Articolo pubblicato originariamente da Haaretz e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto
Gli avvocati che rappresentano i palestinesi in un tribunale militare della Cisgiordania stanno scioperando, ma il tribunale procede comunque con i casi.
Di Amira Hass

Circa 50 avvocati che rappresentano clienti palestinesi presso il Tribunale Militare israeliano di Ofer hanno scioperato negli ultimi 10 giorni, interrompendo il lavoro del tribunale.
La causa principale dello sciopero fu la decisione dell’esercito di impedire agli avvocati provenienti dalla vicina Ramallah in Cisgiordania di parcheggiare le loro auto fuori dal tribunale. A causa dello sciopero, l’esercito israeliano ha annullato la sua decisione, ma gli avvocati hanno deciso di continuare lo sciopero fino a quando l’esercito non accetterà di riprendere il trasporto delle famiglie dei detenuti e degli imputati. Questo servizio è stato interrotto circa un anno fa.
Durante lo sciopero, il Tribunale Militare continua con alcune delle sue attività senza la presenza di avvocati. Ciò include la ratifica delle detenzioni amministrative, detenzioni senza processo, l’estensione delle detenzioni, le sentenze sulla detenzione degli imputati fino alla fine del procedimento e le letture iniziali delle accuse. Sono state sospese le udienze sulle imputazioni già depositate e i cui processi sono già iniziati.
Una fonte israeliana ha detto ad Haaretz che quando lo sciopero finirà, gli avvocati potranno chiedere ai giudici di riesaminare le decisioni, se del caso. Domenica, il Presidente del Tribunale Militare ha affermato che i verdetti possono essere emessi in assenza di un avvocato per casi come infrazioni stradali. Finora, il Tribunale non ha nominato avvocati i cui onorari sono coperti dall’Amministrazione Civile israeliana in Cisgiordania per comparire al posto degli avvocati in sciopero.
Gli avvocati hanno detto ad Haaretz che di solito si tengono quasi 1.000 udienze ogni settimana a Ofer in strutture di fortuna. Questi includono udienze sull’estensione delle detenzioni, violazioni del traffico (da parte di palestinesi della Cisgiordania), ratifica di detenzioni amministrative, rilasci carcerari, letture di accuse e lavori correlati e appelli.
CHI HA DATO L’ORDINE?
Molte autorità prendono parte all’amministrazione del complesso giudiziario: la Polizia di Frontiera, il Distretto di Gerusalemme della polizia israeliana, l’esercito, il Tribunale stesso o l’Amministrazione di Coordinamento e Collegamento. Pertanto, gli avvocati affermano di non sapere chi ha dato l’ordine di impedire loro di recarvisi con le loro auto. In ogni caso, dicono, nessuno ha fornito loro una spiegazione plausibile per l’improvviso cambiamento o ha indicato un motivo specifico per giustificare la decisione.
Il Tribunale Militare si trova a Sud-Ovest di Ramallah, in una base militare che include un complesso del Servizio Penitenziario Israeliano riservato esclusivamente ai palestinesi e una struttura per gli interrogatori del servizio di sicurezza Shin Bet. A Ovest della base c’è un valico merci che utilizza un sistema continuo per merci destinate al centro della Cisgiordania e alla Striscia di Gaza. Non ci sono attraversamenti pedonali o automobilistici in questa struttura, ad eccezione dei camion con targa israeliana.
All’inizio degli anni 2000, la base che era stata costruita su un terreno appartenente alle città palestinesi di Beitunia e Rafat è entrata a far parte di un grande blocco di insediamenti (i blocchi di Givat Ze’ev, Givon e altri) che è stato a tutti gli effetti annesso a Israele.
Ai palestinesi è vietato l’accesso a questa vasta area, ad eccezione di poche persone che hanno un permesso speciale, e anche se le sue terre appartengono ai vicini villaggi palestinesi.
Il posto di blocco (un ingresso sorvegliato) prima dell’attraversamento delle merci è sotto l’egida del Distretto di Gerusalemme della polizia israeliana ed è presidiato da un’unità di Polizia di Frontiera. Tra il punto di controllo e l’ingresso del complesso del Tribunale Militare c’è una vecchia e stretta strada di 800 metri che è attraversata su entrambi i lati da una recinzione metallica o da un muro di cemento.
Agli avvocati palestinesi era sempre stato permesso di guidare le loro auto fino all’ingresso Nord del tribunale, dove una recinzione impediva loro di proseguire verso Sud, verso gli insediamenti.
UNA SOLUZIONE ASSURDA
All’inizio di questo mese, gli avvocati sono rimasti scioccati nello scoprire che la Polizia di Frontiera al posto di blocco ha impedito loro di entrare con le loro auto, comunicandogli che dovevano proseguire a piedi. Il giorno dopo, un autobus israeliano li stava aspettando per portarli al tribunale militare. Ma l’autista ha detto loro che solo gli avvocati potevano salire sull’autobus, non i parenti dei detenuti.
Gli avvocati si sono quindi rifiutati di salire a bordo. Un avvocato ha detto che non c’era motivo per cui dovessero dipendere da un autobus che circola solo in determinate ore, dal momento che a volte devono rimanere fino a tardi in tribunale o affrettarsi a un’udienza.
Anche gli avvocati che sono cittadini israeliani o sono in possesso di una carta d’identità di Gerusalemme si sono uniti allo sciopero, anche se sono autorizzati a transitare attraverso il blocco degli insediamenti e parcheggiare sul lato Sud della base.
Martedì scorso, agli avvocati in sciopero è stata offerta un’alternativa: potevano attraversare in auto il posto di blocco di Jib, che separa i villaggi palestinesi dal blocco degli insediamenti di Givat Ze’ev.
In altre parole, invece di guidare dal posto di blocco della Polizia di Frontiera al tribunale, meno di un chilometro, dovrebbero fare una deviazione di 15 chilometri in entrambe le direzioni, guidare verso Sud, poi verso Ovest, poi verso Nord per poter raggiungere un altro posto di blocco, aspettare lì finché i soldati non li lasciano entrare a Givat Ze’ev, e poi proseguire ancora per qualche chilometro fino al Tribunale. Gli avvocati hanno rifiutato questa proposta, che hanno ritenuto assurda.
Lo scorso mercoledì, una settimana dopo l’inizio dello sciopero, è stato detto loro che il divieto di circolazione era stato revocato e che potevano recarsi di nuovo direttamente in Tribunale con le auto. Ma gli avvocati hanno continuato a scioperare perché il problema del trasporto dei parenti dei detenuti non era stato ancora risolto.
Fino all’anno scorso, per più di un decennio, un taxi condiviso con targa palestinese e autista palestinese era disponibile per accompagnare le famiglie dei detenuti per gli 800 metri dal posto di blocco all’ingresso Nord della base per 10 shekel (2,5 euro) a persona. Per le persone anziane o disabili che hanno problemi di deambulazione, questo servizio era fondamentale, come lo è nei giorni di pioggia e nelle giornate molto calde. Ma a causa di varie lamentele da parte dei passeggeri, hanno detto fonti palestinesi, le autorità palestinesi hanno chiesto che fosse sospeso.
Alcuni anni fa, l’autista ha detto ad Haaretz di avere il permesso da Israele per trasportare passeggeri lungo quel tratto. Ma quando Haaretz ha esaminato la questione lo scorso novembre, si è scoperto che nessuna agenzia israeliana ufficiale aveva concesso tale permesso, e una fonte della sicurezza ha affermato che il servizio potrebbe essere stato consentito perché la Polizia di Frontiera al posto di blocco conosceva personalmente l’autista.
Sia l’Amministrazione Civile, che è responsabile del coordinamento tra Israele e l’Autorità Palestinese, sia l’esercito hanno affermato che la ripresa di questo servizio di taxi non era loro responsabilità. La polizia, a cui è subordinata la Polizia di Frontiera, ha affermato che “se viene ricevuta una richiesta adeguata, sarà esaminata e valutata di conseguenza”.
Una fonte dell’Ufficio di Coordinamento e Collegamento del Distretto Palestinese ha dichiarato lo scorso novembre di aver presentato all’Amministrazione Civile una richiesta per riprendere il servizio taxi. Ma all’epoca una fonte della sicurezza israeliana disse ad Haaretz che lui e i suoi colleghi non erano a conoscenza di una tale richiesta.
Agenzie palestinesi come l’Associazione dei Prigionieri e la Commissione degli Affari dei Prigionieri hanno anche parlato all’epoca di gestire un servizio navetta gratuito per le famiglie e hanno persino assegnato un veicolo e un autista a questo scopo.
Ma negli otto mesi successivi, le parti interessate non sono state in grado di coordinare la ripresa del regolare servizio di taxi per coprire gli 800 metri. “È chiaro che la gestione dei trasporti lungo questo tratto di strada non dipende dalle autorità palestinesi”, ha affermato un avvocato.
Un altro avvocato che ha aderito allo sciopero ha detto che è stato un errore non lanciare una protesta l’anno scorso per chiedere la ripresa di un servizio navetta per le famiglie per le quali le udienze in tribunale sono praticamente l’unica occasione per vedere i loro parenti detenuti. “Il nostro sciopero di oggi è semplicemente necessario”, ha detto.
In risposta alle domande di Haaretz, l’Unità del Portavoce delle Forze di Difesa Israeliane ha dichiarato che “fino a quando non saranno stabiliti accordi di sicurezza migliori e una soluzione ottimale, gli avvocati continueranno a recarsi in tribunale con le proprie auto, dopo essere stati inizialmente informati che non sarebbero stati autorizzati ad entrare con le loro auto. Nessuna modifica è stata apportata alla procedura di ingresso per i familiari dei detenuti. La questione rimarrà all’esame fino a quando non verrà formulata una soluzione adeguata, con l’obiettivo di preservare il tessuto vitale dei residenti palestinesi e impedire il passaggio di veicoli a cui non è consentito entrare in Israele”.
Israele sostiene che, attraverso il suo sistema di giustizia militare, sta agendo legalmente quando priva ogni anno migliaia di palestinesi della loro libertà. La disponibilità degli avvocati palestinesi e israeliani a lavorare nel sistema giudiziario militare e secondo le sue regole rafforza questa facciata di legalità, anche se considerano il sistema e i suoi giudici come strumenti dell’Occupazione piuttosto che un’istituzione per fare giustizia.
Gli avvocati continuano a rappresentare gli imputati palestinesi nella convinzione che ciò possa portare a pene detentive più brevi, e perché le famiglie, proprio per questo motivo, li vogliono lì.
Amira Hass è corrispondente di Haaretz per i territori occupati. Nata a Gerusalemme nel 1956, Amira Hass è entrata a far parte di Haaretz nel 1989, e ricopre la sua posizione attuale dal 1993. In qualità di corrispondente per i territori, ha vissuto tre anni a Gaza, esperienza che ha ispirato il suo acclamato libro “Bere il mare di Gaza”. Dal 1997 vive nella città di Ramallah in Cisgiordania. Amira Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi i quali sono raccolte dei suoi articoli.
[…] dalla “devastazione che si è dispiegata davanti agli occhi del mondo”. ( https://bocchescucite.org/difendere-la-dignita-e-la-presenza-del-popolo-di-gaza/ ) Mai così espliciti e rinunciando…
Grazie per il vostro coraggio Perché ci aiutate a capire. Fate sentire la voce di chi non ha voce e…
Vorrei sapere dove sarà l'incontro a Bologna ore 17, grazie
Parteciperò alla conferenza stampa presso la Fondazione Basso il 19 Mercoledì 19 febbraio. G. Grenga
Riprendo la preghiera di Michel Sabbah: "Signore...riconduci tutti all'umanità, alla giustizia e all'amore."