Le chiavi di casa: il racconto di una fuga e di una vita lasciata alle spalle

Articolo pubblicato originariamente su Mondadori

Due comode poltrone sotto un’ampia finestra e in mezzo un tavolino da caffè su cui ho poggiato un portacenere. Iniziavo le mie giornate proprio lì, sorseggiando il caffè e ascoltando le notizie. Poi, fumavo la prima sigaretta. Quell’angolo ormai distrutto mi manca più d’ogni altra cosa. Ho una foto con me. La guardo ogni giorno.

Sami al Ajrami, Le chiavi di casa

L’8 ottobre 2024, a un solo giorno dal primo anniversario dell’attacco di Hamas a Israele, è uscito in libreria Le chiavi di casa, libro del giornalista palestinese Sami al-Ajrami. Un’opera che non è solo il resoconto di un conflitto devastante, ma anche una cronaca personale di chi ha vissuto sulla propria pelle il dramma della guerra.

La narrazione inizia proprio qualche giorno prima del 7 ottobre, e si inserisce come una testimonianza fondamentale di ciò che è accaduto all’interno di Gaza da quel momento in poi. Al-Ajrami, collaboratore di testate internazionali che ha raccontato in diretta gli eventi dall’interno della Striscia di Gaza, è stato l’unica voce del conflitto per la stampa italiana tramite i suoi articoli pubblicati su La Repubblica da ottobre 2023 fino alla sofferta decisione di lasciare la sua terra.

Mentre il mondo osservava da lontano l’escalation di violenze, il giornalista raccontava in tempo reale le condizioni in cui vivevano i civili palestinesi, costretti a fuggire dalle proprie case e a lottare per la sopravvivenza tra le macerie. La sua voce è diventata un punto di riferimento per comprendere non solo la dinamica del conflitto, ma anche il dramma umano di chi ha vissuto in prima linea una guerra che, un anno dopo, continua a lasciare profonde cicatrici.

Dopo la sua fuga in Egitto, insieme ad Anna Lombardi, giornalista di esteri de La Repubblica, ha raccolto la sua intera testimonianza in un libro che rivive i momenti cruciali di quell’incubo. Il suo racconto non è solo quello di un giornalista, ma di un uomo che, come tanti altri, ha dovuto affrontare la paura costante delle bombe, la ricerca disperata di cibo e acqua, e la necessità di mettere in salvo i suoi cariLe chiavi di casa è quindi anche il ritratto intimo di una famiglia, una cronaca collettiva che documenta il dramma di un popolo, quello palestinese, intrappolato in una guerra senza fine.

 

Come ogni palestinese in tempo di guerra, sono pronto. Raccolgo i documenti – carte d’identità, passaporti, certificati di nascita, atto di proprietà della casa – e sveglio le mie figlie e i miei genitori, raccomandando loro di prendere solo le cose più importanti. Dobbiamo sbrigarci, voglio partire al più presto. Le ragazze non protestano. Riempiendo le borse fanno un’unica domanda: se possono portare i violini, strumento che studiano. “No, solo l’essenziale” rispondo. Dobbiamo stringerci in cinque – più il cane Milo e il gatto Noga – nella mia Opel Corsa rossa. “Prendete abiti pesanti” raccomando. È un ottobre caldo, ma l’inverno si avvicina. Quando, a voce bassissima, Ruba – parla sempre lei, anche per la sorella – dice “siamo pronte”, usciamo. Chiudo la porta a doppia mandata e metto la chiave in tasca. La storia si ripete, penso. Come i miei nonni abbandonarono case e terre portando con sé solo le chiavi, nella speranza di poter reclamare un giorno il diritto di tornare, anch’io vado via stringendo una chiave, già sognando di poter rientrare. “Non guardatevi indietro” sussurro alle ragazze.

Sami al Ajrami, Le chiavi di casa

Le chiavi di casa simbolo di memoria e resistenza

Le chiavi di casa si apre con un’immagine forte e simbolica: Sami al-Ajrami chiude la porta della sua casa nel campo profughi di Jabalia, dove è nato e cresciuto, per sfollare con la sua famiglia verso il sud della Striscia, e mette in tasca le chiavi. Questa azione, semplice ma carica di significato, segna l’inizio di un viaggio di sopravvivenza in cui lascia alle spalle non solo una casa, ma un’intera vita fatta di ricordi e legami familiari.

La fuga forzata dal campo profughi di Jabalia porta con sé l’angoscia di lasciare la propria casa, la lotta quotidiana per la sopravvivenza, le paure legate al futuro delle sue figlie e dei suoi genitori anziani. Intanto, Gaza – i suoi luoghi, i suoi abitanti, il suo futuro – viene dilaniata dalle bombe, si sgretola fino a non esistere più.

Ma Le chiavi di casa non si limita a descrivere una fuga. È un documento crudo di come la guerra trasforma la quotidianità in un incubo: vivendo sotto assedio, lacerati dalla fame e dalla sete, indeboliti da malattie, senza nessuna via di fuga possibile. In quei momenti, la morte diventa protagonista della vita.

Le chiavi diventano quindi un simbolo profondo, quello di un legame spezzato, di una casa che non esiste più fisicamente, ma che continua a vivere nella memoria e nel cuore di chi l’ha lasciata. Diventano il tramite per una riflessione sulla condizione esistenziale di chi, pur essendo sfollato e senza radici, porta con sé il peso di una storia e di una terra che non vuole dimenticare.

Il libro si chiude invece con la sofferta decisione di Sami al-Ajrami di lasciare la Striscia: convinto ormai di essere in pericolo, diventato lui stesso un target in quanto giornalista, e anche dalla paura di non poter rivedere le figlie, fatte fuggire solo poco tempo prima. Riesce a lasciare il territorio grazie alla colletta di amici e colleghi fuori dalla zona di guerra, ma lascia dietro di sé madre, fratelli, sorelle, amici. Oggi vive in Egitto, perché da lì continua a mantenere i contatti con chi è rimasto a Gaza in condizioni sempre più precarie. In tasca ha ancora le chiavi della sua casa di Jabalia

non aprono più nulla: e in questo anch’io condivido il destino del popolo palestinese

Oggi, quelle chiavi non aprono più nulla, ma – attraverso le parole di Sami Al-Ajrami – danno voce a chi non ne ha, rendendo visibile al mondo la sofferenza, la resistenza e la dignità di un popolo che, dopo settantacinque anni, continua a lottare per la sopravvivenza, nonostante la frustrazione e la rabbia. Ma soprattutto riesce a mostrarlo per quello che è: umano, agli occhi di chi è lontano da quella realtà, bombardato dalla continua disumanizzazione da parte del nemico. 

Alla fine, il nostro “cenone” di Capodanno consiste in fagioli, carne in scatola e biscotti secchi. Concludiamo così un anno amaro. Non ne ricordo di peggiori. In strada la gente dice che il 2023 segnerà la fine di Gaza. Troppi amici e parenti sono morti in modo atroce. Così tanti che non li piangiamo neanche più. Le città sono distrutte. “Ti auguro di sopravvivere al 2024” ci diciamo, salutandoci in strada. C’è chi non ce la fa. A meno di cento metri da dove viviamo noi, l’ultimo giorno dell’anno viene colpita una casa con 27 persone dentro. Difficile stabilire se è un bombardamento mirato o un colpo andato male. Nessuno di noi conosce quella famiglia, gli Edwan, arrivati dal Nord appena tre giorni fa. Sono morti tutti tranne Mariam, 13 anni. La vedo estrarre dalle macerie. Sta rannicchiata, mentre le liberano i piedi. Ha la pelle grigia di polvere, piange in silenzio. Mi commuove quella ragazzina, unica sopravvissuta della sua famiglia. So bene che quella sorte è toccata a tante altre. Ma lei era a pochi metri da casa mia, poteva essere una delle mie figlie. A Ruba e Bisan, alle tante Mariam sopravvissute, ai bambini e le bambine di Gaza auguro un futuro migliore.

Sami al Ajrami, Le chiavi di casa

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