Articolo originaiamente pubblicato su The Middle East Eye e tradotto in italiano da La Zona Grigia
Di Jonathan Cook
Un manifestante palestinese viene fermato dall’esercito israeliano durante gli scontri con le forze di sicurezza israeliane vicino alla Porta di Damasco della Città Vecchia di Gerusalemme il 3 aprile 2022 (AFP)
Occupazione e oppressione sono le vere cause dietro tre attacchi in pochi giorni all’interno di Israele. Allora perché l’unica risposta di Israele è più oppressione?
Tre diversi attacchi mortali palestinesi nelle città israeliane in una settimana hanno suscitato una risposta prevedibile. L’esercito israeliano ha arruolato un gran numero di soldati in più in Cisgiordania e intorno a Gaza, territori palestinesi già oggetto di decenni di brutale occupazione militare.
Ma il fatto che, insolitamente, due degli attacchi siano stati effettuati da cittadini israeliani, membri di una vasta minoranza palestinese i cui diritti sono gravemente circoscritti e inferiori a quelli della maggioranza ebraica, ha alzato notevolmente la posta in gioco per la destra israeliana.
Un totale di 11 israeliani sono morti negli attacchi a pochi giorni di distanza nelle città di Beersheba, Hadera e Bnei Brak, un sobborgo di Tel Aviv. Giovedì, le forze israeliane scatenate hanno ucciso tre palestinesi in incidenti separati, subito dopo gli attacchi.
Gli attacchi letali sono stati un’opportunità per Naftali Bennett, il leader di estrema destra che ha strappato la carica di Premier israeliano a Benjamin Netanyahu la scorsa estate, per dimostrare le sue credenziali al collegio elettorale principale del suo partito: coloni ebrei determinati a cacciare i palestinesi dalle loro terre e reclamare un presunto biblico diritto di primogenitura.
In una dichiarazione video, Bennett ha detto a “chiunque abbia un porto d’armi”, intendendo in modo schiacciante cittadini ebrei, “questo è il momento di portare un’arma”. E se ciò non bastasse, ha proseguito annunciando che il governo stava valutando “un quadro più ampio per coinvolgere i volontari civili che vogliono aiutare ed essere di appoggio”.
VIOLENZA DI STRADA
Cosa significhi in pratica non è difficile da decifrare. Quasi un anno fa, l’intensificazione della prolungata campagna di pulizia etnica del quartiere palestinese di Sheikh Jarrah nella Gerusalemme Est occupata è diventata uno dei fattori scatenanti della peggiore violenza intercomunale in Israele in almeno una generazione.
I cittadini palestinesi che hanno organizzato manifestazioni di protesta si sono trovati non solo ad affrontare la prevista repressione da parte della polizia paramilitare israeliana, ma anche la violenza di strada da parte di folle ebraiche di estremisti che sembravano operare in sinergia con le forze di sicurezza israeliane.
Per la prima volta sembrava che la dirigenza israeliana stesse spostando un aspetto chiave dell’occupazione all’interno della Linea Verde.
Nei territori occupati, i coloni armati operano efficacemente come milizie, terrorizzando le comunità palestinesi vicine, osservati impassibilmente, o talvolta assistiti, dall’esercito israeliano. Agiscono come avanguardia dello Stato israeliano, offrendo una negabilità plausibile per i funzionari israeliani che sfruttano la violenza dei coloni.
L’obiettivo sia dei coloni che dello Stato israeliano è lo stesso: cacciare i palestinesi dalle loro case in modo che i coloni ebrei possano impossessarsi della terra lasciata libera.
La scorsa primavera, l’uso di quello stesso modello all’interno di Israele è diventato più difficile da mascherare. Il governo israeliano sembrava appaltare parti della sua sicurezza interna agli stessi coloni fanatici e violenti, consentendo loro di essere trasportati in autobus nelle comunità palestinesi all’interno di Israele senza ostacoli. Lì hanno agito come vigilantes.
Hanno distrutto i negozi palestinesi, cantato “Morte agli Arabi” e picchiato i cittadini palestinesi che hanno incrociato il loro cammino. Allo stesso tempo, i politici israeliani di tutto lo spettro hanno incitato contro la minoranza palestinese.
Ora Bennett dà l’impressione possa sperare di sfruttare i tre attacchi per mettere questo accordo precedente su un piano più formale.
In particolare, una milizia, i “Barel Rangers” è già stata costituita nella regione del Negev, nel Sud di Israele, dove si è verificato uno degli attacchi. Il fondatore, un ex agente di polizia, ha spiegato il suo scopo in un post sui social media: “Quando la tua vita è in pericolo, sei solo tu e il terrorista. Tu sei giudice, giuria e carnefice”.
Un’altra milizia è stata recentemente istituita a Lod, una città vicino a Tel Aviv, che ha subito le peggiori violenze lo scorso maggio.
SCHERZANDO COL FUOCO
L’appello di Bennett ai “volontari civili” per difendere lo Stato ebraico aveva presumibilmente lo scopo di fare eco al presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, che ha esortato i civili ucraini a combattere l’esercito russo invasore. Bennett può sperare che nell’attuale clima internazionale ci saranno poche critiche nei confronti delle milizie ebraiche che agiscono in modo simile.
Ma mentre Zelensky ha invitato gli ucraini a combattere gli invasori stranieri, Bennett sta radunando le milizie per attaccare i cittadini del suo Paese, in base alla loro etnia. Sta scherzando col fuoco, alimentando uno stato d’animo di guerra civile in cui una parte, gli ebrei israeliani, ha le armi e le risorse statali, mentre l’altra, la minoranza palestinese, è in gran parte indifesa.
In particolare, dopo il secondo recente attacco nella città ebraica di Hadera martedì, da parte di due cittadini palestinesi, si è formata una folla che cantava “Morte agli Arabi”.
Dove questo potrebbe portare è stato sottolineato da un generale dell’esercito in pensione, Uzi Dayan, ora membro del Parlamento israeliano per il partito Likud di Netanyahu. Ha avvertito tutti i 1,8 milioni di cittadini palestinesi di Israele di “fare attenzione”. Dovranno affrontare, ha detto, un’altra Nakba, o catastrofe, la pulizia etnica di massa dei palestinesi dalla loro Patria da parte delle milizie israeliane e dell’esercito nel 1948.
“Se arriviamo alla guerra civile, le cose finiranno con una nuova Nakba”, ha detto. “Questo è ciò che accadrà alla fine”. Ha aggiunto: “Siamo più forti. Stiamo trattenendo le misure”. La pulizia etnica associata alla Nakba “non è stata completata”, ha osservato.
Non è una situazione che i cittadini palestinesi potranno evitare se i leader israeliani lo vogliono. Molti nella minoranza hanno avuto paura di lasciare le loro case, andare a lavorare o avventurarsi nelle aree ebraiche, che sono la maggior parte del Paese, per paura di rappresaglie. E questo è proprio perché Bennett e Dayan rappresentano una vasta fascia sociale in Israele che vede i palestinesi, anche i cittadini palestinesi israeliani, come il nemico.
Le misure “trattenute”, come le ha definite Dayan, potrebbero includere non solo più violenze sostenute dallo Stato, ma anche sforzi per privare la minoranza palestinese persino del loro status di cittadinanza subordinata.
Per quasi due decenni, i leader dell’estrema destra come Avigdor Lieberman hanno chiesto impegni di fedeltà e politiche di trasferimento per minare i diritti dei cittadini palestinesi. La controversa legge sullo Stato-Nazione del 2018 ha ulteriormente intaccato questi diritti. La scena è già pronta per un nuovo assalto alla cittadinanza.
LEGGI RAZZISTE
Gli attacchi mortali perpetrati da membri della minoranza palestinese israeliana, come i due avvenuti in rapida successione, sono rari. Sono invariabilmente realizzati da quelli che Israele chiama “lupi solitari”, individui profondamente disillusi e alienati, piuttosto che organizzati da movimenti palestinesi all’interno di Israele.
La minoranza palestinese ha preferito affrontare la sistematica discriminazione e oppressione di vivere come popolazione non ebrea in uno Stato ebraico autodichiarato utilizzando i limitati strumenti legali e politici a sua disposizione.
Decine di leggi esplicitamente razziste sono state impugnate nei tribunali, anche se con scarso successo. La minoranza ha sempre più fatto pressioni sulla comunità internazionale per chiedere aiuto, appelli che hanno messo in imbarazzo Israele.
Nell’ultimo anno, sempre più gruppi legali e per i diritti umani si sono fatti avanti dichiarando che Israele è uno stato di Apartheid, sia nei Territori Occupati che all’interno dello stesso Israele. La discriminazione strutturale esposta dalla minoranza palestinese ha svolto un ruolo cruciale nell’aiutare queste organizzazioni a raggiungere una conclusione così grave.
Leader come Bennett, quindi, hanno tutte le ragioni per cercare di esagerare il significato posto da questi attacchi, suggerendo come ha fatto questa settimana che fanno parte di una nuova “ondata di terrore”. Ha promesso di ampliare la portata degli ordini di detenzione amministrativa, reclusione senza accusa o prove rese pubbliche, per far fronte a questa presunta ondata.
A rendere il caso più plausibile per lui, i tre cittadini palestinesi coinvolti nei due attentati, a Beersheba e Hadera, avevano presunti legami con il gruppo dello Stato Islamico (ISIS).
UN PIZZICO DI SCETTICISMO
Ma in realtà, mentre i tre colpevoli sembrano avere simpatie ideologiche per lo Stato Islamico, uno ha anche tentato senza successo di raggiungere un campo di addestramento in Siria nel 2016, il gruppo non ha una presenza significativa nella popolazione palestinese, né nei Territori Occupati né in Israele.
L’identificazione con lo Stato Islamico in una piccola parte dell’opinione pubblica palestinese ha raggiunto il picco cinque anni fa, quando il gruppo sembrava offrire un modello di successo per spodestare i tiranni arabi corrotti e sclerotici della regione. I fallimenti dello Stato Islamico e la sua brutalità hanno presto eroso anche quel piccolo gruppo di supporto.
Le valutazioni sono che, nonostante il suo intenso monitoraggio e sorveglianza dei palestinesi sui social media, Israele è stato in grado di identificare solo poche dozzine di sostenitori dello Stato Islamico, che si trovano nelle sue prigioni. Anche in quei casi, la maggior parte è stata detenuta per simpatia ideologica con il gruppo, non per legami tangibili.
E in ogni caso, lo Stato Islamico non ha mai espresso alcun interesse pressante per gli attacchi a Israele. Una dichiarazione del 2016 ha chiarito che il gruppo ha dato la priorità alla lotta contro i governi musulmani che, a suo avviso, avevano rotto con i principi centrali dell’Islam.
Al contrario, le fazioni islamiste palestinesi sono impegnate a liberare la Patria Palestinese, non cercando di reinventare una mitica epoca d’oro del governo islamico unificato in tutto il Medio Oriente. Sono movimenti di liberazione nazionale palestinesi, non jihadisti.
Solo per questo motivo, la rivendicazione da parte dello Stato Islamico della responsabilità per i due attacchi deve essere presa con scetticismo. Il gruppo ha un incentivo a suggerire un coinvolgimento negli attacchi perché hanno coinciso con l’arrivo in Israele la scorsa settimana dei leader di quattro Stati arabi: Egitto, Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Marocco, per un vertice.
Questi Stati arabi, e altri in attesa, desiderano fare di Israele il fulcro di un nuovo patto regionale condiviso di sicurezza e spionaggio progettato per prevenire minacce al loro governo, compreso un risveglio della Primavera Araba.
Per i sostenitori dello Stato Islamico, la mossa è l’ennesima umiliazione e la prova dell’illegittimità delle autocrazie arabe della regione.
DOPPIO SMACCO
Questi attacchi sono stati effettuati da lupi solitari, e in un caso, una coppia di lupi solitari, che sono diventati sempre più disperati, arrabbiati e vendicativi dopo decenni di oppressione israeliana dei palestinesi e la complicità e il tradimento da parte dei governi occidentali e arabi.
L’ondata di rabbia degli aggressori ha coinciso con una parte del progetto dello Stato Islamico. Ma nel loro caso, le motivazioni hanno radici molto più profonde.
Gli attentatori palestinesi provenienti da Israele non avevano bisogno dell’indottrinamento da parte della guida straniera dello Stato Islamico per portare a termine i loro attacchi. Avevano molte ragioni locali per voler colpire, non diverse dal “lupo solitario” palestinese della Cisgiordania che ha effettuato un terzo attacco vicino a Tel Aviv ma non aveva legami con lo Stato Islamico.
Decenni di brutale governo militare nei Territori Occupati e di discriminazione e oppressione sistematiche all’interno di Israele sono state le vere cause.
Non si può nemmeno trascurare il doppio smacco di Israele contro la parte più devota della minoranza palestinese israeliana.
Primo, il partito religioso meglio organizzato e politicamente più astuto in Israele, il Movimento Islamico Settentrionale guidato dallo Sceicco Raed Salah, è stato messo fuori legge nel 2015. I critici israeliani, anche all’interno delle istituzioni della sicurezza, hanno avvertito all’epoca che la mossa avrebbe guidato alcune proteste islamiche clandestine e incoraggiare un maggiore estremismo.
Secondo, l’estate scorsa il rivale Movimento Islamico del Sud, guidato da Mansour Abbas, si è unito a Bennett per estromettere Netanyahu dal potere. Il partito di Abbas è diventato il primo ad entrare a far parte di un governo israeliano, in cambio di qualche briciola dell’estrema destra.
Entrambi gli sviluppi hanno lasciato i devoti musulmani che si oppongono all’occupazione israeliana e alla repressione dei diritti dei palestinesi senza un canale di protesta serio e legittimo. Sono stati privati del potere e umiliati: condizioni pronte per provocare una frangia che mette in scena attacchi violenti del tipo visto negli ultimi giorni.
E per aggiungere al danno la beffa, il partito di Abbas sostiene un governo che questa settimana ha permesso a un legislatore fanaticamente anti-palestinese, Itamar Ben Gvir, di visitare il sacro luogo sacro musulmano di al-Aqsa a Gerusalemme sotto la protezione delle forze armate. Ben Gvir vuole la piazza della Moschea sotto la sovranità ebraica.
LEZIONE SBAGLIATA
C’è una lezione qui che Israele ignora volontariamente, proprio come fanno anche gli Stati occidentali che servono come suoi protettori.
Se si trattano le popolazioni con violenza strutturale, se le si priva dei diritti, se le si umilia e svilisce, e se si nega loro una voce nel proprio futuro, non ci si può sorprendere, tanto meno mantenere un ipocrisia, quando alcuni si rivoltano contro con le proprie forme di violenza.
La lezione sbagliata ed egoistica che Israele imparerà, come ha fatto per decenni, è che la risposta corretta deve essere maggiore violenza, maggiore umiliazione e un’intensa richiesta di sottomissione. L’oppressione continuerà, così come la resistenza.
Il sostegno illimitato dell’Occidente a Israele e le autocrazie arabe che ora si stanno apertamente ribellando a Israele, hanno un costo. Liquidarlo semplicemente come la ferocia dello Stato Islamico può offrire rassicurazione. Ma non fermerà l’aumento della pressione o l’esplosione a venire.
Jonathan Cook è vincitore del Premio Speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. I suoi libri includono “Israele e lo Scontro di Civiltà: Iraq, Iran e il Piano per Ricostruire il Medio Oriente” (Pluto Press) e “Palestina Scomparsa: Gli Esperimenti di Israele Nella Disperazione Umana” (Zed Books). Visitate il suo sito web www.jonathan-cook.net.
Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…