A Venezia diecimila in corteo, «i riflettori ora sul genocidio»

Articolo pubblicato originariamente sul Manifesto

Di Lucrezia Ercolani

Una partecipazione sopra alle attese alla manifestazione “Free Palestine” organizzata da centri sociali e associazioni, ma la convergenza con il mondo del cinema riesce solo in parte. Tra i momenti più forti, lo sbarco della motonave noleggiata dagli attivisti

«Abbiamo puntato i riflettori della Mostra sul genocidio in corso in Palestina, dallo star system alle atrocità» gridano gli attivisti alla testa del corteo, quando giungono di fronte al cordone di polizia che li separa dal Palazzo del Cinema. La partecipazione alla manifestazione al Lido di Venezia di ieri pomeriggio, riunita nello slogan «Free Palestine – Stop al genocidio» è stata ampia – «siamo più di diecimila», dicono gli organizzatori, numeri più alti delle attese – e molte sono state le realtà che hanno sfilato da Lido Santa Maria Elisabetta, lo snodo dove attraccano i vaporetti, fino alle soglie del festival del cinema, per far poi ritorno al punto di partenza in un percorso circolare.

LO SCOPO del corteo era affermare con forza la necessità di riconoscere il genocidio in corso a Gaza, in una mobilitazione che sta coinvolgendo strati sempre più ampi di società civile. Nessuno «sfondamento» delle linee di sicurezza verso la Mostra, come era temuto, invece tante prese di parola dalle realtà presenti, ognuna con una sua istanza, una sensibilità, ma con l’obiettivo comune di non rimanere in silenzio di fronte agli oltre sessantamila morti e a un bilancio che non accenna a fermarsi.

PROMOTORI della manifestazione sono stati i centri sociali del Nord-est, sigla sotto cui si ritrovano realtà come Radio Sherwood, Laboratorio Occupato Morion, S.a.L.E. Docks, insieme a un comitato formato da ben 200 associazioni, tra gli aderenti anche Avs, Rifondazione e Pd (di cui però non si sono viste bandiere).

Uno dei momenti più «scenografici» e toccanti della giornata è stato lo dello sbarco della motonave noleggiata dagli attivisti, per permettere anche a chi proveniva dalla terraferma di partecipare alla manifestazione. Circa in mille sono partiti da Marghera, rendendo il mezzo noleggiato dall’azienda di trasporto pubblico locale Actv un tripudio di bandiere palestinesi. A sbarcare sono persone di tutte le età, parliamo con Mahzad, 25 anni, mentre tiene alta una bandiera del movimento ecologista Extinction Rebellion. «Sono fuggita dall’Iran e sono venuta qui per manifestare contro l’occupazione e il genocidio, e questo riguarda anche la lotta per il clima perché le bombe sulla Palestina sono devastanti sia per le persone che per l’ambiente». Poco più avanti, il Comitato permanente di Marghera contro le guerre e il razzismo: «Abbiamo coinvolto i lavoratori di Fincantieri perché lì si produce morte, all’interno e all’esterno. Vogliamo denunciare il governo italiano e le sue industrie belliche». Presente anche il comitato per la Palestina di Udine che si batte affinché non si disputi la partita tra Italia e Israele il prossimo 12 ottobre, «un perfetto caso di sportwashing per Netanyahu per ripulirsi la faccia dal genocidio, la Fifa non deve permetterlo».

C’era molta attesa per la convergenza con il mondo del cinema: con il festival di Venezia in corso ad appena pochi passi e la lettera promossa da Venice4Palestine – che appoggiava la manifestazione – firmata da ben 1500 artisti e addetti ai lavori e la Mostra che, a livello ufficiale, aveva parlato di una «apertura al dialogo».

LA PARTECIPAZIONE c’è stata solo in parte: avvistata la conduttrice del festival Emanuela Fanelli – che d’altronde aveva affermato che non avrebbe parlato sul palco ma sarebbe venuta al corteo – e poi Michele Riondino, Donatella Finocchiaro, Anna Negri, Zerocalcare, qualche regista internazionale come Céline Sciamma e Teona Strugar Mitevska. C’è anche Tecla Insolia, co-protagonista di Amata, film di Elisa Amoruso presentato alla Mostra, che ci dice: «È un momento collettivo di solidarietà, siamo tutti inorriditi da quello che sta accadendo, vogliamo la fine del genocidio». E sulle polemiche per la richiesta di non invitare i due attori Gal Gadot e Gerard Butler, sostenitori, a diverso titolo, dell’esercito israeliano? «È stata data troppa visibilità a questa questione, i media si sono concentrati sulla cosa più semplice, ne sono molto dispiaciuta. C’era molto altro in quella lettera». Eppure, è probabile che il timore di essere coinvolti nella tempesta mediatica abbia frenato più di un regista o attore dal partecipare. Una pavidità di cui ci parla anche Luciana Castellina: «Mi ha messo davvero di cattivo umore quell’intervista di Verdone a cui tutti sono andati dietro. Si è affermato per l’ennesima volta che la cultura non si deve occupare di ciò che accade, come se si astraesse dal presente, dalla società, dalla storia. Una cosa assurda».

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