Tra macerie e lacrime, un barlume di speranza: i veri eroi in Siria e Turchia

Articolo pubblicato originariamente su MintPress tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto

Di Ramzy Baroud*

Il 7 febbraio si è tenuto un funerale nella città di Jinderis, nel Nord della Siria. È stato uno dei numerosi funerali che si sono tenuti quel giorno in tutta la Siria e la Turchia a seguito di un devastante terremoto che ha ucciso e ferito migliaia di persone.

Ciascuno di questi funerali rappresentava due nozioni apparentemente opposte: dolore collettivo e speranza collettiva. Il funerale di Jinderis è stato una cruda rappresentazione di questa divergenza.

In precedenza, i soccorritori hanno trovato un bambino tra le macerie di una casa distrutta. Era ancora attaccato alla madre con il cordone ombelicale. Rapidamente, hanno tagliato il cordone e hanno portato di corsa il bambino all’ospedale. Sfortunatamente, l’intera famiglia, tranne il neonato, è morta.

I canti di “Allah Akbar”, Dio è Grande, hanno echeggiato in tutta la Siria e la Turchia durante i giorni di disperata ricerca. Ogni volta che una persona viene trovata viva, o in pericolo di vita, i soccorritori, i medici e i volontari cantano le stesse parole con voci rauche. Per loro, in effetti, per tutti noi, è un costante promemoria che c’è qualcosa di più grande nelle nostre vite.

Le storie strazianti, dolorose ma stimolanti emerse dalle macerie del terremoto di magnitudo 7,8 sono state tante quanto i morti e i feriti. Molto tempo dopo che i morti sono stati sepolti e i feriti guariti, queste storie serviranno a ricordare quanto sia vulnerabile la razza umana e quanto possa essere tenace e motivata.

Il ragazzino turco, Yigit Cakmark, estratto vivo da sotto le macerie della sua casa crollata nella città di Hatay, si è riunito con sua madre in cima alle rovine della loro casa distrutta. L’immagine di loro aggrappati l’uno all’altro dopo 52 ore di ricerca non può essere descritta a parole. Il loro legame indissolubile è l’essenza stessa della vita.

Un’altra ragazzina siriana sorrideva mentre veniva tirata fuori attraverso il cemento frantumato. Molti bambini salvati sorridevano, felici di essere vivi o in segno di gratitudine per i loro soccorritori, ma questa ragazza ha sorriso perché ha visto suo padre, anche lui vivo.

L’eroismo è uno dei termini più soggettivi in ​​qualsiasi lingua. Per questi bambini e per le migliaia di vittime del terremoto soccorse, i veri eroi sono coloro che salvano la loro vita e quella dei loro cari.

È triste che, molto spesso, attribuiamo l’eroismo alla guerra, e raramente per le giuste ragioni. Ho trascorso gran parte della mia vita a vivere, scrivere o riferire sulla guerra, solo per scoprire che c’è poco eroismo in guerra dal momento in cui le armi vengono fabbricate, spedite, schierate o usate. L’unico eroismo che ho trovato in guerra è quando le persone combattono collettivamente per proteggersi a vicenda; quando i corpi vengono estratti dalle macerie; quando i feriti vengono portati d’urgenza negli ospedali; quando viene donato il sangue; quando si offre solidarietà alle famiglie delle vittime e quando le persone condividono le loro scarse provviste per sopravvivere insieme.

Questo stesso eroismo è in piena mostra in Turchia e in Siria. Il tipico luogo di salvataggio è un insieme di tenacia umana, amore, famiglia, amicizia e altro ancora: le vittime sotto le macerie, pregando e implorando soccorso; gli uomini e le donne sopra, che lottano contro il tempo, gli elementi e la mancanza di mezzi.

Ogni volta che una mano o un piede spuntano da sotto la polvere e i detriti, soccorritori e medici si precipitano a vedere se c’è un polso, per quanto debole. Quindi, nessun genere conta; nessuna religione; nessuna setta; nessuna lingua; nessun colore; nessuna condizione; nessuna età, nient’altro che il desiderio condiviso di salvare anche una sola vita.

Eventi così tragici potrebbero aver luogo in Turchia, in Siria, in Italia, in Algeria, in Giappone o in qualsiasi altro luogo. I soccorritori e le persone soccorse possono essere di qualsiasi razza, religione o nazionalità. Eppure, in qualche modo, tutte le nostre differenze, reali o immaginarie, tutte le nostre ideologie e orientamenti politici conflittuali non contano, e non dovrebbero, importare minimamente durante questi momenti strazianti.

Purtroppo, subito dopo che i feriti vengono soccorsi, i morti vengono seppelliti e le macerie rimosse, tendiamo a dimenticare tutto questo, allo stesso modo in cui stiamo lentamente dimenticando i nostri soccorritori e salvatori durante la pandemia di Covid-19. Invece di investire di più nelle strutture, nelle tecnologie e nelle risorse che salvano vite umane, spesso facciamo l’esatto contrario.

Sebbene la pandemia continui a uccidere un gran numero di persone, molti governi hanno deciso di passare a questioni apparentemente più urgenti: guerra, conflitti geopolitici e, prevedibilmente, maggiori investimenti in nuove armi più letali. Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma, la spesa militare mondiale ha superato per la prima volta i 2 trilioni di dollari (1.420.000 miliardi di euro) nel 2022. Provate solo a immaginare se l’aumento della spesa militare fosse utilizzato per aiutare, guarire e salvare coloro che combattono la povertà, le malattie o le catastrofi naturali.

La nostra mancanza di un vero senso delle priorità è piuttosto sorprendente. Mentre le munizioni vengono consegnate ai Paesi dilaniati dalla guerra a una velocità incredibile, ci vogliono giorni, settimane e mesi prima che gli aiuti arrivino alle vittime di uragani e terremoti. A volte, l’aiuto non arriva mai.

È probabile che le nostre confuse priorità non cambieranno, almeno non radicalmente, dopo il terremoto di Kahramanmaras. Ma è importante ribadire questa antica verità: gli eroi sono coloro che salvano vite e offrono il loro amore e sostegno a chi ne ha bisogno, indipendentemente da razza, colore, religione o orientamento politico.

Ai nostri veri eroi dell’umanità, grazie.

*Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), Università Zaim di Istanbul (IZU).

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