L’IDF salva la Turchia ma rade al suolo la Cisgiordania


Di Gideon Levy *

Articolo pubblicato originariamente su Haaretz e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto


Gli occhi brillano di commozione, il cuore si riempie di orgoglio: i soldati delle Forze di Difesa Israeliane hanno recuperato i corpi di due ebrei rimasti uccisi ad Antakya. Gli occhi si illuminano, il cuore si esulta: l’Operazione Ramo d’Ulivo ha tirato fuori vivo dalle macerie un bambino di 9 anni venerdì sera. Una squadra dell’IDF ha salvato 19 persone.

Come ogni cosa nell’IDF, l’operazione ha un nome semplice e ideato dalla più grande agenzia di Pubbliche Relazioni del Paese, l’Unità del Portavoce dell’IDF. Israele è secondo solo all’Azerbaigian per dimensioni della missione di salvataggio che ha inviato in Turchia. È dubbio che il titolo principale del quotidiano più diffuso dell’Azerbaigian venerdì fosse: “Una Missione Etica”, come lo era quello del quotidiano in lingua ebraica Israel Hayom. Il cuore si riempie di orgoglio.

Ciò che l’IDF sta facendo in Turchia non può che suscitare ammirazione. Scavare tra le macerie in una terra straniera giorno e notte e poi prestare assistenza medica ai sopravvissuti, con immensa devozione, e in un Paese ancora semiostile. Complimenti all’IDF.

Ma non è questa l’IDF che conosciamo? La stessa IDF da cui siamo scioccati? Salva bambini in Turchia e uccide bambini in Cisgiordania; scava tra le rovine alla ricerca di cadaveri turchi e trattiene decine di cadaveri palestinesi e li immagazzina nei congelatori; ripulisce le rovine delle case distrutte da un terremoto e demolisce centinaia di case all’anno con le proprie ruspe. Non sorprenderebbe se alcuni dei soldati israeliani inviati in Turchia fossero gli stessi soldati che stanno radendo al suolo edifici nei villaggi di Masafer Yatta. Forse l’ufficiale che ha sigillato la casa in A-Tor davanti alle telecamere sta ora ripulendo con cura le macerie in Turchia?

Questo è ciò che vuole trasmette l’IDF: una moralità che suscita orgoglio. Certo, lo fa per senso di missione, ma è impossibile nascondere l’intento celato di trarre benefici anche da un’operazione umanitaria. Com’è commovente portare i corpi di Fortuna e Saul Cenudioglu da Antakya per la sepoltura in Israele, e che dire del corpo di Wadi’ Abu Ramuz, 17 anni, di Silwan, che Israele ha sequestrato? Non c’è bisogno di scavare per disseppellirlo, basta toglierlo dal congelatore dove è stato riposto. E che dire delle centinaia di corpi sequestrati dall’IDF a famiglie condannate a piangere i propri cari senza una tomba?

È difficile capire come un esercito così brutale e talvolta barbaro possa improvvisamente cambiare ruolo per diventare l’esercito della salvezza. Gli stessi comandanti, gli stessi soldati, le stesse uniformi: salvare e uccidere, ricostruire e radere al suolo, salvare dalle rovine e con la stessa facilità seminare distruzione sugli altri. Non c’è differenza tra la vittima di un terremoto e la vittima di una demolizione in termini di disastro che li ha colpiti: entrambi sono rimasti senza casa, senza nulla.

Il giorno in cui la squadra dell’IDF è stata fotografata mentre si recava in Turchia, era prevista la demolizione di un condominio a Silwan: 12 appartamenti, 77 nuovi senzatetto, 12 dei quali bambini. L’IDF fornirà aiuti umanitari anche a loro, dopo il terremoto che ha sconvolto le loro vite?

È così che ci piace apparire, il più umani, il più salvifici. Ci rechiamo in una zona disastrata per alcuni giorni: scaviamo, soccorriamo e ovviamente ci facciamo fotografare, quindi torniamo alla quotidianità. Va bene essere orgogliosi dei soccorritori, ma non dimentichiamo che Israele è uno dei regimi più crudeli e cinici del mondo nel trattamento dei richiedenti asilo, dei rifugiati di guerra e dei sopravvissuti ai disastri.

È facile svolgere missioni di salvataggio. È molto più difficile accogliere i rifugiati. Giordania, Turchia, Svezia e Germania sono un faro per le nazioni molto più di quanto lo sia Israele il soccorritore. Negli ultimi anni hanno accolto milioni di profughi dalla Siria, dall’Iraq e dai Balcani. Stanno pagando un prezzo insopportabilmente alto per le loro azioni di salvataggio, e nessuno li applaude per questo. Israele non prende nemmeno in considerazione l’idea di accogliere alcune delle vittime dei terremoti in Turchia.

Un post anonimo su Twitter la dice tutta: “Mentre i soldati israeliani stanno salvando i musulmani in Turchia, altri musulmani stanno uccidendo gli israeliani”, citava. E vero, perché non abbiamo ricevuto, e subito, tutto il merito che meritiamo per l’Operazione Ramo d’ulivo? E come mai i palestinesi non ci perdonano per tutto quello che facciamo loro? In fin dei conti, abbiamo salvato 19 turchi estraendoli vivi dalle macerie.

* Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.

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