«A Gaza non ci sono più nemmeno i biscotti, la gente assalta magazzini ormai vuoti»

Articolo pubblicato originariamente sul Manifesto

Di Chiara Cruciati

La testimonianza di un funzionario dell’Organizzazione mondiale della sanità. «È una guerra da cui non c’è via di fuga e con una violenza inimmaginabile: per strada vediamo solo chiazze di sangue e crateri, negli ospedali vediamo scene nauseanti»

«Non è immaginabile. Ho lavorato in Ucraina, Siria, Yemen, Afghanistan, Congo, Centrafrica ma quello che c’è qua è devastante, è molto, molto di più. Anche perché a Gaza la popolazione non può scappare: la gente è concentrata in uno spazio piccolo, che ora è ancora più piccolo: il 70% della Striscia è stata dichiarata zona militare, resta solo un 30% a disposizione». È la testimonianza di un funzionario dell’Organizzazione mondiale della Sanità di stanza a Gaza, di cui non citiamo il nome per ragioni di sicurezza. Lo abbiamo raggiunto ieri al telefono.

Dal 2 marzo scorso Israele ha chiuso unilateralmente i valichi. A due mesi esatti dal blocco all’ingresso degli aiuti, qual è la situazione a Gaza?
La situazione è al collasso. Da sessanta giorni non entra più nulla, i panifici sono tutti chiusi, le distribuzioni di cibo delle varie organizzazioni sono ferme: non hanno più nulla da dare, nemmeno i biscotti. La gente ha preso d’assalto gli ultimi cinque o sei centri di distribuzione aperti ma non c’era niente dentro, solo qualche sacco di farina.

In che modo la popolazione prova a recuperare il poco cibo e la poca acqua a disposizione?
Racimolando qualcosa dai vari centri, come dicevo. La gente sta impazzendo. Non c’è più niente, i prezzi sono schizzati alle stelle: un piccolo pesce arriva a costare 150-200 dollari. Ormai si mangia una volta ogni due giorni.

Ci sono già casi di morte per denutrizione? Ve ne aspettate molti?
Di casi di morte non siamo ancora a conoscenza, ma ci stiamo avvicinando al punto di rottura. È difficile avere dei numeri: lo staff internazionale dell’Oms e dell’Onu è stato ridotto del 70%, svolgiamo meno attività e dunque il controllo sul territorio è più limitato. In più gli ospedali sono al collasso, non riescono ad affrontare i casi di denutrizione. Stiamo cercando di rispondere all’emergenza con ospedali da campo, ma se non aprono i valichi non possiamo far entrare né equipaggiamento né medicine. Abbiamo il paracetamolo ma non abbiamo nient’altro per gestire le emergenze e i traumi. Non ci sono i mezzi per le anestesie, si opera a crudo. Il problema è che prima, quando i valichi restavano chiusi una settimana, la comunità internazionale, l’Unione europea, facevano pressioni: ora nessuno fa nulla, nessuno dice più nulla.

Quanti camion di aiuti sono in attesa al di là dei valichi?
Ci sono migliaia di camion in attesa, però molti sono tornati indietro, nei depositi al Cairo, ad Amman, in Cisgiordania, perché gli autisti e gli automezzi non possono restare fermi per settimane.

Ha mai visto niente di simile?
No, mai. In altri contesti bellici, la gente può scappare, ci sono rifornimenti che entrano…qui l’assedio è totale, la popolazione è in trappola. E la quantità di bombe che sganciano è inimmaginabile. La notte non si dorme, sono giorni e giorni che non si dorme perché le bombe sono incessanti. Una quantità di ordigni imparagonabile rispetto ad altre guerre, e in un territorio così piccolo. È la guerra di un paese che ha il sostegno di tanti alleati occidentali contro un paese che non ha niente. Un livello di violenza che non si riesce ad immaginare: vediamo chiazze di sangue per la strada ogni giorno, vediamo crateri, macerie, negli ospedali vediamo scene nauseanti. Come fosse normale: ci stiamo abituando a una guerra che è un’assurdità.

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