A sud droni israeliani sparano ancora. Netanyahu: «La guerra non è finita»

Articolo pubblicato originariamente sulla pagine FB di Pasquale Porciello

Dall’esercito israeliano ordini di coprifuoco e divieti di spostamento. Tra le macerie di Beirut l’odore acre dei corpi in decomposizione. In Libano arriva l’inviato di Macron, sul tavolo un nuovo governo e un nuovo presidente

Di Pasquale Porciello

Nella Dahieh la vita è ripresa tra le macerie, le strade piene di detriti e polvere, le bandiere gialloverdi di Hezbollah e quelle rossoverdi di Amal (l’altro partito sciita in Libano) in cui si avvolgono e che sventolano i ragazzi sui motorini lanciati in mezzo alle auto, tra i negozi che mettono a volume altissimo gli inni del partito e celebrano quella che è stata percepita come una vittoria.

Passando per le stradine di Hadath, di Haret Hreik, di Chiyah la grande vitalità della gente – all’opera già dalle prime ore della mattinata per pulire con pale e scope le entrate dei negozi e dei palazzi risparmiati dalla furia della guerra – fa il pari con uno scenario, in alcuni squarci, di profonda devastazione.

Anche gli odori si mischiano. Quello del caffè preparato in strada o della carne arrosto per gli shawarma e quello acre, pungente, che arriva a folate da poche centinaia di metri in là, verso Kniset mar Mikhail, putrido, che sale dalle macerie dei palazzi bombardati qualche giorno fa: sono i corpi in decomposizione che è impossibile estrarre dalle macerie.

L’EUFORIA del cessate il fuoco a sud dura poche ore. Nella notte tra mercoledì e ieri riecheggiano spari nei villaggi a ridosso della Linea Blu, assieme all’assordante ronzio dei droni israeliani che sorvolano la zona, così come sorvolano incessanti sulla Bekaa, a est. Tiri di mitragliatrice all’altezza di Aitarun e Khiam (cuore della battaglia di terra tra Hezbollah e l’esercito israeliano) nella provincia di Marjayoun, come in quella di Bint Jbeil e di Nabatieh.

«Chiunque si rechi a sud di questa linea si mette in pericolo», ha scritto ieri in mattinata il portavoce dell’esercito israeliano Avichay Adraee su X, facendo riferimento alla linea che va da Mansuri, a ovest, a Hebbarieh, a est, nel profondo sud del Libano. Poi un’altra «dichiarazione urgente» del portavoce: «In maniera assoluta, alcuno spostamento verso il sud del fiume Litani dalle 17 (di ieri) alle 7 (di oggi)». Alle persone che si trovano lì, l’avviso è di non «uscire di casa».

Ben oltre il fiume Litani, a Tebna nella provincia di Sidone, ieri pomeriggio un drone israeliano ha lanciato un razzo e sparato dei proiettili. Adraee ha giustificato l’attacco, sempre su X: «Da pochissimo tempo abbiamo identificato un’attività terroristica di Hezbollah, che contiene dei missili a media portata, nel sud del Libano. Gli aerei di guerra hanno eliminato la minaccia. (L’esercito israeliano) fa fallire ogni violazione del cessate il fuoco».

Due dei tredici punti dell’accordo per la tregua danno a Israele la libertà di «smantellare le strutture di produzione di armi non autorizzate (e) tutte le infrastrutture e posizioni militari che non si arrendono». A montare la polemica sull’accordo era già stato Hassan Fadlallah, denunciando che il testo pubblicato da Israele non era non stesso approvato da Hezbollah. L’importante deputato sciita aveva inoltre parlato di «vittoria» di Hezbollah.

In serata il premier Netanyahu, se non fosse stato abbastanza chiaro sul campo, ha precisato di aver parlato di «cessate il fuoco e non della fine della guerra. Se le linee rosse dell’accordo verranno superate, entreremo in una guerra su larga scala». Intanto nel nord di Israele sono rientrate le restrizioni di movimento, in vista del ritorno dei 100mila sfollati interni.

L’esercito libanese ha cominciato a prendere posizione oltre il fiume Litani, ha rafforzato la sua presenza a sud, nella Bekaa e nella Dahieh, fa sapere in una nota il comandante dell’esercito Joseph Aoun, in conformità con il testo della tregua, che per l’ennesima volta mette nero su bianco l’implementazione della risoluzione Onu 1701, che rafforza il ruolo dell’esercito libanese al sud del Litani e ne fa l’unico ente autorizzato a presidiare militarmente il territorio.

A BEIRUT IERI è arrivato Jean-Yves Le Drian. L’inviato speciale del governo francese si è intrattenuto in colloquio con il premier uscente Najib Mikati e con il presidente del parlamento Nabih Berri. Tema della discussione, l’elezione del presidente. Da oltre due anni, dopo la fine del mandato di Michel Aoun a fine ottobre 2022, le rappresentanze politiche libanesi non hanno trovato la quadra su un nome che potesse garantire gli interessi di tutti, lasciando il paese senza la sua maggiore carica istituzionale e con un governo ad interim, bloccando de facto qualunque possibilità di riforma politica necessaria perché arrivino in Libano i soldi già stanziati dal Fondo monetario internazionale as arginare la peggiore crisi economico-finanziaria della sua storia.

Il presidente francese Emmanuel Macron, parallelamente alla visita di Le Drian, ha tenuto una conversazione telefonica con Mikati e Berri sull’applicazione del cessate il fuoco e sull’elezione presidenziale.

I numeri ufficiali, quelli del ministero della salute libanese, salgono ulteriormente: 3.961 uccisi, 16520 feriti, dall’inizio della guerra in Libano l’8 ottobre 2023 fino a oggi. Solo nella giornata di martedì, alla vigilia della tregua, si sono registrati 78 morti e 266 feriti. A poche ore dal cessate il fuoco, cominciano già a manifestarsi i primi sintomi di una sproporzione dovuta alla natura stessa di un patto che lascia mano libera, nei fatti, a Israele in Libano. E che ne mette a rischio la durata.

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