Mentre Israele pianifica una soluzione finale nel Golan Occupato, Naftali Bennett dovrebbe imparare dal passato

Articolo originariamente pubblicato su Arab News e tradotto in italiano da Beniamino Rocchetto

Di Ramzy Baroud

Con la Siria ancora impantanata nella propria guerra, Israele sta riscrivendo attivamente le regole riguardanti la sua condotta nel vicino paese arabo. Sono finiti i giorni del potenziale ritorno delle alture del Golan occupate illegalmente alla sovranità siriana in cambio della pace, secondo il linguaggio degli anni precedenti. Ora, Israele è destinato a raddoppiare la sua popolazione di coloni ebrei illegali nel Golan, mentre le bombe israeliane continuano a cadere con una frequenza molto più elevata su vari obiettivi siriani.
È in corso una guerra unilaterale; viene riportato casualmente come se fosse un evento consueto, quotidiano. Nell’ultimo decennio, molti “misteriosi” attacchi alla Siria sono stati attribuiti a Israele. Quest’ultimo non ha né confermato né smentito tali affermazioni. Con il sostegno generale dato a Israele dall’amministrazione Trump a Washington, che ha riconosciuto la sua annessione illegale del 1981 delle alture del Golan siriano, la riluttanza di Israele a prendersi il merito delle frequenti e sempre più distruttive e sanguinose incursioni aeree si è dissolta.
Alcuni nel governo israeliano erano preoccupati per le possibili ripercussioni dell’ingresso di Joe Biden alla Casa Bianca un anno fa. Temevano che il nuovo Presidente degli Stati Uniti potesse annullare alcune delle decisioni pro-Israele adottate dal suo predecessore, incluso il riconoscimento “dell’importanza strategica e di sicurezza del territorio per lo Stato di Israele”. Biden, un sostenitore di lunga data dello stesso Israele, non ha fatto nulla del genere.
La preoccupazione iniziale per un cambiamento nella politica statunitense si è trasformata in euforia e, alla fine, in un’opportunità, soprattutto perché il Primo Ministro israeliano Naftali Bennett è desideroso di spezzare il dominio storico della destra sul movimento degli insediamenti ebraici nelle terre palestinesi e arabe occupate. “Questo è il Nostro Momento”, ha dichiarato trionfante Bennett in una riunione di gabinetto tenuta appositamente per l’ulteriore colonizzazione del Golan il 26 dicembre. “Questo è il Momento delle Alture del Golan.”
La seguente dichiarazione di Bennett la dice lunga sul contesto e sulle intenzioni di Israele: “Dopo lunghi anni di stasi in termini di portata degli insediamenti, il nostro obiettivo oggi è quello raddoppiare gli insediamenti nelle alture del Golan”. Il riferimento agli “anni di stasi” esprime il suo netto rifiuto dell’occasionale congelamento della costruzione degli insediamenti che ha avuto luogo per lo più durante il cosiddetto “processo di pace”. Bennett, che, nel giugno 2021, è stato accolto da Washington e dai suoi alleati occidentali come l’antitesi politica all’ostinazione del suo predecessore Benjamin Netanyahu, ha di fatto posto fine a qualsiasi possibilità di risoluzione pacifica dell’occupazione illegale del Golan da parte di Israele.
A parte le prevedibili e scontate risposte della Siria e della Lega Araba, la massiccia spinta di Israele per raddoppiare le sue attività di insediamento nel Golan sta passando in gran parte inosservata. Non solo i media di destra israeliani, ma anche testate come Haaretz stanno accogliendo con favore l’investimento del governo nei territori occupati, stimato a quasi 320 milioni di dollari (283 milioni di euro). Il titolo dell’articolo di David Rosenberg su Haaretz racconta l’intera storia: “Pittoresco ma povero, il Golan israeliano ha bisogno di una spinta governativa per prosperare”. L’articolo denuncia la “trascuratezza” del Golan da parte del governo israeliano; parla di opportunità di lavoro; e si limita a sfidare il governo di Bennett sul fatto che “manterrà la rotta”. Il fatto che l’occupazione del Golan, come quella di Gerusalemme, della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, sia illegale secondo il diritto internazionale è assente dalla copertura mediatica israeliana.
L’obiettivo principale di Israele ora è normalizzare la sua occupazione di tutta la terra araba. Se quella missione è fallita nel corso di 54 anni, però, può avere successo adesso?
Per Israele, l’impresa di insediamento illegale, sia nel Golan siriano che in Palestina, è ispirata da convinzioni ideologiche e religiose profondamente radicate, spinte da opportunità economiche e interessi politici, e mitigate dalla mancanza di una risposta internazionale significativa.
Nel caso del Golan, l’intenzione di Israele era, fin dall’inizio, di espandere il suo spazio agricolo, poiché la conquista del fertile territorio siriano attirò quasi immediatamente i coloni, che prepararono il terreno per massicci insediamenti agricoli. Sede di appena 25.000 coloni ebrei, il Golan è diventato una delle principali fonti di produzione di mele, pere e uva da vino per lo Stato di occupazione. Il turismo locale nel pittoresco Golan, costellato da numerose aziende vinicole, ha prosperato, soprattutto in seguito all’annessione illegale del territorio da parte di Israele nel 1981.
La difficile situazione della salda popolazione araba drusa del Golan di quasi 23.000 abitanti è irrilevante agli occhi di Israele quanto quella dei milioni di palestinesi occupati, sia che siano sotto assedio a Gaza sia che vivano sotto un’occupazione perpetua e segregazionista in Cisgiordania e Gerusalemme Est. La popolazione del Golan è ugualmente isolata e oppressa ma, come i palestinesi, continua a resistere nonostante il pesante costo. Tuttavia, è probabile che le loro difficoltà aumenteranno con il previsto raddoppio della popolazione di coloni israeliani.
Israele è, ovviamente, consapevole che, alla fine, in risposta ai suoi ultimi sforzi coloniali saranno organizzate delle rivolte popolari, ma vari fattori devono dare a Bennett la fiducia necessaria per continuare con i suoi piani. Una delle principali fonti di rassicurazione è che la Siria potrebbe impiegare anni per raggiungere un qualsiasi grado di stabilità politica che le permetta di lanciare qualsiasi tipo di sfida all’occupazione israeliana. Un altro è che la dirigenza palestinese non è in posizione di scontrarsi, soprattutto perché ora è di nuovo in buoni rapporti con Washington, che ha ripreso a finanziare l’Autorità Palestinese subito dopo l’insediamento di Biden lo scorso gennaio.
Inoltre, in Israele, il movimento anti-insediamento si è da tempo placato, cristallizzandosi per lo più in partiti politici più piccoli che sono difficilmente critici nella formazione o nel rovesciamento delle coalizioni di governo.
Cosa ancora più importante, Washington non ha alcun interesse ad avviare alcun tipo di sforzo diplomatico per gettare le basi per futuri colloqui che coinvolgano Israele e i palestinesi, e certamente non Israele e la Siria. Qualsiasi tentativo del genere ora, o anche nei prossimi anni, rappresenterebbe una scommessa politica per l’amministrazione Biden.
Israele lo capisce assolutamente e intende sfruttare l’opportunità che presenta, senza precedenti dai colloqui di Madrid di oltre trent’anni fa. Tuttavia, mentre Bennett sta sollecitando gli israeliani nella loro ricerca di espansione degli insediamenti con grida di battaglia come: “Questo è il Nostro Momento”, non deve sottovalutare il fatto che anche i palestinesi e i siriani occupati sono consapevoli che anche il loro “momento” si sta avvicinando. Tutte le rivolte popolari palestinesi sono iniziate in momenti in cui Israele presumeva di avere il sopravvento e che la resistenza fosse stata sedata per sempre. Rimane un presupposto pericoloso da fare. Mentre Israele trama una partita finale nel Golan occupato, Bennett dovrebbe imparare dal passato.
Ramzy Baroud è giornalista ed editore di The Palestine Chronicle. È autore di cinque libri. Il suo ultimo è “Queste catene saranno spezzate: storie palestinesi di lotta e sfida nelle carceri israeliane” (Clarity Press, Atlanta). Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), Università Zaim di Istanbul (IZU). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net

 

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