Il New York Times riserva alle demolizioni di case da parte di Israele una visione di parte

Articolo pubblicato originariamente su Mondoweiss e tradotto dall’inglese dalla redazione di Bocche Scucite

BULLDOZER ISRAELIANI DEMOLISCONO UNA CASA A HEBRON. (FOTO VIA IMEMC.ORG)

Mentre la violenza continua a crescere nella Cisgiordania palestinese occupata, il New York Times si dimena e lotta per inquadrare le notizie. L’altro giorno Isabel Kershner ha scritto un reportage incredibilmente di parte sulle demolizioni di case palestinesi da parte di Israele. Ma poi, oggi, la prima pagina di Patrick Kingsley e Raja Abdulrahim sulla crescente violenza dei “coloni” ebrei contro i palestinesi nei territori occupati, sebbene imperfetta, ha incluso alcune verità che il giornale ha riportato a malapena fino ad ora.

In primo luogo, Kershner. Il suo articolo sulle demolizioni di case è astuto. Mentre l’attenzione del mondo è attirata da quella che probabilmente sarà una Terza Intifada, lei (e i suoi redattori) si sono resi conto che non potevano ignorare la politica di lunga data di Israele di distruggere immediatamente le case dei palestinesi che compiono attacchi mortali. Israele demolisce le case senza offrire alcuna prova che la famiglia sia complice dell’attacco, e senza un giusto processo. Doveva pur raccontare qualcosa, ma ha usato efficacemente la versione delle due parti per smorzare i toni del suo articolo. Prima ha riportato la giustificazione di Israele per questa politica, e poi ha notato che “i critici dicono” che è “illegale e inefficace”. Al lettore non informato non resta che chiedersi: chi ha ragione?

Bisogna aspettare il paragrafo 21 per scoprire la verità:

. . . la Quarta Convenzione di Ginevra afferma inequivocabilmente che nessuna persona protetta – in questo caso i residenti di un territorio occupato – può essere punita per reati che non ha commesso personalmente e che le sanzioni collettive sono proibite, così come le rappresaglie contro le loro proprietà.

Ha poi citato William Schabas, un esperto di diritto internazionale, che ha detto: “Non c’è dibattito su questo a livello internazionale”. Schabus ha poi definito le demolizioni un crimine di guerra.

A questo punto, però, molti lettori si saranno arresi e avranno già voltato pagina, partendo con l’impressione che la questione sia poco chiara.

Passiamo a Kingsley e Abdulrahim, che hanno scritto dei crescenti attacchi dei “coloni”. Per prima cosa, i due hanno inserito di nascosto una verità sorprendente, proprio nella prima pagina del giornale domenicale, al paragrafo 4. Hanno detto senza mezzi termini che gli attacchi dei “coloni” sono un’ossessione. Hanno detto chiaramente che gli “insediamenti” israeliani in Cisgiordania sono “illegali secondo il diritto internazionale”. Hasbara Central e altri monitor dei media pro-Israele stanno sicuramente già facendo gli straordinari per cercare di convincere il Times ad annacquare questa dichiarazione. Fino ad ora, per anni, il giornale ha anche “messo da una parte e dall’altra” questo punto, di solito passando rapidamente sopra al diritto internazionale e aggiungendo una formulazione come “Israele contesta questa caratterizzazione”.

Ma c’è di più. L’articolo afferma, con tanto di prove, che “un’ondata insolitamente intensa di violenza dei coloni contro i palestinesi e le loro proprietà ha attraversato il territorio lo scorso fine settimana”. L’articolo sottolinea anche che la Cisgiordania occupata ha “un sistema legale a due livelli che processa i coloni nei tribunali civili e i palestinesi in quelli militari”. Questo è “apartheid” in tutto e per tutto, anche se l’articolo del Times non osa pronunciare questa parola ad alta voce.

Poi c’è stata un’ammissione ancora più sorprendente. L’articolo ricordava ai lettori che il mese scorso un raid dell’esercito israeliano aveva ucciso 10 palestinesi e che “un attentatore palestinese ha ucciso sette civili fuori da una sinagoga a Gerusalemme”.

Ma poi..:

Meno riportata è stata la successiva ondata di attacchi dei coloni contro i palestinesi, in cui i coloni hanno vandalizzato negozi, case e auto palestinesi.

Questo è un vero e proprio colpo di scena. Il Times ammette di non essere riuscito a riportare tutte le notizie in tempo, ma che ora si sente in dovere di recuperare.

Ci sono molti altri difetti in questo rapporto. Da nessuna parte si parla di come i coloni abbiano condotto per anni violenti attacchi “price tag” contro i palestinesi. Il termine non significa solo ritorsione per atti che i palestinesi stessi hanno (presumibilmente) commesso. Price tag significa anche – e questo è piuttosto sorprendente – che palestinesi innocenti possono diventare bersaglio di violenza se il governo israeliano agisce contro i coloni, ad esempio rifiutando di permettere la costruzione di un nuovo avamposto occasionale. In altre parole, i coloni dicono: “Se ce lo neghi, ce la prenderemo con le persone che stiamo occupando illegalmente”.

Naturalmente il Times continua la prassi consolidata dei media statunitensi di usare la parola “coloni” per descrivere coloro che hanno appena detto che stanno violando il diritto internazionale trasferendosi in Cisgiordania. C’è un’espressione inglese perfettamente valida per descrivere queste persone: “coloni” solo ebrei. Usare invece la parola “coloni” – 29 volte solo in questo articolo – ha lo scopo orwelliano di indurre i lettori a non riconoscere la verità.

Inoltre, sebbene nell’articolo compaiano dei coloni ebrei, tra cui un certo Yisrael Medad, la loro presenza è attenuata. Nella vita reale non bisogna cercare molto per trovare citazioni sanguinarie di alcuni di loro, che potrebbero essere rilevanti in un reportage sulla violenza crescente. Proprio l’altro giorno, Patrick Kingsley non ha avuto problemi a citare palestinesi che hanno appoggiato la violenza contro i coloni/colonizzatori.

Prendiamo ad esempio Yisrael Medad. In questo rapporto si presenta come un uomo ragionevole, semplicemente “un attivista veterano dei coloni”. Ma già nel 2008, questo sito riportava brevemente il suo background estremista e citava la sua assurda e disonesta affermazione che “la Palestina, cioè tutto Israele, è stata svuotata da qualsiasi abitazione e sviluppo arabo negli ultimi 500 anni o più”. Scommettiamo che Medad sarebbe felice di ampliare le sue opinioni per il Times, possibilmente come parte di un rapporto da tempo atteso che spiega perché la soluzione dei due Stati è morta.

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