Voci da Gaza: giorno 120

Centoventesimo giorno della guerra genocida contro Gaza, 3 febbraio 2024

La testimonianza di Zainab Al Ghonaimy, da Gaza sotto bombardamento e aggressione

Quattro mesi di intimidazioni, fame, distruzione e uccisioni, e poi cosa?

Sono passati centoventi giorni e la brutale aggressione sionista continua ancora, così come continua questo crudele assedio della Striscia di Gaza. Forse in tutte le guerre del mondo le perdite umane e materiali non sono mai state di questa portata e quantità in un periodo così breve, soprattutto in rapporto al numero degli abitanti. Nonostante ciò, le persone si aggrappano ancora alla speranza che un giorno si sveglieranno e tutto questo finirà come se fosse stato un incubo del passato.

La figlia di mia cugina, una bambina sotto i tre anni, ha detto: “Quando la guerra finirà, vogliamo tornare a casa nostra e comprare un vestito nuovo per l’Eid”, e stava conversando con la sorella maggiore: “Vai a scuola e di’ alla maestra che ti perdona perché sei stata tanto assente, dille che abbiamo avuto una guerra”. Sua sorella risponde: “Se non fosse stata martirizzata, saprebbe anche lei che c’è una guerra”.

Questi sono i sogni dei bambini, ma i sogni degli adulti, nel contesto in cui si parla di un accordo di tregua temporanea, differiscono a seconda della portata della tragedia che li ha colpiti. Alcuni di loro aspettano di ritornare nella loro casa distrutta per seppellire i loro morti, alcuni cercheranno tra le macerie i loro documenti ufficiali e alcune delle cose che gli sono care e che sognano di ritrovare, altri vogliono ristrutturare ciò che rimane della casa, affinché possano rifugiarsi in essa dopo che saranno stanchi dei luoghi di sfollamento.

La mia parente mi ha detto, con le lacrime agli occhi, che suo marito è andato a ispezionare l’edificio in cui si trovava il loro appartamento, trovandolo completamente crollato verso il lato est. Non rimaneva che parte del muro su cui era appeso il suo amato dipinto.

Per quanto mi riguarda, anche io aspetto con impazienza che questa aggressione finisca, che possa ritornare nella mia casa e raccogliere lì tutte le mie cose e i miei ricordi. Spero che tutte le persone sfollate ritornino alle loro case, che noi potessimo aprire le porte del nostro centro e praticare il lavoro che amiamo al servizio delle donne e delle famiglie. Sono molto impegnata a pensare a come restaurare la sede del nostro centro affinché torni a funzionare e a come riunire lì tutte le colleghe per poter collaborare insieme alla realizzazione dei nostri progetti. Spero anche che, una volta risolte tutte queste questioni, potrò viaggiare e incontrare mia figlia, che è stata ferita dall’esilio e ferita da questa aggressione tanto quanto ha ferito me. Entrambe abbiamo bisogno di riposarci insieme, e vorrei poter assistere alla sua cerimonia di fine della specialistica alla fine del semestre, di cui sono stata privata più di una volta a causa delle chiusure frequenti del valico, e la difficoltà di ottenere i visti per poter viaggiare.

Fino a che tutto questo non sarà possibile, ciò che speriamo è che tutte le persone riescano a soddisfare i loro bisogni di acqua, cibo e riparo, in modo che possano sopportare tutta la paura, la fame e l’oppressione che stanno attraversando.

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