Nessun governo senza resistenza: il futuro post-bellico di Gaza e il crollo delle illusioni straniere

Articolo pubblicato originariamente su The Cradle. Traduzione a cura di Beniamino Rocchetto per La zona Grigia

Mentre le potenze occidentali prevalgono sulla tecnocrazia sulla sovranità, i movimenti di Resistenza palestinesi avvertono che non può esserci ricostruzione senza Liberazione.

Di Mohammad al-Ayoubi

All’indomani della devastante guerra a Gaza, la domanda più urgente non riguarda più un cessate il fuoco o la ricostruzione, ma chi governerà l’enclave.

Si tratta di una lotta per il significato, la legittimità e la sovranità. Il futuro di Gaza sarà plasmato dal suo popolo o dalle stesse potenze straniere che hanno contribuito a distruggerla sotto la bandiera della “salvezza”?

Ogni volta che si aprono le porte della “ricostruzione” e degli “aiuti”, le finestre della sovranità vengono chiuse di colpo. Ciò che si dispiega è uno spettacolo coloniale ricorrente: un ordine politico palestinese rimodellato sotto la supervisione straniera, dove il “realismo politico” viene promosso come sostituto della giustizia e la “tecnocrazia” viene commercializzata come una sterile alternativa alla Resistenza.

IL GIORNO DOPO

Ayham Shananaa, alto funzionario di Hamas, dichiara che l’esito della guerra non può essere misurato secondo i parametri del tradizionale conflitto interstatale, ma deve essere inteso come “una lotta esistenziale tra un popolo in cerca di Liberazione e un’Occupazione sostenuta dall’Occidente”.

Afferma che la stessa sopravvivenza di Hamas nell’arena politica dopo due anni di guerra costituisce una vittoria strategica, poiché Israele non è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi dichiarati, nonostante un sostegno internazionale senza precedenti.

Questa visione è condivisa dal funzionario della Jihad Islamica Palestinese Haitham Abu al-Ghazlan, il quale afferma che “la Resistenza è ora più radicata che mai” e insiste sul fatto che la vera misura della vittoria non risiede nella distruzione materiale, ma nel fallimento del Progetto Sionista di sfollare la popolazione e spezzare la volontà palestinese.

Shananaa aggiunge che la Resistenza “si è imposta come un attore chiave che non può essere ignorato in nessuna discussione sul futuro di Gaza”, sostenendo che la sua fermezza l’ha trasformata da un attore puramente militare in un progetto nazionale con una visione e una strategia.

Ancora più significativo, aggiunge, “questa guerra ha segnato un cambiamento nella coscienza globale”, citando una solidarietà senza precedenti con i palestinesi, proteste di massa e riconoscimenti simbolici dello Stato di Palestina, tutti indicatori di un profondo cambiamento nell’opinione pubblica occidentale riguardo all’Occupazione.

LA RICOSTRUZIONE COME LEVA: IL NUOVO VOLTO DELL’OCCUPAZIONE

Le proposte internazionali per l’amministrazione di Gaza, che si tratti di un governo tecnocratico o di un’autorità di transizione, vengono spacciate per necessità umanitarie. In realtà, si tratta di poco più che ritocchi di facciata dei vecchi Meccanismi di Controllo.

In questo contesto, Abu al-Ghazlan sottolinea che qualsiasi proposta del genere “deve essere il risultato di un dialogo nazionale palestinese inclusivo, non di accordi stranieri o di tutela internazionale”. Afferma che “la ricostruzione è un diritto umano, non una merce di scambio politico” e respinge qualsiasi tentativo di collegarla al disarmo o a restrizioni alla Resistenza.

LA POLITICA DELLA GOVERNANZA: LA RESISTENZA PUÒ CEDERE IL PASSO ALLA TECNOCRAZIA?

Uno dei dibattiti centrali che le fazioni palestinesi si trovano ad affrontare oggi è se l’autorità della Resistenza possa trasformarsi in una governanza tecnocratica, se la separazione tra sicurezza e processo decisionale politico sia possibile o addirittura auspicabile.

Shananaa è inequivocabile: “Le armi della Resistenza sono una linea rossa finché esiste l’Occupazione”.

Sebbene Hamas non si opponga a un’amministrazione civile che gestisca la vita quotidiana a Gaza, insiste sul fatto che il movimento non scenderà a compromessi sul nucleo del suo apparato di sicurezza.

Abu al-Ghazlan, parlando dal punto di vista della Jihad Islamica (che, a differenza di Hamas, non ha un’agenda politica), ribadisce la stessa linea rossa: “Tutti i processi di pace che hanno privato la Resistenza delle sue armi si sono conclusi con ulteriori aggressioni ed espansioni degli insediamenti”.

Ciò che emerge è una formula condivisa: un governo civile è possibile, ma la sovranità, in particolare la sovranità in materia di sicurezza, rimane non negoziabile.

L’idea di un'”amministrazione civile temporanea” può sembrare moderata, ma in realtà è un governo senza potere, un involucro manageriale privo di capacità politica.

Questo modello cerca di governare Gaza, non di liberarla; di gestirla, non di emanciparla. Ciò che Washington e Tel Aviv stanno cercando di costruire è un modello palestinese vuoto che presenta l’illusione di “autogoverno” sotto il tetto dell’Occupazione.

Shananaa e Abu al-Ghazlan sottolineano entrambi che qualsiasi accordo futuro “deve basarsi sulla protezione dei diritti del popolo, non sulla pressione straniera”.

Il termine “consenso nazionale” può suonare attraente in termini retorici, ma spesso funge da maschera per l’illusione politica. Il vero consenso richiede una sovranità reale e una volontà palestinese indipendente, mentre il consenso imposto dall’esterno è solo una rinnovata tutela mascherata.

L’EQUAZIONE DELLA SOPRAVVIVENZA: HAMAS, LEGITTIMITÀ E LA STRADA DELLA RESISTENZA

Mentre l’Autorità Nazionale Palestinese rincorre la legittimità perduta attraverso i canali dei donatori, Hamas trae la sua autorità dalla sopravvivenza tra le macerie. La popolazione di Gaza, sebbene esausta, non vede in Hamas la perfezione, ma la sfida, il rifiuto di capitolare di fronte all’annientamento.

Sulla questione di un governo di unità nazionale che comprenda Gaza e la Cisgiordania Occupata, Shananaa afferma che questa proposta non è nuova.

Hamas invoca da tempo un vero partenariato nazionale, afferma, riferendosi ai ripetuti tentativi di riconciliazione con Fatah al Cairo, ad Algeri, a Mosca e, in particolare, a Pechino.

Tuttavia, nessuno di questi è stato attuato a causa del rifiuto del Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas di condividere il potere o di accettare un quadro equilibrato, spiega:

“Hamas non si oppone al fatto che l’Autorità Nazionale Palestinese svolga un ruolo di supervisione o di finanziamento negli accordi per la ricostruzione, purché ciò avvenga nell’ambito di accordi chiari che preservino le armi della Resistenza e impediscano qualsiasi interferenza straniera nelle decisioni in materia di sicurezza”.

Abu al-Ghazlan aggiunge che la fiducia tra l’Autorità Nazionale Palestinese e la Resistenza “non può essere costruita con le parole, ma con le posizioni.

Quando la gente sente che la decisione politica protegge la Resistenza e non la limita, allora possiamo dire di aver intrapreso il percorso per ricostruire la fiducia nazionale”.

Il futuro di Gaza sembra confinato a tre possibili scenari, plasmati dagli equilibri di potere stabiliti dalla guerra e dalla portata degli interventi internazionali e regionali nel plasmare il cosiddetto “giorno dopo”.

SCENARIO 1: GOVERNO GUIDATO DALLA RESISTENZA: HAMAS COLMA IL VUOTO

Questo è l’esito più probabile, con una probabilità di circa il 60%. Si basa sul principio della “realtà imposta”, in cui Hamas riafferma la sua presa su Gaza nel vuoto lasciato dal ritiro dell’esercito israeliano dalle aree della Linea Gialla.

Dal primo giorno del cessate il fuoco, le Forze di Sicurezza Nazionale di Hamas si sono ridistribuite in strade, incroci e zone liberate, ristabilendo visibilmente un’architettura di sicurezza parzialmente crollata durante la guerra.

Shananaa lo chiarisce quando conferma che “circa il 70% della Striscia è sotto il controllo delle forze di sicurezza palestinesi formate da Hamas”, riflettendo una realtà sul campo che non può essere facilmente ribaltata.

Questo scenario implica che la Striscia rimarrà sotto l’amministrazione politica e di sicurezza di Hamas per almeno uno o due anni, fino a quando le intese interne ed esterne non saranno sufficientemente mature da formare un governo tecnocratico di unità nazionale accettabile sia per gli attori palestinesi che per quelli internazionali.

Questa fase equivarrebbe a un “governo transitorio con la forza”, un ibrido tra autorità di Resistenza e amministrazione civile provvisoria, in attesa di una dichiarazione politica più ampia.

SCENARIO 2: RITORNELLO PRE-2005: COORDINAMENTO DELLA SICUREZZA E SUPERVISIONE ESTERA

Preferito dagli Stati Uniti e da alcune potenze regionali, questo scenario (stimato al 25% di probabilità) prevede un ritorno agli accordi pre-2005: coordinamento tripartito tra l’Occupazione israeliana, l’Autorità Nazionale Palestinese e un organo di supervisione guidato dagli Stati Uniti, possibilmente con il sostegno di Egitto e Qatar.

In questo contesto, forze palestinesi “accettabili a livello internazionale” supervisionerebbero l’amministrazione di Gaza, la sicurezza dei confini, gli sforzi per il disarmo e la distribuzione degli aiuti sotto la guida di un comitato internazionale centrale.

Ma questa visione crolla a causa di due contraddizioni:

Primo, Hamas non ha alcuna intenzione di rinunciare alla sua posizione politica o militare dopo essere sopravvissuta alla guerra e aver imposto un cessate il fuoco.

Secondo, anni di collaborazione con l’Occupazione in materia di sicurezza hanno lasciato l’Autorità Nazionale Palestinese senza alcuna fiducia da parte dell’opinione pubblica.

In breve, questa rimane una fantasia occidentale, non una tabella di marcia praticabile.

SCENARIO 3: CAOS PROGETTATO: UNA DISCESA CONTROLLATA NEL CONFLITTO

Lo scenario meno probabile (15%), ma il più pericoloso, prevede una ricaduta in scontri armati tra fazioni palestinesi, o tra gruppi di Resistenza e milizie sostenute da Israele, o l’esercito di Occupazione, se il cessate il fuoco fallisce o i negoziati politici vacillano.

Questo è l’esito preferito da Tel Aviv, poiché garantisce un continuo logoramento della Resistenza e mantiene Gaza in subbuglio, impedendo la formazione di un ordine politico stabile e unificato.

Tuttavia, nonostante il rischio, questo scenario è improbabile nel breve termine, poiché gli attori regionali, in particolare Egitto e Qatar, stanno lavorando intensamente per prevenire una nuova esplosione che potrebbe smantellare ciò che resta del processo politico.

L’IMPLOSIONE POLITICA DÌ TEL AVIV: LA CADUTA DI NETANYAHU E CRISI DEL SIONISMO

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu voleva incidere il suo nome nella storia come l’uomo che ha schiacciato Hamas. Invece, potrebbe essere ricordato come l’artefice della sua stessa caduta, un’opinione riecheggiata persino negli ambienti politici israeliani, da Yair Lapid a Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir.

L’accordo di cessate il fuoco è stato, di fatto, un’ammissione del fallimento Sionista. Gli obiettivi della guerra, eliminare Hamas e liberare i prigionieri con la forza, sono svaniti di fronte alla Resistenza.

Anche se Netanyahu se ne andasse, l’establishment politico e di sicurezza israeliano cercherebbe comunque di controllare Gaza, ma senza la narrativa unitaria che un tempo giustificava le uccisioni in nome della sopravvivenza.

Shananaa afferma che l’accordo di cessate il fuoco ha aggravato la crisi interna di Israele e indebolito la coesione della coalizione di estrema destra, descrivendo il governo di Netanyahu come “un governo fascista ed estremista che ha perso legittimità persino all’interno della società israeliana”.

“Oltre 1,5 milioni di israeliani hanno protestato contro la guerra e l’opposizione cresce di giorno in giorno. Il sostegno americano è ciò che mantiene Netanyahu politicamente vivo, ma la sua caduta è solo questione di tempo”.

Gli obiettivi della guerra sono passati dall'”eliminare Hamas” al “sopravvivere al fallimento”. È stato un passaggio dalla visione strategica alla reazione tattica; da uno Stato che fa la storia a uno Stato che lotta per sopravvivere al proprio presente.

In definitiva, la domanda “Chi governerà Gaza dopo la guerra?” è una domanda esistenziale piuttosto che amministrativa. Chi detiene la vera legittimità? Chi definisce il futuro? Chi decide quando la guerra finirà?

Shanaa risponde con chiarezza. “Non c’è autorità al di sopra della Resistenza e non c’è ricostruzione senza Sovranità”.

La legittimità non viene assegnata dai donatori o imposta attraverso schemi. Si forgia sotto il fuoco nemico, si coglie tra le macerie. E il “giorno dopo” non inizierà con le firme, ma con lo smantellamento dell’Occupazione.

Mohammad al-Ayoubi è uno scrittore e ricercatore palestinese, laureato in giornalismo e studi sui media e con un dottorato di ricerca in giurisprudenza.

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