Il corridoio di colonie per «seppellire» il futuro palestinese

Articolo pubblicato originariamente sul Manifesto

 Il ministro israeliano Smotrich rilancia il progetto E1 per isolare Gerusalemme e spaccare in due la Cisgiordania. Non c’è nessuno a fermare Tel Aviv. A Gaza nord i raid si intensificano in vista della pulizia etnica. Altri quattro palestinesi uccisi dalla fame

Di Chiara Cruciati

«Questo è il sionismo al suo meglio: costruire, insediare e rafforzare la nostra sovranità sulla Terra di Israele». Bezalel Smotrich era raggiante ieri, in cima alla collina su cui da 50 anni sorge la più grande colonia israeliana, Ma’ale Adumim. Impossibile non vederla da Gerusalemme e da Ramallah: case tutte uguali disposte in cerchi concentrici, tetti rossi e una barriera a separarla dal resto della Cisgiordania occupata.

Era terra di beduini palestinesi della tribù Jahalin: si erano ricostruiti una vita qui dopo essere stati cacciati con la forza dal Naqab dopo il 1948 dal neonato Stato di Israele. Vengono cacciati ancora: è di pochi giorni fa lo svuotamento forzato di un’altra comunità Jahalin, Ein Ayub, a pochissima distanza da Ma’ale Adumim.

QUI IERI il ministro delle finanze, esponente dell’ultradestra nazionalista e fascista israeliana, ha annunciato la costruzione di 3.412 unità abitative per coloni per realizzare un vecchio sogno, condiviso da tutti i governi che negli ultimi tre-quattro decenni si sono dati il cambio a Tel Aviv, da Rabin a Netanyahu: il progetto E1, corridoio colonizzato che collegherà Gerusalemme occupata a Ma’ale Adumim e da lì alla Valle del Giordano e che spezzerà in due la Cisgiordania.

Il progetto – ha detto Smotrich ringraziando per il sostegno il premier Netanyahu e il presidente Usa Trump – «seppellisce l’idea di uno Stato palestinese», è la «risposta a chi prova a riconoscere» la statualità palestinese «non attraverso dichiarazioni ma con i fatti: case, quartieri, strade e famiglie ebree che costruiscono la propria vita. Loro continueranno a parlare di un sogno palestinese e noi continueremo a costruire una realtà ebraica». Analisi perfetta della situazione attuale, un mix di crimini di guerra e contro l’umanità e di balbettii di condanna.

Dagli anni ’90 il progetto E1 è stato sempre congelato a causa delle pressioni europee e statunitensi, proprio perché pietra tombale alla soluzione a due Stati. Ora di limiti non ne esistono: la scorsa settimana le autorità israeliane responsabili della pianificazione hanno dato il via libera definitivo. Gerusalemme sarà isolata dal resto della Cisgiordania, a sua volta spezzata in due (a nord Jenin e Nablus; a sud Betlemme e Hebron). Bantustan chiusi, la fine di tre-quattro millenni di storia condivisa e senza confini e la pulizia etnica che accomuna l’intera Palestina storica.

A GAZA VA AVANTI da quasi 23 mesi, con le bombe e la fame. Ieri altri 54 palestinesi sono stati uccisi dai raid israeliani (il bilancio accertato dal 7 ottobre 2023 ha superato le 61.700 vittime e non tiene conto delle decine di migliaia di dispersi e dei morti per cause indirette) e quattro dalla mancanza di cibo, portando il totale all’impressionante numero di 239, di cui quasi la metà bambini. Israele continua a tenere i valichi sigillati, entrano le briciole.

Per questo ieri oltre cento organizzazioni umanitarie hanno accusato Tel Aviv di impedire loro l’accesso bloccando decine di milioni di dollari di aiuti salvavita (cibo, acqua, medicinali, tende) nei magazzini fuori dalla Striscia: Medici senza Frontiere, Oxfam, Save the Children, tra le altre, denunciano il rigetto delle loro continue richieste sulla base delle nuove regole imposte da Tel Aviv per l’accesso delle ong nei Territori occupati, entrate in vigore a marzo.

Intanto i bombardamenti si intensificano nel nord di Gaza, nelle comunità identificate da Tel Aviv come obiettivi diretti del piano di «conquista» appena approvato: Jabaliya, Beit Lahiya, Beit Hanoun, Gaza City.

«Stiamo assistendo a una strategia militare coerente che si basa sulla distruzione totale e l’impedimento ai civili di tornare alle proprie case – scrive da Deir al-Balah il giornalista Tareq Abu Azzoum – La sensazione è che, una volta spinti fuori da Gaza City verso sud, sarà la mossa definitiva».

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