Articolo pubblicato originariamente su Arab 48. Traduzione dall’arabo a cura della redazione di Bocche Scucite
Di Jamal Mustafa
La guerra del 1973 con gli arabi fu un fattore determinante nell’ascesa al potere del Likud nel 1977. Lo stesso vale per il declino del partito al potere e la formazione di un governo di unità nazionale dopo la guerra con l’OLP e il movimento nazionale libanese nel 1982.
Israele si radicalizza dopo le guerre. Questa è forse la prima conclusione che si può trarre esaminando i risultati delle elezioni israeliane dopo ogni guerra combattuta da Israele. È vero che le condizioni sociali, politiche ed economiche influenzano il corso elettorale, ed è vero che ciò che caratterizza il cambiamento nella mappa politica di Israele «dopo le guerre», in particolare quelle che non hanno portato Israele a una vittoria simile a quella della Guerra dei Sei Giorni, è il passaggio del potere in Israele da un campo all’altro; tuttavia, il fulcro del cambiamento è l’aumento dell’estremismo e la crescita della tendenza militarista e coloniale in Israele dopo tutte le guerre, e non il passaggio del potere tra i campi politici.
Forse l’unica eccezione a questa regola è stata la ritorno al potere di Rabin dopo la prima intifada. Ma il firmatario dell’accordo di pace, ormai coperto dalla polvere degli ultimi decenni e privo di qualsiasi motore per la sua attuazione, è stato assassinato proprio perché rappresentava questa “eccezione”, oltre che per il suo affidarsi ai voti arabi nella formazione del governo. Questa è una lezione che tutti i suoi “successori” hanno imparato da allora fino al giorno in cui scriviamo queste righe.
Si può dire che questo è un percorso storico in Israele e che l’estremismo israeliano è una questione demografica, oltre che sociologica e culturale. Ma oltre a ciò, i percorsi storici necessitano di meccanismi di definizione e di eventi cruciali che conferiscano alla storia i suoi tratti distintivi e forniscano alle sue diverse fasi gli strumenti e gli obiettivi necessari. La guerra attuale è uno di quegli eventi che si collocano a questo livello per quanto riguarda la definizione della fase storica futura.
La guerra del 1973 con gli arabi fu un fattore determinante nell’ascesa al potere del Likud nel 1977. Lo stesso vale per il declino del partito al potere e la formazione di un governo di unità nazionale dopo la guerra con l’OLP e il movimento nazionale libanese nel 1982. L’esempio più evidente di questa affermazione è l’ascesa al potere di Sharon a seguito, tra gli altri fattori, dello scoppio della seconda intifada nel 2000 e del fallimento di Ehud Barak, che si era alleato con i partiti “di destra” per formare il suo governo, nel reprimere la rivolta.
La questione fondamentale qui è l’estremismo del partito, e successivamente del campo, che governa dopo la guerra in base alla sua precedente “reputazione”, o anche in base a chi lo ha sostituito. Il quadro attuale ha cominciato a delinearsi con l’entrata di Israele nell'”anno delle elezioni”: proposte di leggi sfrenate nell’ossessione di perseguire e punire qualsiasi cosa sia palestinese, dall’annessione della Cisgiordania alla revoca del diritto di voto a chi non presta servizio militare.
Il cosiddetto «altro campo» pullula di leader ostili ai palestinesi e agli arabi. Chiunque abbia ascoltato le interviste o le dichiarazioni di Gadi Eizenkot può concludere che la premessa alla base del suo intero vocabolario politico nei confronti dei palestinesi è il suo background militare e nient’altro. I palestinesi devono fare concessioni unilaterali, il programma scolastico deve essere modificato in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e deve essere garantito che l’esercito israeliano sia l’unica forza armata “a ovest del fiume Giordano”. secondo la sua espressione, oltre a non presentare alcuna proposta per la conclusione di un accordo di pace con i palestinesi, ma piuttosto rafforzare l’esercito israeliano dal suo punto di vista imponendo una nuova legge di coscrizione. Per quanto riguarda Avigdor Lieberman, non citeremo le sue numerose dichiarazioni e promesse.
La questione dello Stato palestinese è inaccettabile per tutti i sionisti. Israele ha il diritto di avere il controllo della regione, che deve riconoscere il loro diritto storico sul territorio, i prigionieri palestinesi devono vedere le loro condizioni di vita ridotte al «minimo indispensabile» e l’imposizione di una realtà di «guerra a punti sparsi» e delle operazioni intermittenti sul Libano, la Siria e Gaza è un diritto israeliano, che la società israeliana deve integrarsi il più possibile nell’esercito e che tutti devono portare le armi, che il parlamento non deve esitare a promulgare leggi contro i palestinesi e che la tregua con Israele deve essere una speranza per gli arabi, un preludio al principio di pace in cambio di pace. Tutto questo gode di consenso unanime all’interno di Israele. Il consenso ebraico non riguarda solo la guerra, ma anche il modo di gestire i rapporti con la regione.
Ma c’è qualcosa che merita attenzione in questo contesto, ovvero la feroce ostilità che nutre il candidato più in vista alla presidenza del governo, Naftali Bennett, “liberale di destra”, nei confronti dei nemici interni, ovvero la comunità palestinese in Israele, qualora il campo avverso a Netanyahu riuscisse ad assicurarsi la maggioranza dei seggi nel parlamento israeliano. Tra tutti i candidati alla presidenza del governo, Bennett è quello che più di tutti crede nell’armamento della società israeliana e nella totale liberalizzazione delle restrizioni sui meccanismi di uso delle armi da fuoco, sia da parte della polizia e delle forze di sicurezza che da parte dei coloni armati, che sono decine di migliaia. La promozione della creazione della «Guardia Nazionale Israeliana» è considerata uno dei suoi risultati più importanti durante il suo breve mandato alla guida del governo israeliano. La Guardia Nazionale è, nel senso stretto del termine, un settore civile armato che costituisce una riserva della polizia e riceve addestramento militare, preparato per affrontare situazioni di disordini, criminalità nazionale e manifestazioni che potrebbero essere organizzate dalla comunità palestinese in Israele, sulla falsariga degli eventi del maggio 2021. Egli stesso è stato membro fondatore di milizie ebraiche armate attive negli ultimi due decenni nel Negev e nelle città palestinesi storiche (Jaffa, Acri, Haifa, Lydda), come la milizia “Bri’el”.
Inoltre, il terreno è pronto per un inasprimento della repressione nei confronti del «nemico interno». Ciò che è iniziato prima di «Spade di ferro» – un conflitto sull’istituzione giuridica – si è trasformato e ampliato in un conflitto, di natura pubblica e con meccanismi di applicazione, che coinvolge tutte le istituzioni dello Stato: l’esercito, la sicurezza pubblica e la polizia, attraverso la nomina dei titolari delle cariche e la limitazione dei poteri delle istituzioni all’interno di Israele. Inutile dire che la discriminazione e gli omicidi avvengono in Israele prima del cambiamento della natura delle istituzioni statali, ma la base infrastrutturale del lavoro istituzionale è ora soggetta, in modo senza precedenti, all’arbitrarietà impulsiva del carattere soggettivo delle persone che detengono il potere, senza alcuna razionalità correttiva, il che fa presagire un’escalation nei confronti dei palestinesi in Israele con strumenti nuovi e insoliti, a livello giuridico e politico, oltre alle esecuzioni sul campo e agli arresti amministrativi.
Quello che voglio dire è che la guerra di sterminio, lo sfollamento e la repressione politica non sono affatto finiti. In realtà, l’affermazione di Bezalel Smotrich “risolvere il conflitto” non era limitata a lui e alla sua corrente politica. Sarebbe un errore interpretare questa affermazione come una data precisa o un momento zero in cui il conflitto sarà risolto «una volta per tutte». È il tema della fase successiva. La risoluzione del conflitto è un processo a sé stante, è un fine in sé, è un argomento in sé, lavora per realizzarsi e viene abbracciato da tutti in Israele.
La guerra in Cisgiordania continua e si intensifica, mentre le prospettive della fase futura delle relazioni con i palestinesi all’interno di Israele appaiono più cupe che mai. Ci sono poi gli «obiettivi non dichiarati della guerra» che Israele si è prefissato dopo l’approvazione di tutte le sue correnti politiche e che continuerà a perseguire nonostante la firma dell’accordo di fine guerra a Gaza.
Secondo chi scrive, l’accordo, oltre alla volontà di porre fine alla guerra, è nato dalla consapevolezza palestinese che il governo israeliano è disposto a rinunciare agli ostaggi israeliani detenuti dalla resistenza. E che il tempo ha un rapporto inversamente proporzionale al numero di quelli ancora in vita. Pertanto, la perdita di altri prigionieri vivi potrebbe cambiare le regole dei negoziati in modo disastroso. Per quanto riguarda Israele, la guerra non è finita e con il ritorno degli ostaggi si potrebbero creare pretesti per tornare in guerra, e Hamas sarebbe comunque la colpevole. Si potrebbe anche aggravare l’ambiente ostile ai palestinesi nella Striscia di Gaza, trasformando lo sfollamento, la fame, la debolezza delle forze governative, mediche, educative e di altro tipo, la disoccupazione e l’aumento dei prezzi, il blocco dei meccanismi di ricostruzione e il continuo controllo dei valichi in una realtà quotidiana nella vita di Gaza. Per Israele si tratta di una misura che consentirebbe di liberare gli israeliani dalla Striscia di Gaza.
Quello che si sta facendo è qualcosa che è stato provato dall’inizio della guerra: una prima tregua, poi una seconda e una terza, seguite sicuramente da una quarta e una quinta, così che la guerra con Gaza in particolare e con la regione in generale diventi la regola e non l’eccezione. Israele valuterà, per pianificare le sue mosse future, la capacità dei palestinesi di resistere a questa realtà.

[…] dalla “devastazione che si è dispiegata davanti agli occhi del mondo”. ( https://bocchescucite.org/difendere-la-dignita-e-la-presenza-del-popolo-di-gaza/ ) Mai così espliciti e rinunciando…
Grazie per il vostro coraggio Perché ci aiutate a capire. Fate sentire la voce di chi non ha voce e…
Vorrei sapere dove sarà l'incontro a Bologna ore 17, grazie
Parteciperò alla conferenza stampa presso la Fondazione Basso il 19 Mercoledì 19 febbraio. G. Grenga
Riprendo la preghiera di Michel Sabbah: "Signore...riconduci tutti all'umanità, alla giustizia e all'amore."