Voci da Gaza: giorno 205 e 206

Duecentocinquesimo e duecentoseiesimo giorno della guerra genocida contro Gaza, 28 e 29 aprile 2024

La testimonianza di Zainab Al Ghonaimy, da Gaza sotto bombardamento e assedio

Donne nella Striscia di Gaza sotto il giogo dell’aggressione sionista: grida di dolore soffocate

Provo molto dolore quando ascolto le storie delle donne e il loro dolore, soprattutto perché non rivelano pienamente la portata della loro sofferenza, per tutte le cose a cui sono esposte, dalla perdita dei loro cari alla mancanza dei loro bisogni personali.

In uno dei rifugi, la signora “A” dice di non essere esposta alla violenza. L’avvocato discute con lei e le dice: “Ma cosa dici? ti ho salvato dalla condanna a morte di tuo fratello, ti stava per uccidere con un coltello e ho dovuto denunciarlo alla polizia”. La donna ha risposto: “Aiutami a viaggiare con i miei figli e le mie figlie, e te ne sarei grata”.

Dopo un attento seguito del problema di questa donna, è diventato chiaro che è vedova da sette anni e, come molte persone ora nella Striscia di Gaza, vuole viaggiare con i suoi figli e figlie per trovare per se e loro un opportunità di sicurezza e protezione, ma la sua famiglia non è d’accordo che lei lasci il paese perché non ha un marito, anche se il suo giovane figlio ha più di diciotto anni. Dice: “Perché hanno paura per me? Non so perché! Chi tra i miei fratelli ci dà da mangiare e da bere? E da quando si interessano a noi?”

L’origine della questione nella cultura sociale locale è che una donna non può godere della sua libertà senza la supervisione di un uomo della famiglia, sia esso un marito, un padre, un fratello o anche un figlio maggiorenne. Nel caso di questa donna, nonostante le circostanze urgenti alla luce di questa aggressione sionista che non ha lasciato casa senza un disastro, alcuni pensano ancora a limiti ristretti, e anche se il fratello della signora “A” ha cercato di far viaggiare la moglie da sola con i suoi figli, non vede che questo è un diritto di sua sorella perché è vedova.

Abbiamo riscontrato spesso questi casi visitando i centri di accoglienza e fornendo alle donne il sostegno legale e sociale di cui avevano bisogno, in particolare vedove, divorziate e giovani donne single, poiché le restrizioni continuano a essere imposte, talvolta accompagnate da violenza.

In un’intervista su un argomento non nuovo, una delle giovani che era seduta per ascoltare i racconti delle donne e le loro storie dice, con grande stupore: “Oh professoressa, con questa guerra ci siamo adattati a tutto nella nostra vita. Non c’è elettricità, non c’è gas, non c’è acqua corrente, non ci sono case e le famiglie sono una sopra l’altra nei centri di accoglienza. Si sono esposti gli uni agli altri con storie che non pensavamo che nessuno potesse conoscere tranne i membri dell famiglia, e le persone hanno sopportato la morte, la distruzione e la fame, ma è anche richiesto alle donne di adattarsi al disdegno, alle percosse e agli insulti delle persone a loro più vicine e devono pure tacere, non è possibile.” Una delle donne le rispose: “Mia cara, tu sei ancora giovane. Abbiamo sopportato il disprezzo e gli insulti dei nostri mariti per tutta la vita, e talvolta anche le botte, ci siamo sottomesse ai nostri padri e ai nostri fratelli. Allora, cosa vogliamo fare? Divorziamo, ma dove andiamo? Le nostre famiglie non tollereranno noi e i nostri figli. Veniamo a patti con la nostra situazione e accettiamo il nostro destino.”

La nostra amica il cui fidanzato è stato martirizzato (che era effettivamente marito legalmente visto che si erano sposati) ha detto piangendo: “Stavo ascoltando il dolore di una donna il cui marito e alcuni dei suoi figli e nipoti sono stati martirizzati, quindi mi vergognavo di me stesso per lamentarmi con lei del mio dolore quando aveva perso tutti i suoi cari, ma io ho perso un solo amato”.

Una delle donne si è avvicinata alla nostra collega specialista e le ha detto: “Non mi piace lamentarmi, come vedi e senti. In queste circostanze vogliamo tacere, non possiamo cambiare nulla nella nostra vita. Infatti, anche se uno vuole lamentarsi, non esiste governo, polizia e nemmeno tribunali. È meglio tacere”.

Siamo rattristati dalla madre che ha accettato la morte e non è riuscita a piangere. Aveva perso due figli e una figlia, ma ha detto: “Lode a Dio, ne ho ancora due, che Dio me li protegga”. Una giovane donna che ha perso le sue tre sorelle e i loro figli, racconta: “All’inizio urlavo come una matta e stavo per impazzire, ma ora quando ho visto tutti quelli intorno a me che hanno perso i loro cari, i figli, i mariti, nipoti, madri, padri, fratelli e sorelle, dimentico le mie preoccupazioni e dico tra me e me “che Dio li aiuti”.

Così è trascorsa la giornata e vedo come le donne nascondono la verità del loro dolore, forse perché hanno pianto molto e le loro lacrime si sono asciugate, o forse perché sanno che chi se n’è andato non tornerà più, o forse come una di loro ha detto: “Che beneficio otterremo dal parlare se non quello di aprire ferite che è meglio lasciare nascoste?” Le ho risposto: “È vero, è meglio”, ma so che tutte queste storie non sono nascoste, ma la verità è che le donne sono abituate a ingoiare il dolore e la sofferenza.

 

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