israele, soprattutto per l’estrema destra radicale e razzista. E anche all’interno della stessa “casa palestinese” la questione ricomprende tutti i frammenti in cui in Israele/Palestina la popolazione è stata “suddivisa”. Non è solo una questione di demografia, come spesso usa definirla un settore dello spettro politico israeliano. I palestinesi con cittadinanza israeliana, infatti, rappresentano ora oltre il 20 per cento della popolazione. Superati i due milioni su un totale di 9 milioni e mezzo di israeliani, i palestinesi sono oggi il 21% dei cittadini. Un quinto di Israele, insomma, è palestinese, e nonostante il tentativo di assimilazione politica e de facto che è insito nella legge sullo “Stato ebraico”, Israele deve ancora fare i conti con la forte e indigena presenza palestinese.
“Le uniche due opzioni che rimangono alla destra sono un apartheid formalizzato oppure una seconda Nakba”, scriveva lo scorso febbraio Meron Rapoport, giornalista e autore di una visione di pace che stravolge i paradigmi esistenti, A Land for All. E Smotrich “sembra spingere per entrambe: da una parte cerca di privare di diritti i cittadini palestinesi di Israele e, dall’altra, lancia ai deputati arabi battute del tipo “siete qui solo perché Ben Gurion non aveva finito il lavoro e non vi aveva buttati tutti fuori nel 1948”.”
È questa destra che Bibi Netanyahu ha deciso di avere ai suoi fianchi, con gli “angeli custodi” Smotrich e Ben Gvir. Entrambi avvocati, Smotrich e Ben Gvir hanno un altro tema in comune. La riduzione del potere dell’autorità giudiziaria. Un argomento sensibile, visto che per le indagini su reati di corruzione di Netanyahu si è costruita in parte l’alleanza contro l’ex primo ministro del Likud.
Ben Gvir va oltre: ha dichiarato che, se eletto, si batterà per l’approvazione della cosiddetta “legge francese”, che impedisce indagini da parte dell’autorità inquirente sul primo ministro in carica per reati di corruzione. Ben Gvir, la cui carriera legale è piena di chiaroscuri, vuole rendere questa legge retroattiva. Un modo, nei fatti, per liberare Netanyahu dai lacciuoli delle sue vicende giudiziarie e renderlo protetto da una sostanziale immunità. Le proposte arrivate dall’estrema destra hanno, infatti, suscitato l’immediata reazione di Yair Lapid, a metà ottobre. “Se questa banda sale al potere – ha detto Lapid – farà ogni sforzo per distruggere la democrazia israeliana, per annullare la piena autorità dei tribunali, per distruggere la separazione dei poteri in Israele. Non si preoccupano nemmeno più di nasconderlo. È una campagna deliberata per annullare il processo di Netanyahu, e se annulleranno il processo di Netanyahu usando il potere politico, significherebbe che la democrazia israeliana non è più la democrazia israeliana come la conosciamo. Ci stiamo battendo contro questo”.
L’attenzione sulle mosse dell’estrema destra, che secondo i sondaggi potrebbe arrivare a prendere fino a quindici seggi nella prossima Knesset, è proprio per questo. Perché tocca il nodo cruciale della democrazia israeliana, già a rischio da molti anni, proprio sulla questione palestinese e sul comportamento nei fatti del sistema politico, amministrativo, giudiziario, militare israeliano nei confronti dei palestinesi in Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme est. Ciò che accade da mesi in Cisgiordania, nell’assoluto silenzio dei media e della comunità internazionale, mina alle basi la democrazia di Israele, poiché la sua “gestione” è ora nelle mani di un esercito in cui la presenza di coloni è sempre più alta, e in cui il sostegno dei soldati ai raid dei coloni è confermato da innumerevoli video e documenti. La presenza di gruppi palestinesi armati, come la Tana dei Leoni a Nablus, che non rispondono più ad alcuna fazione storica ha fatto emergere – ma era già chiaro da molto tempo – che l’Autorità Nazionale Palestinese ha ormai perso qualsiasi autorità e autorevolezza verso una popolazione sempre più vessata e disperata. La strategia della repressione militare tout court, in atto da quasi un anno, soprattutto nelle aree di Nablus e Jenin (ad altissima concentrazione di colonie, peraltro) è una risposta politicamente debole, da parte di Israele, rispetto a una situazione che, nei fatti, è già incandescente.
In questo caso, sia Yair Lapid (e il suo ministro della difesa Benni Gantz) sia Bibi Netanyahu hanno strategie simili. Strategie di corto respiro. Diverso è, invece, l’atteggiamento di Lapid verso i vicini più prossimi. Anzitutto verso la Giordania. I rapporti di Netanyahu prima con re Hussein e poi con re Abdallah sono sempre stati difficili, per non dire impossibili, da sempre e per diversi episodi. Lapid, lo scorso luglio, è riuscito a ricucire una storia difficile con la visita al palazzo reale di Amman, ricevuto da re Abdallah. Il leader di Yesh Atid, poi, è riuscito nelle vesti di primo ministro a firmare un accordo storico con il Libano, mediato dagli Stati Uniti post-trumpiani: l’accordo sui confini marittimi tra Israele e Libano, propedeutico per l’intesa sullo sfruttamento del giacimento di gas naturale di Karish, di fronte ai due paesi. Per la prima volta, Hezbollah ha accettato l’intesa, foriera di far arrivare, in un Libano in caduta libera dal punto di vista economico e politico, un po’ di introiti importanti.
Basterà, a Lapid, la sua abilità diplomatica per riuscire a vincere le elezioni? Il convitato di pietra, in tutta questa storia, è il voto dei palestinesi con cittadinanza israeliana. Se oltre la metà degli aventi diritto, tra di loro, andrà a votare e riuscirà a far superare lo sbarramento ad almeno due dei tre partiti arabi, Lapid avrà qualche chance, e Netanyahu sarà per il momento sconfitto. Altrimenti, Netanyahu tornerà al potere. Con tutto ciò che questo ritorno può significare.
Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…