Articolo pubblicato originariamente su Remocontro
Di Ennio Remondino
Abbandonati al sole e distrutti mentre Gaza soffre la carestia e la sete. Israele ha la faccia tosta di negare la crisi. Un ex dipendente della americana Ghf conferma: i soldati sparano sui palestinesi affamati. Hamas: ‘senza il latte in polvere, 200mila neonati e bambini sotto i due anni rischiano di morire’
‘Pausa tattica’ delle operazioni militari a Gaza. Pallet su una tenda di sfollati ferisce 11 persone. Camion di aiuti in movimento dall’Egitto per raggiungere la Striscia. Ma poche illusione: ‘pausa tattica’ in vigore a livello locale ‘fino a nuovo avviso’
Tonnellate di cibo distrutte dall’esercito israeliano
Tonnellate di cibo, medicine e generi di prima necessità sono state distrutte e seppellite dall’esercito israeliano perché si erano deteriorate dopo essere rimaste troppo a lungo al valico di Kerem Shalom, senza poter essere distribuite a Gaza. A riportarlo è stata la stessa tv pubblica israeliana, Kan, che, citando fonti militari, ha riferito che gli aiuti distrutti corrispondevano al carico di ben 1.000 autocarri. Ma non è la confessione del misfatto e tantomeno una svolta. «Ancora oggi ci sono migliaia di pacchi esposti al sole e, se non verranno trasferiti nella Striscia di Gaza, li distruggeremo», ha avvertito una fonte militare.
«Una notizia sconvolgente, tenendo presente che due milioni di palestinesi nella Striscia non hanno cibo a sufficienza: molti non mangiano per giorni, mentre cresce il numero delle vittime – spesso bambini – di malnutrizione e fame (almeno 122)», lo sdegno di Michele Giorgio sul manifesto.
Non ammissione di colpa ma ‘scarica barile’
La notizia di parte israeliana su quell’enorme spreco di fronte ai bisogni della popolazione di Gaza, ha voluto scaricare ogni responsabilità da Israele e prendere di mira le Nazioni unite, che pure sono boicottate e ostacolate in ogni modo dal governo Netanyahu. Ma accade anche di peggio. Tanti media israeliani che esaltano il presunto ruolo ‘positivo’ della Ghf, la fondazione americana alla quale Tel Aviv ha affidato un insostenibile meccanismo di distribuzione di pacchi alimentari, alla base delle stragi quotidiane che, da maggio, hanno provocato un migliaio di vittime palestinesi.
Anthony Aguilar, un ex Berretto Verde e poi contractor americano che ha lavorato per qualche settimana per la Ghf a Gaza, ha dichiarato alla BBC di aver assistito a brutalità indiscriminate contro i civili palestinesi e a spari da parte dei soldati israeliani – «anche da un carro armato» – e dei suoi ex colleghi, direttamente sulle persone in attesa degli aiuti alimentari.
Israele smentisce la carestia
Ieri il portavoce del governo, David Mercer, è tornato a ripetere che la catastrofe umanitaria denunciata da governi, capi di Stato e da decine di agenzie dell’Onu e Ong internazionali, è «artificiale». Le scene di adulti e bambini ridotti pelle e ossa – come quelle del piccolo Mohammad e di sua madre Hedaya Mutiwy, viste in tutto il mondo qualche giorno fa – non sarebbero altro che il frutto di una «campagna mediatica» pianificata dai dirigenti di Hamas. I media rilanciano la stessa narrazione. Il portale Ynet, ad esempio, ieri ha ridimensionato il significato delle immagini di un autocarro assaltato da una folla di affamati nel sud della Striscia.
La lettura, non solo governativa, della situazione a Gaza contrasta però con quella delle migliaia di israeliani che venerdì e ieri sera hanno manifestato di nuovo a Tel Aviv e in altre città per chiedere la fine della guerra, della fame e delle sofferenze nella Striscia, oltre al rilascio degli ostaggi.
Nazioni Unite bersaglio
Prese di mira, le Nazioni unite denunciano come l’esercito israeliano non faccia seguire azioni concrete alle sue affermazioni pubbliche: mentre dichiara che non ci sono restrizioni agli aiuti, sul terreno pone invece impedimenti burocratici e altri ostacoli che consentono solo una distribuzione con il contagocce. Quando invece sarebbero necessari almeno 600 camion di aiuti al giorno per iniziare a fronteggiare la crisi umanitaria a Gaza. Diversi funzionari dell’Onu contestano la probabile ripresa dei lanci di aiuti dal cielo, con il paracadute. L’idea piace soprattutto al premier britannico Starmer, che pensa di attuarla con l’aiuto della Giordania.
Il capo dell’agenzia per i profughi Unrwa, Philippe Lazzarini, avverte che i lanci da aerei ed elicotteri «sono costosi, inefficienti e possono uccidere i civili affamati». Nei mesi scorsi, diversi palestinesi – tra cui bambini – furono colpiti e uccisi da pesanti pacchi alimentari. Non pochi aiuti finirono in mare.
La catastrofe si aggrava: 100mila bambini a rischio
Ieri il ministero della Sanità di Gaza ha pubblicato la foto di una neonata di sei mesi, Zeinab Abu Halib, ridotta a uno scheletro. E si moltiplicano sui social gli appelli a sostegno delle fasce più deboli della popolazione. Il governo di Hamas lancia l’allarme: è a rischio la vita di 100.000 bambini sotto i due anni, a causa della mancanza di latte in polvere e di integratori alimentari. La tregua è saltata ancora una volta dopo la decisione di Israele di richiamare la sua delegazione a Doha a causa, afferma, dell’«egoismo» di Hamas che non ha permesso di raggiungere l’accordo per lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi.
Ancora azioni di forza Israele-Usa?
Si fanno insistenti le voci secondo cui Israele – e forse anche gli Stati Uniti – sarebbero pronti a lanciare nuove offensive e incursioni militari nella Striscia, per liberare gli ostaggi con la forza e non con la trattativa. In quella direzione le recenti dichiarazioni dell’inviato americano Steve Witkoff e del premier Netanyahu sull’impiego di «modi alternativi per liberare gli ostaggi». Trump ha commentato che «siamo arrivati a un punto in cui dobbiamo finire il lavoro».
COSA SI PROVA A MORIRE DI FAME
«La fame ci ha tolto tutto, è un attacco alla nostra dignità». La testimonianza di una giornalista palestinese: «Ogni mattina ci svegliamo pensando solo a una cosa: come trovare qualcosa da mangiare». La sintesi estrema da un articolo Ruwaida Amer pubblicato dalla testata israeliana democratica e di opposizione ‘+972’
- Ho tanta fame. Non ho mai inteso queste parole nel modo in cui le intendo ora. Portano con sé una sorta di umiliazione che non riesco a descrivere appieno.
- Dallo scorso maggio, dopo che sono stata costretta a fuggire da casa mia e a rifugiarmi da alcuni parenti nel campo profughi di Khan Younis, ho sentito queste stesse parole pronunciate da innumerevoli persone intorno a me.
- Da quando Israele ha imposto un blocco totale su Gaza all’inizio di marzo, non abbiamo assaggiato carne, uova o pesce. Di fatto, siamo rimasti senza quasi l’80% del cibo che eravamo soliti mangiare. Il nostro corpo si sta rompendo. Ci sentiamo costantemente deboli, non concentrati e fuori equilibrio.
- Ci irritiamo facilmente, ma il più delle volte restiamo in silenzio. Parlare consuma troppa energia.
- Cerchiamo di comprare tutto ciò che è disponibile nei mercati, ma i prezzi stanno diventando impossibili. Un chilo di pomodori costa oggi 90 shekel (oltre 25 dollari). I cetrioli costano 70 shekel al chilo (circa 20 dollari). Un chilo di farina costa 150 shekel (45 dollari). Queste cifre sono oltraggiose e crudeli.
- Sopravviviamo con un solo pasto al giorno: di solito solo pane, preparato con la farina che riusciamo a trovare. Se siamo fortunati, il pranzo può includere un po’ di riso, ma anche quello non ci sazia.
- Cerchiamo di mettere da parte del di cibo per mia madre, magari qualche verdura, ma non è mai abbastanza. La maggior parte dei giorni è troppo debole per stare in piedi, troppo spossata anche per recitare le preghiere.
- Ormai usciamo raramente di casa, per paura che le nostre gambe possano cedere. È già successo a mia sorella: mentre cercava per strada qualcosa, qualsiasi cosa, per sfamare i suoi figli, all’improvviso è crollata a terra. Il suo corpo non aveva nemmeno la forza di rimanere in piedi.
- Ogni giorno, prima dell’alba, Mahmoud si reca ai centri di distribuzione degli aiuti gestiti dagli americani, rischiando la vita per cercare di portare a casa un po’ di cibo per i suoi figli affamati.
- Un giorno Mahmoud è tornato senza nulla. Il suo volto era svuotato di colore e sembrava che potesse crollare. Mi ha detto che l’esercito israeliano aveva aperto il fuoco senza preavviso. «Il sangue di un giovane accanto a me è schizzato sui miei vestiti. Per un momento ho pensato di essere stato io a sparare. Mi sono bloccato, ero sicuro che il proiettile fosse nel mio corpo». Il giovane è caduto a terra proprio davanti a lui, ma Mahmoud non ha potuto fermarsi per aiutarlo. «Ho corso per più di sei chilometri senza guardarmi indietro. I miei figli sono affamati e aspettano che porti loro del cibo – ha detto, con la voce rotta – ma non saranno contenti se torno a casa morto».
[…] dalla “devastazione che si è dispiegata davanti agli occhi del mondo”. ( https://bocchescucite.org/difendere-la-dignita-e-la-presenza-del-popolo-di-gaza/ ) Mai così espliciti e rinunciando…
Grazie per il vostro coraggio Perché ci aiutate a capire. Fate sentire la voce di chi non ha voce e…
Vorrei sapere dove sarà l'incontro a Bologna ore 17, grazie
Parteciperò alla conferenza stampa presso la Fondazione Basso il 19 Mercoledì 19 febbraio. G. Grenga
Riprendo la preghiera di Michel Sabbah: "Signore...riconduci tutti all'umanità, alla giustizia e all'amore."