Google sceglie l’apartheid invece della giustizia: i lavoratori protestano contro il Progetto Nimbus

Articolo pubblicato originariamente su Middle East Eye e tradotto dall’inglese dalla redazione di Bocche Scucite

Di Azad Essa

Circa 250 lavoratori e attivisti hanno manifestato davanti agli uffici di Google a Manhattan, New York, giovedì (MEE/Azad Essa)

Centinaia di persone protestano davanti agli uffici di Google nelle città degli Stati Uniti, mentre cresce la pressione sull’azienda affinché tagli i legami con Israele

Centinaia di lavoratori e attivisti filo-palestinesi si sono riuniti giovedì fuori dagli uffici di Google in alcune città degli Stati Uniti, chiedendo all’azienda di interrompere i lavori sul controverso Progetto Nimbus, il contratto da 1,2 miliardi di dollari stipulato tra il colosso tecnologico e il governo israeliano.

Le proteste davanti a diversi uffici di Google in quattro città arrivano mentre continua a crescere la pressione all’interno e all’esterno di Amazon e Google per porre fine alle collaborazioni con Israele, in quella che gli attivisti descrivono come la complicità delle big tech con l’apartheid israeliano.

“Siamo qui perché la leadership di Google ha deciso che armare le nazioni del mondo con strumenti di sorveglianza, controllo e violenza è più importante dei valori dei loro lavoratori, della sicurezza dei loro utenti e delle vite dei palestinesi”, ha detto un lavoratore alla folla riunita fuori dagli uffici di Google a Manhattan, New York.

“Hanno scelto l’apartheid al posto della giustizia e il denaro al posto della moralità. Hanno annunciato questa posizione al mondo quando hanno firmato il Progetto Nimbus”, ha aggiunto il lavoratore.

Da quando il Progetto Nimbus è stato annunciato a metà del 2021, centinaia di lavoratori delle aziende hanno espresso il timore di contribuire a facilitare e far progredire il progetto di apartheid di Israele. I materiali di formazione trapelati a Intercept mostrano che il progetto vedrà Google fornire capacità avanzate di intelligenza artificiale e apprendimento automatico al governo israeliano.

“Pur non fornendo alcuna specifica su come verrà utilizzato Nimbus, i documenti indicano che il nuovo cloud fornirebbe a Israele capacità di rilevamento facciale, categorizzazione automatica delle immagini, tracciamento degli oggetti e persino un’analisi del sentimento che pretende di valutare il contenuto emotivo di immagini, discorsi e scritti”, ha scritto Intercept.

Giovedì i lavoratori di entrambe le aziende, tra cui almeno due palestinesi, si sono radunati davanti alle sedi di Google a New York, San Francisco, Seattle e Durham, in North Carolina, sia per mostrare solidarietà ai palestinesi sia per portare la loro campagna all’interno del colosso tecnologico a un pubblico più vasto.

Portando cartelli “No tech for apartheid” e cantando: “Questo lavoratore di Google dice no tech for apartheid”, gli attivisti di diverse organizzazioni, come MPowerChange e il progetto Crescendo di San Giovanni d’Acri, così come i lavoratori del settore tecnologico di entrambe le aziende, hanno affermato che è inaccettabile che i loro datori di lavoro traggano profitto dall’oppressione palestinese.

Gli attivisti hanno dichiarato a MEE che né Google né Amazon hanno risposto a diverse lettere e petizioni guidate dai lavoratori che sollevavano il problema del contratto.

Le azioni di giovedì hanno avuto luogo circa una settimana dopo che Ariel Koren, una dipendente di Google, si è licenziata citando un ambiente di lavoro ostile dopo aver parlato e organizzato all’interno di Google contro il Progetto Nimbus più di un anno fa.

La settimana scorsa, diversi lavoratori palestinesi di Google hanno pubblicato su YouTube testimonianze che criticano il trattamento riservato dall’azienda ai palestinesi e la censura nei confronti dei dipendenti che li sostengono. I lavoratori palestinesi presenti alla manifestazione di New York non hanno parlato con i media per paura di ritorsioni sul posto di lavoro.

Nell’ottobre 2021, i lavoratori hanno avviato una petizione per chiedere l’annullamento del contratto. Da allora, circa 800 dipendenti di Google e Amazon e altre 37.500 persone hanno aderito alla richiesta di porre fine alla partnership.

“Google e Amazon sono fermi su questo contratto e si rifiutano di ascoltare le migliaia di voci contrarie che chiedono all’azienda di fornire trasparenza, di fare la cosa giusta e, infine, di rescindere questo contatto”, ha dichiarato Koren a MEE.

Gli organizzatori hanno dichiarato che circa 250 persone si sono riunite a New York e altre 250 a San Francisco, circa 150 a Seattle e 40 a Durham.

A New York, i manifestanti si sono stretti sul marciapiede tra il traffico della prima serata e il gigantesco edificio di Google al 111 della 8th Avenue a Manhattan, e hanno alzato la voce contro il coinvolgimento dell’azienda con l’esercito israeliano.

La sicurezza dell’edificio, in borghese, si è mossa tra la folla, mentre una manciata di agenti di polizia ha vigilato alle estremità opposte dell’isolato.

Gli attivisti hanno distribuito opuscoli ad altri lavoratori che uscivano dall’edificio di Google.

C’era anche una manciata di sostenitori israeliani che sono arrivati sul posto, con una bandiera israeliana gigante, per lanciare una contro-protesta.

Un dipendente di Google, un product manager, ha raccontato a MEE che gli è stato detto di rimanere all’interno dell’edificio finché la protesta non si fosse dissolta. Ha ammesso di non aver mai sentito parlare del Progetto Nimbus.

Dawlat Chebley, un lavoratore del settore tecnologico non affiliato a nessuna delle due aziende, ha detto a MEE che era chiaro che non abbastanza persone sapevano quanto fosse diventata invadente la big tech.

“Questa protesta è molto importante perché la gente non si rende conto che la tecnologia è il nostro futuro. La gente non si rende conto di quanto la tecnologia possa essere controllante se è nelle mani sbagliate e, come potete vedere, è già nelle mani sbagliate”, ha detto Chebly.

Riconoscendo l’ignoranza diffusa sul ruolo della tecnologia e dei suoi profitti dall’oppressione, un’altra manifestante, Chandra Darice, ha detto a MEE di essere venuta appositamente per onorare quei “lavoratori della tecnologia che non vogliono vedere i loro prodotti usati per sorvegliare e opprimere il popolo della Palestina”.

“Le persone che lavorano in posti come Google e Amazon vogliono connettere il mondo, queste sono società globali che pretendono di innovare in modi che sono destinati ad aiutare tutta l’umanità, ma allo stesso tempo, stanno prendendo miliardi di dollari per violare i diritti umani di altre persone”, ha detto Darice.

Le obiezioni al coinvolgimento di Google nel Progetto Nimbus hanno sollevato preoccupazioni anche tra le altre parti interessate, compresi gli azionisti.

Venerdì Kiran Aziz, del KLP, il più grande fondo pensione norvegese, ha dichiarato a MEE di essere “profondamente preoccupata” per l’insistenza di Google nel portare avanti il Progetto Nimbus.

“La situazione dei diritti umani sta peggiorando con il governo israeliano che chiude le ONG, espande gli insediamenti illegali e aumenta le uccisioni di civili, compresi i bambini palestinesi nei territori palestinesi occupati illegalmente”, ha dichiarato Aziz in una dichiarazione inviata a MEE.

“Google e Amazon dovrebbero essere consapevoli dei rischi e svolgere la dovuta diligenza. KLP sta scrivendo a entrambe le società per chiedere trasparenza e per revocare il Progetto Nimbus sulla base dei chiari rischi di violazione dei diritti umani fondamentali”.

KLP è un investitore sia di Amazon che di Google. Nel giugno 2021, il fondo pensione ha disinvestito da Motorola per il suo presunto contributo alla sorveglianza nei territori palestinesi occupati.

Né Google né Amazon hanno risposto alla richiesta di commento di MEE.

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