Voci da Gaza: giorno 139

Centotrentanovesimo giorno della guerra di sterminio su Gaza, 22 febbraio 2024

La testimonianza di Zainab Al Ghonaimy, da Gaza sotto bombardamento e aggressione

*Le relazioni umane e ciò che accade loro: il cambiamento e la familiarità alla luce dell’aggressione nella Striscia di Gaza


Ho notato, attraverso le mie conversazioni con chi mi circonda , con chi viene a trovarci qualche volta e con coloro con cui riesco a comunicare telefonicamente, comprese colleghe, colleghi, parenti, amiche e amici, che si parla spesso dell’emergere di cambiamenti nella cerchia delle relazioni di ciascuno di loro alla luce di questa brutale aggressione. Alcuni di questi rapporti sono stati influenzati negativamente e sono declinati, altri si sono consolidati e si sono sviluppati positivamente, il che è indubbiamente normale viste le dure condizioni in cui vivono tutti, donne, uomini e bambini, si sentono umiliati e insultati a causa della loro incapacità di mantenere la propria privacy e di un’esposizione disgustosa. Per rivelare i particolari intimi della loro vita davanti agli altri, mentre sono accalcati con estranei o parenti negli alloggi, siano essi nelle scuole, nelle tende o anche nelle case che hanno ospitato gli sfollati.

Ricordo bene quando una di loro mi chiamò alla fine del primo mese dell’aggressione, urlando di rabbia, chiedendomi di trovare una soluzione per lei con il marito, che ospitava una sua parente, e di come si intrometteva nei dettagli della sua vita, sia con i suoi figli che con suo marito. Allora, dopo averla calmata, ho parlato del problema con suo marito e lui mi ha detto: “Mia moglie ha ragione, questa signora è fastidiosa, ma cosa posso fare? Siamo circondati e il carro armato è nella strada secondaria. Non posso mandarla via.” Poiché conoscevo quella donna ospite, gli ho chiesto di parlare con lei, e le ho consigliato di non interferire nella loro vita, ma piuttosto di ringraziarli per averla ospitata.

In una conversazione che ho avuto qualche giorno fa con una mia altra collega, che era sfollata al sud, con suo marito che non poteva raggiungerla, mi ha detto: “Vorrei non essere uscita. Per un po’ ci siamo appoggiati l’un l’altro e mi sentivo al sicuro quando i bombardamenti si intensificavano, e lui poteva aiutarmi con il carico pesante. I ragazzi e le ragazze sono una responsabilità. Non riesco più a cavarmela da sola”.

Ad un’altra collega, il cui marito era emigrato con lei a Rafah, e chiamavo quando era possibile farlo, ho detto che è un bene che suo marito sia con lei. Lei ha risposto dicendo: “Mio Dio, professoressa, non ci vediamo, é come se fossimo estranei, viviamo in un kibbutz, la casa è piena, gli uomini stanno insieme da una parte mentre le donne, le ragazze e i bambini stanno da un’altra.” Ha continuato dicendo: “Sai che mi manca come se fosse in viaggio. Vorrei che potessimo sederci con lui e i bambini a tavola e mangiare da soli. Mi sento come se stessi esplodendo dall’ oppressione”.

Quando ho detto a una di loro che avevo deciso di tingermi i capelli per sentire un cambiamento psicologico, lei ha risposto dicendo: “Brava a te, mio Dio, ho paura del mio aspetto tanto quanto sono stanca, e non riesco nemmeno a trovare il tempo per fare la doccia. Immagina! In quattro mesi non ho usato la spugna da bagno. A causa della paura dei bombardamenti, facciamo la doccia velocemente in modo da morire in dignità.” Ha riso forte e detto, “Dio sa se mio marito ha voglia di guardarmi oppure no.”

Per quanto riguarda una di loro, il cui marito si è allontanato da lei in un altro posto, ha detto: “Vogliamo che questa guerra finisca ed essere al sicuro, ma giuro su Dio, che mi manca e vorrei che mi abbracciasse. Siamo stanchi psicologicamente di questa situazione, non bastano la paura, i bombardamenti e la fame, i c’è anche l’allontanamento gli uni dagli altri!”

Ieri sono venuti a trovarmi dei colleghi per vedere come stavo, uno di loro aveva una moglie sfollata con la famiglia al Sud. Quando gli ho chiesto delle sue condizioni, ha risposto: “Mio Dio, professoressa, lei non è una straniera, è come mia madre. Non sopporto più, mi manca mia moglie. Se non ci sarà presto una soluzione penserò ad andare al sud”. Poi gli ho detto: “Ma dicono che la strada è pericolosa, amico, non esporti a nulla di brutto.” Lui rispose: “Significa una morte o altro?, accadrà quello che deve accadere.” Quanto al secondo giovane, mi disse salutandomi sulla porta: “Sinceramente, professoressa, non avercela con mia moglie. Non ti ha riconosciuto quando mi hai mandato un messaggio per avere mie notizie”. Continuò, sorridendo timidamente: “In realtà è gelosa di me, ed è ancora più gelosa di me in questi giorni. Non so perché?” Io ho riso e gli ho detto: “Semplice, prova a coccolarla un po’. Il mondo è guerra e paura”.

Alcuni mariti e mogli non rivelano i loro bisogni e desideri, e mostrano agli altri la loro capacità di superare la mancanza di intimità e, in uno stato di testardaggine, un breve commento in risposta a qualsiasi osservazione correlata a ciò è: “Non è il momento, a cosa dobbiamo pensare”, e alcuni sussurrano: “Lascia fare a Dio e lui ti aiuterà”. E alcuni dicono, pur opprimendosi, “non abbiamo più desideri. L’importante è che Dio ci salvi”.

Le persone nella nostra società palestinese sono abituate a chiudere le porte e a non rivelare le loro questioni private, quindi è naturale che non sia facile per loro esprimere o parlare apertamente dei propri desideri alla luce di questa aggressione. Il coraggio di superare i propri bisogni umani, e alcuni di loro ricorrono al digiuno eccessivo, all’adesione alla religione, alla lettura del Corano e all’uso di termini religiosi per impedire a chiunque di avvicinarsi alla loro privacy. Ci sono altri le cui circostanze e il cui carattere sono cambiati, e ora esprimono i loro desideri davanti agli altri sussurrando, talvolta apertamente.

Ma ciò che è importante, alla luce di tutto questo clima, è che tutti stiano attenti ai propri rapporti umani e non siano costretti a fare scelte che distruggano questi rapporti, come uno di loro che mi ha detto: “Sono stanco e voglio divorziare da mia moglie”, ma ho cercato di riconciliarli il più possibile, nella speranza che questa situazione finisca e che questa aggressività finisca e che finiscano le sue dolorose conseguenze.

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