Di Giuseppina Fioretti
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento sull’assegnazione dell’Oscar a “No Other Land” di Pina Fioretti, animatrice da anni della rassegna veneziana “Cinema senza diritti”, e attivista da sempre a sostegno della causa del popolo e della resistenza palestinese. (Red.)
Siamo molto felici del conferimento dell’Oscar al documentario “No Other Land”, scritto e diretto da Basel Adra e Yuval Abraham.
Se questo documentario fosse stato realizzato prima del 7 ottobre, forse non avrebbe ricevuto così tanta attenzione.
Il peso di centinaia di migliaia di morti palestinesi a Gaza si fa sentire almeno a livello di coscienza umana in un Occidente distratto sulla Palestina, e la cui società civile è abituata a trattare la questione palestinese sempre e solo sul piano dei diritti umani, senza mai partire da una critica decisa a se stessa e alla sua politica colonialista.
Infatti è un dato di fatto che un documentario simile a “No Other Land”, analogamente diretto da due registi, un palestinese e un israeliano, è stato già realizzato nel 2011 quando Emad Burnat e Guy Davidi girarono “Five Broken Cameras“.
Così come il documentario appena premiato denuncia il sistema di occupazione e apartheid israeliano e la pulizia etnica nell’area di Masafer Yatta, il documentario del 2011 denunciava la stessa politica di occupazione, i crimini, le efferatezze del governo israeliano e presentava le pratiche di resistenza dei comitati popolari nelle aree di alcuni villaggi delle terre della Palestina occupate nel 1967 (Cisgiordania).
In particolare il regista palestinese Emad Burnat e l’israeliano Guy Davidi documentarono la resistenza alla costruzione degli insediamenti illegali e del muro di Apartheid nel distretto di Bil’in. Durante le riprese uno degli abitanti del villaggio, mentre partecipava a una manifestazione pacifica, fu colpito a morte da un soldato israeliano. Si chiamava Basem Ibrahim Ahmed Abu Rahma. La sua fu una morte in diretta, mentre giravano.
E in diretta gli spettatori del 2011, come quelli di oggi, assistevano e assistono allo stillicidio quotidiano e infine al genocidio condotto contro i palestinesi che il colonialismo vuole far sparire dalla faccia della terra. [Anche in “No Other Land” c’è un palestinese, Harun Abu Aram, che è ripreso mentre viene aggredito dai soldati israeliani e morirà dopo più di due anni di sofferenze per i trami e le ferite di quella aggressione.]
Nel 2013 il documentario “Five Broken Cameras” ricevette una nomination ai Premi Oscar nella categoria “Miglior Documentario”, ma non vinse nulla. Era la prima volta che un documentario palestinese veniva nominato per l’Oscar.
Il regista palestinese Burnat si recò a Los Angeles, ma fu persino bloccato alla dogana dall’ufficio immigrazione degli Stati Uniti; solo grazie all’intervento del documentarista e attivista Micheal Moore, il regista palestinese riuscì a partecipare alla serata degli Oscar.
Cos’ è cambiato in 12 anni?
Il genocidio condotto da Israele su Gaza è sotto gli occhi di tutti, anche se stampa e politica istituzionale si aggrappano agli specchi e al linguaggio della comunicazione di propaganda che proibisce chiare accuse al sionismo di insediamento e ai piani criminali di colonizzazione di Israele, dei suoi partner occidentali e arabi.
Il documentario “No Other Land” è stato pensato e scritto prima del 7 ottobre.
Ai due registi va il merito di aver diffuso e portato all’attenzione del mondo la situazione che i palestinesi di Masafer Yatta vivono da decenni.
In realtà di Masafer Yatta da sempre ne scrive la stampa palestinese e quella indipendente araba ed occidentale. Se fate una breve ricerca, leggerete gli articoli firmati da Basel Adra che scrive per + 972 Magazine. I suoi articoli vengono rilanciati da altre testate e blog internazionali. Negli anni Adra ha anche documentato con video situazioni drammatiche di aggressioni compiute dai coloni fondamentalisti ebrei e dai soldati dell’ IDF che hanno coinvolto lui personalmente, i suoi parenti e la sua famiglia.
Allora perché solo ora ci si accorge di un giornalista, attivista e documentarista palestinese come Basel Adra che più volte in passato ha rischiato la vita per ciò che fa e ha fatto nel film?
Perché nel documentario ciò che Basel Adra ha sempre fatto, lo fa con un regista israeliano e all’Occidente questa cosa piace troppo.
Non esiste voce palestinese per l’Occidente, in ambito politico, in quello accademico, passando per mostre artistiche e cinema, che non debba essere legittimata dalla presenza e/o affiancamento di una presenza israeliana.
E così, grazie alla collaborazione con l’attivista e coraggioso regista israeliano Yuval Abraham, il mondo casca dal pero, si rende conto di cosa sta accadendo a Masafer Yatta, e addirittura si arriva a premiare ciò che prima del 7 ottobre i palestinesi, attraverso una delle tante forme di Resistenza che applicano, il Cinema per l’appunto, hanno sempre fatto: gridare al mondo e documentare il piano di pulizia etnica che stanno subendo da quasi un secolo.
L’entusiasmo con cui è stato accolto il documentario che ha meritato e vinto l’Oscar, fa ben sperare in una diffusione della realtà che vivono i palestinesi.
Bisogna però fare attenzione a due aspetti:
la narrazione neocon, che è già iniziata in molti ambienti; la strumentalizzazione che ne deriva.
Nel presentare il film non dobbiamo dimenticare che l’impegno e la coerenza di un attivista israeliano come il regista Yuval Abraham, e pochi altri nella sua società, non fanno di Israele una democrazia.
Anzi, mi permetto di suggerire che nel momento in cui nelle scuole tante/i colleghe/i si entusiasmeranno e si soffermeranno sull’audacia di Yuval Abraham, non devono dimenticare chi è nella posizione di vittima. Chi sono i colonizzatori e chi i colonizzati, e che lo stesso regista israeliano è vittima del colonialismo della sua società, ma non è un eroe.
Non lo sono e non vogliono esserlo neanche i palestinesi. Gli eroi appartengono all’immaginario di noi occidentali, che vogliamo guardare per forza alla questione palestinese come a un fatto che accade un po’ lontano da noi e in cui i palestinesi ci insegnano quanto eroici siano se non toccano le armi, fanno film, si lasciano uccidere opponendo la resistenza pacifica che tanto ci aggrada e trova le simpatie della nostra umanistica e umanissima coscienza.
Io sono convinta che se prima del 7 ottobre, in quel 2013 alla notte degli Oscar a Los Angeles, fosse stato premiato “Five Broken Cameras”, la situazione sarebbe leggermente diversa.
Se prima del 7 ottobre la politica, la stampa, il mondo accademico, la cultura internazionali avessero avuto il coraggio di pubblicare in prima pagina, di far parlare in un talk solo i palestinesi, di dare spazi alla narrazione palestinese, noi saremmo tutti meno neocon, meno suprematisti e più liberi.
“No Other Land” merita l’Oscar, ma non perché ci mostra che il dialogo tra Israele e Palestina sia possibile.
Al contrario, ci mostra che il colonialismo di insediamento che Israele sta portando avanti va denunciato e in quella terra dal Fiume al Mare hanno diritto a vivere tutti liberi dal regime di apartheid e di colonizzazione. In tutti questi anni il riconoscimento dei palestinesi sul piano politico è stato rimandato ed evitato perché sul piano culturale e sociale è stata portata avanti una narrazione in cui altri hanno parlato a nome dei palestinesi.
Mentre nelle terre palestinesi continuava l’occupazione e l’insediamento sionista, altro spazio veniva tolto alla Palestina nel dibattito pubblico in Occidente, e tante persone non palestinesi hanno occupato quello spazio con i loro libri, articoli, opere, analisi ecc..
Non sempre sono stati utili.
Questo Oscar è importante non perché ci mostra che sia possibile il dialogo tra Palestina e Israele.
Ma perché ci mostra chi è colonizzato e chi sono i colonizzatori, tra questi ultimi tanti spettatori poco consapevoli.

[…] dalla “devastazione che si è dispiegata davanti agli occhi del mondo”. ( https://bocchescucite.org/difendere-la-dignita-e-la-presenza-del-popolo-di-gaza/ ) Mai così espliciti e rinunciando…
Grazie per il vostro coraggio Perché ci aiutate a capire. Fate sentire la voce di chi non ha voce e…
Vorrei sapere dove sarà l'incontro a Bologna ore 17, grazie
Parteciperò alla conferenza stampa presso la Fondazione Basso il 19 Mercoledì 19 febbraio. G. Grenga
Riprendo la preghiera di Michel Sabbah: "Signore...riconduci tutti all'umanità, alla giustizia e all'amore."