La prospettiva di una guerra civile palestinese dietro il desiderio di Israele di salvare Abbas

Articolo pubblicato originariamente su Arab News e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto

Di Ramzy Baroud

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Il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha l’occasione perfetta per uscire di scena. Ma non lo farà. La breve visita di Abbas al devastato campo profughi di Jenin la scorsa settimana ha dimostrato l’assurdità e il pericolo dell’Autorità Palestinese e del suo leader di 87 anni. Mentre camminava, Abbas ha faticato a mantenere l’equilibrio, in quella che è stata promossa come una visita di “solidarietà” al campo.

Migliaia di residenti frustrati di Jenin sono scesi in strada, gridando a malapena il nome di Abbas. Alcuni guardavano con disappunto; altri hanno chiesto dove fossero le forze del Presidente quando Israele ha invaso il campo, uccidendo 12 persone e ferendone e arrestandone altre centinaia. La BBC ha riferito di un “enorme dispiegamento armato” per garantire la visita di Abbas, in cui “le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese si sono unite a un’unità di mille agenti della guardia presidenziale d’élite di Abbas”. Il loro unico compito era quello di “liberare un percorso” per Abbas nel campo.

Il primo giorno, il più mortale dell’invasione israeliana di Jenin, i media israeliani, citando fonti militari, hanno affermato che 1.000 soldati israeliani stavano prendendo parte all’operazione militare. Tuttavia ci sono voluti molti più agenti palestinesi per garantire la breve visita di Abbas a Jenin.

Ma dov’erano quegli agenti dell’Autorità Palestinese ben vestiti ed equipaggiati quando Jenin combatteva e moriva da solo? E perché Abbas ha bisogno di essere protetto dalla sua stessa gente? Per rispondere a queste domande, è importante esaminare i contesti recenti e tre date significative in particolare.

Il 5 luglio, Israele ha concluso la sua operazione militare a Jenin. Il 9 luglio, nonostante le proteste di alcuni membri del suo gabinetto di sicurezza, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele avrebbe fatto tutto il possibile per impedire il collasso dell’Autorità Palestinese. Ha dichiarato apertamente che l’Autorità Palestinese “lavora per Israele”. E, infine, il 12 luglio, Abbas ha visitato Jenin con un severo messaggio ai gruppi di Resistenza palestinesi.

Queste tre date sono direttamente correlate. La fallita incursione su Jenin ha accresciuto il significato dell’Autorità Palestinese agli occhi di Israele e Abbas ha visitato Jenin per rassicurare Israele che la sua Autorità Palestinese è all’altezza del compito.

Per essere all’altezza delle aspettative di Israele e garantire la sua sopravvivenza, l’Autorità Palestinese è disposta a scontrarsi direttamente con i palestinesi che si rifiutano di mettersi in riga. “Ci sarà un’autorità e una forza di sicurezza”, ha dichiarato con risolutezza Abbas, solo pochi giorni dopo la sepoltura delle vittime di Jenin. “Chiunque cerchi di minare la sua unità e sicurezza dovrà affrontare le conseguenze”. Ha inoltre promesso che: “Ogni mano che si protende per danneggiare le persone e la loro stabilità sarà tagliata”. La mano a cui si fa riferimento qui non è quella di Israele, ma quella di qualsiasi palestinese che Resiste a Israele.

Abbas sa che i palestinesi disprezzano apertamente lui e la sua Autorità Palestinese. Pochi giorni prima, il vicepresidente del Partito Fatah, Mahmoud Aloul, è stato cacciato da Jenin da una folla inferocita. La folla ha gridato “vattene” ad Aloul e ad altri due funzionari dell’Autorità Palestinese.

Lo hanno fatto, ma Abbas è tornato sulla scena. È stato trasportato su un elicottero militare giordano. Ad attenderlo di sotto c’era un piccolo esercito dell’Autorità Palestinese che aveva preso il controllo delle strade e degli alti edifici, o di ciò che ne restava, nel campo distrutto. Tutto questo è avvenuto attraverso accordi logistici con l’esercito israeliano.

Ma perché Netanyahu è così entusiasta della sopravvivenza dell’Autorità Palestinese? Netanyahu vuole che l’Autorità sopravviva semplicemente perché non vuole che l’amministrazione di Occupazione israeliana e l’esercito siano pienamente responsabili del benessere dei palestinesi in Cisgiordania e della sicurezza dei coloni illegali.

Nonostante il loro quasi completo fallimento, gli Accordi di Oslo sono riusciti a fare una cosa: hanno fornito a Israele una forza palestinese la cui missione principale è assistere l’Occupazione israeliana nel suo sforzo per mantenere il controllo totale sulla Cisgiordania. Il viaggio di Abbas a Jenin aveva lo scopo di rassicurare Tel Aviv che l’Autorità Palestinese è ancora impegnata ad adempiere i suoi obblighi nei confronti di Israele.

Un altro messaggio è stato inviato al Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che la scorsa settimana ha affermato che “l’Autorità Palestinese ha perso la sua credibilità”, il che ha “creato un vuoto per l’estremismo”. Il messaggio a Washington era che le mani dei cosiddetti estremisti sarebbero state “tagliate” e che ci sarebbero state “conseguenze” per coloro che sfidano la volontà dell’Autorità Palestinese. Abbas sembrava parlare non solo a nome dell’Autorità Palestinese, ma anche a nome di Tel Aviv e Washington.

Anche i comuni palestinesi capiscono che è così; lo hanno sempre saputo. L’unica differenza ora è che si sentono incoraggiati da una nuova generazione di Resistenza, che è riuscita a riconquistare un certo grado di unità palestinese tra la politica di fazione e la corruzione dell’Autorità Palestinese.

L’Autorità Palestinese è ora vista dalla maggior parte dei palestinesi come un ostacolo di fronte alla piena unità. Questa posizione è del tutto comprensibile. Mentre Israele intensificava le sue operazioni mortali a Jenin e Nablus, la polizia dell’Autorità Palestinese arrestava attivisti palestinesi, irritando i gruppi di Resistenza in Cisgiordania e a Gaza.

Se continua così, una guerra civile in Cisgiordania è una possibilità reale, soprattutto perché i probabili successori di Abbas sono ugualmente diffidati, anche dalla stessa base di Fatah. Anche questi uomini erano a Jenin, spalla a spalla dietro Abbas mentre cercava freneticamente di stabilire le nuove regole.

Questa volta, è improbabile che i palestinesi ascoltino. Per la Resistenza, la posta in gioco è troppo alta per tirarsi indietro. Per l’Autorità Palestinese, perdere la Cisgiordania significherebbe perdere miliardi di dollari di sovvenzioni finanziarie dall’Occidente.

Uno scontro tra la Resistenza e il suo sostegno popolare da un lato e le forze dell’Autorità Palestinese sostenute dall’Occidente e da Israele dall’altro si rivelerebbe molto costoso per i palestinesi. Eppure, per Tel Aviv, sarebbe una vittoria per tutti. Questo è il motivo per cui Netanyahu è ansioso di aiutare Abbas a mantenere il suo posto, almeno abbastanza a lungo da garantire che la transizione post-Abbas avvenga in modo efficiente.

I palestinesi devono trovare un modo per bloccare tali progetti, evitare lo spargimento di sangue palestinese e ristrutturare la loro dirigenza in modo che rappresenti loro, non gli interessi dell’Occupazione israeliana.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).

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