La deriva democratica del governo di Netanyahu potrebbe diventare la più grande opportunità per il movimento Bds

Articolo pubblicato originariamente su The Intercept e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto

Il capitale umano sta cominciando a fuggire da Israele sulla scia della riforma giudiziaria del Primo Ministro.

Di Daniele Boguslaw

Negli ultimi anni, il governo israeliano ha considerato il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni dello Stato Ebraico per il suo trattamento dei palestinesi come una delle principali minacce per il Paese. Oggi, la deriva democratica del governo estremista guidato dal Primo Ministro di destra Benjamin Netanyahu potrebbe essere la più grande opportunità per il movimento BDS.

Nel suo tentativo di eludere la condanna per clientelismo e corruzione, Netanyahu ha stretto un’alleanza politica con i partiti religiosi estremisti di Israele, alleati con gli eredi dell’organizzazione terroristica anti-araba Kach, e ora è accusato di cospirare per indebolire la Corte Suprema israeliana. Prima delle elezioni israeliane del 2022, le quinte in quattro anni, Netanyahu ha avanzato una proposta per privare efficacemente la magistratura della sua influenza moderatrice sulla società israeliana, trasferendo il potere al ramo esecutivo e a quello che ora è un Parlamento controllato dagli estremisti.

Sono già visibili gli effetti di un’estrema destra israeliana senza freni e incoraggiata, con un vero e proprio Pogrom, approvato dal Ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, che si è svolto alla fine del mese scorso nella città di Huwara, nella Cisgiordania occupata.

La svolta di estrema destra del governo israeliano ha spinto decine di migliaia di israeliani di tutto lo spettro politico a scendere in piazza per protestare e i membri del BDS stanno osservando attentamente la situazione mentre il suo obiettivo di rendere Israele un emarginato economico e culturale si sta di fatto materializzando all’orizzonte.

“Il movimento BDS ha monitorato i più recenti disinvestimenti e intenzioni di disinvestimento da Israele, concludendo che l’autoproclamata ‘Start-up Nation’ (Nazione dell’Innovazione) sta sempre più e gradualmente assomigliando a una Shut Down Nation” (Nazione della Retrocessione), ha dichiarato Omar Barghouti, uno dei co-fondatori del movimento BDS.

Figure di spicco delle principali università israeliane hanno avvertito che gli sforzi per forzare la riforma giudiziaria attraverso il Parlamento israeliano potrebbero portare a una diffusa fuga di capitale umano e avere un effetto devastante sul sistema educativo, sugli studiosi e sulle istituzioni culturali israeliane.

Le società di investimento, a lungo bersaglio delle pressioni del BDS, stanno avvertendo che mantenere i loro investimenti in Israele potrebbe finire per essere dannoso per i profitti dei loro clienti. Le aziende avvertono che l’erosione della democrazia in Israele potrebbe essere seguita dalla fuga di capitali e dalla diminuzione degli investimenti, come si è visto in Polonia e Ungheria sulla scia di simili riforme antidemocratiche: un effettivo disinvestimento dovuto alle stesse pressioni del mercato.

In passato, le sanzioni contro Israele in gran parte non si sono concretizzate, mancando una massa critica di Paesi occidentali che hanno a lungo trattato Israele come un alleato geopolitico. Ma con l’aumentare dei segnali di crescente disagio, i parlamentari irlandesi hanno rinnovato la richiesta di maggiori sanzioni, e all’interno dell’Unione Europea si stanno svolgendo accese discussioni riguardo la cooperazione in materia di sicurezza e sul sostegno incondizionato a Israele.

“Questi problemi economico-finanziari non faranno che rafforzare la campagna di pressione del BDS in tutto il mondo su società e fondi di investimento affinché smettano di investire nell’Apartheid israeliano, così come molti di loro alla fine hanno disinvestito dall’Apartheid sudafricano”, ha detto Barghouti.

Nei primi anni 2000, gli attivisti contrari all’occupazione israeliana della Palestina crearono un piano per ottenere un riallineamento globale verso Israele. Sulla base degli sforzi anti-globalizzazione degli anni ’90 e degli efficaci boicottaggi contro l’Apartheid sudafricano, gli attivisti hanno cercato di creare una campagna su più fronti incentrata sulla mobilitazione di pressioni economiche e culturali per forzare i cambiamenti nella società israeliana. Il boicottaggio dei prodotti e delle istituzioni culturali israeliane, il disinvestimento dalle società israeliane e l’imposizione di sanzioni per la violazione del diritto internazionale hanno costituito i tre pilastri del movimento BDS.

Negli ultimi anni, i politici americani e i gruppi di difesa pro-Israele hanno lavorato a livello statale e nazionale per criminalizzare le proteste del BDS sotto la bandiera dell’antisemitismo. Le leggi anti-BDS sono proliferate in oltre 30 Stati americani e hanno trovato un ampio consenso da parte dei senatori statunitensi in carica. Ironicamente, questo pieno sostegno a Israele potrebbe catalizzare molti dei risultati che speravano di criminalizzare.

“Le leggi anti-BDS sono uno sforzo diretto da parte del governo di Israele per penalizzare gli americani che criticano il modo in cui vengono trattati i palestinesi. È più criticabile ora che in qualsiasi momento l’idea che ascolteremo il Primo Ministro israeliano su questo tema”, ha detto Gadeir Abbas, un avvocato del Consiglio sulle Relazioni Americano-Islamiche (Council on American-Islamic Relations – CAIR). Il CAIR ha lottato per opporsi ai disegni di legge che cercano di criminalizzare il movimento BDS negli Stati Uniti. “Per i palestinesi, Israele è sempre stato antidemocratico, e ora quell’energia antidemocratica sta avvolgendo tutto Israele. Non credo sia chiaro a nessuno cosa accadrà dopo”.

All’inizio di febbraio, pochi giorni dopo aver affermato che le aziende di Wall Street stavano solidarizzando fermamente con Israele di fronte alle proteste che agitavano il Paese, Netanyahu è stato costretto a confrontarsi con un rapporto interno di JPMorgan che avvertiva che il “rischio di contrapposizione” posto dalla riforma giudiziaria potrebbe destabilizzare la valutazione di Israele. Netanyahu ha tentato di impedire a JPMorgan di rilasciare analisi negative, secondo la stampa israeliana, e ha incontrato i principali investitori in Francia per dissipare i timori sulle turbolenze economiche in Israele.

Già circa 4 miliardi di dollari (3,8 miliardi di euro) sono stati ritirati dalle banche israeliane sulla scia delle riforme giudiziarie proposte, con la banca europea HSBC che si è unita a JPMorgan nella previsione che le turbolenze politiche potrebbero danneggiare in modo significativo l’economia israeliana. I cambiamenti rappresentano una minaccia economica così grave che un membro del comitato monetario israeliano, l’equivalente israeliano del Consiglio dei Governatori della Federal Reserve americana, si è dimesso per protesta. Anche l’ex Segretario al Tesoro Larry Summers, che ha frequentato l’Istituto Tecnologico del Massachusetts (MIT) di Boston, negli anni ’70 insieme a Netanyahu, ha dichiarato a Bloomberg che le riforme giudiziarie di Netanyahu, che sollevano “questioni serie e profonde sullo stato di diritto”, “potrebbero avere effetti negativi piuttosto gravi sull’economia israeliana”.

La società di risorse umane Papaya Global, che ha investito decine di miliardi in Israele, ha annunciato alla fine di gennaio che avrebbe ritirato fondi da Israele insieme ad altre aziende tecnologiche più piccole, in previsione che anche il settore tecnologico, che rappresenta il 10% dell’occupazione israeliana, potrebbe subire danni significativi nei prossimi mesi.

Le università israeliane stanno lanciando l’allarme che la riforma giudiziaria potrebbe anche interrompere la collaborazione internazionale e il finanziamento della ricerca, isolandole con il resto del mondo.

“Questo rischia di manifestarsi come una fuga di capitale umano”, hanno scritto eminenti accademici israeliani in una lettera aperta”, e nel fatto che i membri della facoltà esiteranno ad unirsi alle nostre fila; che studenti, ricercatori, studenti post-dottorato e colleghi internazionali non vengano in Israele; che il nostro accesso ai fondi di ricerca internazionali sarà limitato; che le industrie straniere si ritireranno dalla cooperazione con il mondo accademico israeliano; e saremo esclusi dalla ricerca internazionale e dalla comunità educativa”.

Sebbene Israele non abbia quasi subito sanzioni per le sue ripetute violazioni del diritto internazionale, le crepe hanno iniziato a mostrarsi. Nel 2021, la Norvegia si è impegnata a ritirare i suoi investimenti in fondi sovrani da società israeliane legate all’espansione degli insediamenti in Cisgiordania. Nei prossimi mesi, la Norvegia potrebbe annunciare la decisione di ritirare ulteriori centinaia di milioni dalle banche israeliane.

L’Irlanda ha ripetutamente avanzato proposte di legge per vietare l’importazione di prodotti israeliani, avvicinandosi al successo in più occasioni solo per vedere il Dipartimento di Stato americano annullare gli sforzi del Paese. I parlamentari irlandesi che da tempo chiedono l’approvazione di sanzioni contro Israele potrebbero trovare nuovo sostegno alla luce dei recenti sconvolgimenti politici. A gennaio, il Ministro degli Esteri irlandese ha chiesto a Israele di pagare un risarcimento per la distruzione di edifici finanziati dall’Unione Europea nella Palestina occupata.

In una lettera a Netanyahu, Ada Colau ha scritto: “In qualità di sindaco di Barcellona, ​​città mediterranea e difensore dei diritti umani, non posso essere indifferente alla sistematica violazione dei diritti fondamentali della popolazione palestinese”, ponendo così fine ai legami della città con Israele e al suo accordo di “gemellaggio” con Tel Aviv.

L’Unione Europea ha anche revocato silenziosamente la cooperazione in materia di sicurezza con Israele lo scorso anno e potrebbe trovare un sostegno a tutto campo per Netanyahu sempre meno sostenibile di fronte a oltre 90 Paesi, tra cui Germania e Francia, che denunciano gli attacchi sempre più ostili di Israele contro la Palestina all’ONU.

A febbraio, anche l’Unione Europea è stata costretta a rilasciare un comunicato per lanciare l’allarme sull’intervento dell’ONU nella lotta per le riforme giudiziarie. “Israele è un Paese democratico con istituzioni democratiche funzionanti e non spetta a noi commentare le discussioni interne in corso”, ha affermato. Sebbene Israele non sia uno Stato membro dell’Unione Europea, l’organismo europeo ha ripetutamente denunciato il consolidamento del potere da parte di leader autoritari in Ungheria e Polonia, andando oltre le dichiarazioni per tagliare miliardi di dollari di finanziamenti alle due nazioni europee.

“Questo governo di estrema destra con le sue forti tendenze autocratiche, probabilmente distruggerà una volta per tutte la ridicola e profondamente razzista pretesa di Israele di essere una ‘democrazia’”, ha detto Omar Barghouti, il co-fondatore del movimento BDS. “Questa convinzione, infusa nella coscienza di decine di milioni di americani nel corso di decenni di sofisticate campagne di propaganda, si è essenzialmente radicata, cancellando il popolo palestinese soggiogato dal sistema di oppressione coloniale di Israele”.

Daniel Boguslaw è un giornalista investigativo con sede a Washington, D.C. I suoi servizi includono la corruzione aziendale, le indagini del Congresso e della Casa Bianca, l’influenza americana all’estero e il lavoro organizzato. Prima di entrare a far parte della redazione di The Intercept, Daniel ha lavorato presso New Republic, The American Prospect e come vigile del fuoco nel Nord -Ovest del Pacifico.

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