La Freedom Flotilla in viaggio verso Gaza

Articolo pubblicato originariamente sulla newslettere di Internazionale curata da Francesca Gnetti

La Madleen è una barca a vela di medie dimensioni. Si chiama come una pescatrice di Gaza, la prima e unica a gestire una barca tutta sua nel 2014. È salpata domenica dal porto di San Giovanni Li Cuti, a Catania, ed è diretta a Gaza. L’iniziativa lanciata dalla Freedom flotilla coalition ha l’obiettivo di rompere il blocco israeliano e consegnare aiuti alla popolazione palestinese, stremata dalla fame. Come si legge nel comunicato della coalizione, la Madleen “simboleggia lo spirito incrollabile della resilienza palestinese e la crescente resistenza globale all’uso da parte di Israele di punizioni collettive e di politiche deliberate per ridurre alla fame”.

A bordo sono stati caricati beni di prima necessità come succhi di frutta, latte in polvere, riso, pannolini, cibo in scatola, barrette proteiche, prodotti sanitari per le donne, kit di desalinizzazione dell’acqua, medicine, stampelle, protesi per bambini. Andrea Legni, direttore del giornale L’Indipendente, è salito sulla Madleen prima della partenza e ha scritto: “Sul ponte della nave, e anche sottocoperta, tolto lo spazio strettamente necessario per dormire e cucinare, ogni angolo è pieno di viveri da portare a Gaza”.

Come gli ha confermato Yazan Eissa, un palestinese “tuttofare della ciurma”, si tratta di “un aiuto simbolico”, che serve “innanzitutto a testimoniare alla gente di Gaza che i cittadini del mondo sono con loro”. Oltre all’equipaggio, si sono imbarcati sulla Madleen dodici volontari provenienti da diversi paesi. Il comunicato della Freedom flotilla coalition chiarisce che tutte le persone a bordo sono “addestrate alla non violenza” e viaggiano disarmate.

Tra loro ci sono l’ambientalista svedese Greta Thunberg, l’attore irlandese Liam Cunningham e l’eurodeputata palestinese-francese Rima Hassan. E poi: Yasemin Acar (Germania), Baptiste Andre, Omar Faiad, Pascal Maurieras, Yanis Mhamdi, Reva Viard (Francia), Thiago Avila (Brasile), Şuayb Ordu (Turchia), Sergio Toribio (Spagna), Marco Van Rennes (Paesi Bassi). Sono previsti sette giorni di navigazione per percorrere duemila chilometri.

Il rischio che il percorso della Madleen sia disturbato, però, è molto alto. Un mese fa un’altra nave della Freedom flotilla coalition, la Conscience, è stata attaccata da droni israeliani al largo di Malta, in acque internazionali. Risale invece a quindici anni fa l’incidente più grave: il 31 maggio 2010 una flotta di sei navi che cercava di forzare il blocco navale al largo della Striscia di Gaza per portare aiuti ai palestinesi fu attaccata dai militari israeliani che uccisero nove attivisti turchi; un altro morì in seguito per le ferite riportate.

Come spiega il comunicato, l’iniziativa di questi giorni s’inserisce nella scia del passato e ribadisce “il rifiuto di arrendersi al silenzio, alla paura o alla complicità”. Gli attivisti sono convinti che “l’assedio su Gaza è mantenuto non solo dalla potenza di fuoco israeliana, ma anche dall’inazione globale”. Per questo, nonostante i rischi, credono che “la resistenza diretta e civile è ancora importante e la solidarietà attiva può spostare la bussola morale del mondo”.

Il tragitto dell’imbarcazione è monitorato in diretta da Forensic architecture, il gruppo di ricerca con sede alla Goldsmiths, University of London (nel Regno Unito) che indaga sulle violazioni dei diritti umani, grazie a un rilevatore installato a bordo (qui si può seguire il percorso). La posizione rilevata all’alba di stamattina era a 600 chilometri di distanza dalle coste della Sicilia.

La Freedom flotilla coalition è un movimento internazionale nonviolento lanciato nel 2010 a sostegno dei palestinesi, che combina la solidarietà con l’azione politica contro il blocco imposto da Israele sulla Striscia di Gaza, in vigore da diciott’anni. Dopo l’incidente sulla nave Mavi Marmara ha organizzato altre missioni, ricorda Middle East Eye.

Le imbarcazioni della Freedom flotilla II – stay human dovevano salpare verso la Striscia di Gaza il 5 luglio 2011 dalle coste della Turchia e della Grecia, ma secondo gli organizzatori alcune furono sabotate dagli israeliani, mentre ad altre furono negati i permessi. L’unica che riuscì ad avvicinarsi a Gaza, la francese Dignite al Karama, fu intercettata dalle autorità israeliane. La stessa cosa successe in acque internazionali alla Freedom flotilla III un mese e mezzo dopo la partenza dalla Svezia nel maggio del 2015: la maggior parte delle navi fu costretta a tornare indietro e una – la Marianne, con a bordo Basel Ghattas, deputato palestinese del parlamento israeliano, e Moncef Marzouki, ex presidente della Tunisia – fu dirottata verso Ashdod, nel sud d’Israele.

L’anno successivo fu organizzata la Women’s boat to Gaza, una nave con equipaggio tutto femminile – tra cui giornaliste, politiche, attrici, docenti, una pallavolista, una medica e una vincitrice del premio Nobel per la pace – salpata a settembre da Barcellona e sequestrata due settimane dopo dalle forze israeliane. Le attiviste furono portate al porto di Ashdod e in seguito espulse da Israele.

Nel maggio 2017 partì una missione in solidarietà con i pescatori di Gaza, attaccata da un sospetto drone israeliano in acque internazionali vicino a Malta. L’anno seguente le forze israeliane fermarono il peschereccio Al Awda, battente bandiera norvegese e parte della coalizione, arrestando le ventidue persone a bordo. Infine nel 2023 e nel 2024 la nave Handala è salpata verso diverse destinazioni in Europa per informare e sensibilizzare le persone sulle conseguenze che l’assedio e le guerre israeliane hanno sui bambini di Gaza.

Mentre la Madleen si avvicina, la situazione nella Striscia di Gaza è sempre più catastrofica. Oggi la Gaza humanitarian foundation (Ghf), una fondazione sostenuta da Israele e dagli Stati Uniti, e contestata dalle Nazioni Unite e da molte ong, ha sospeso la distribuzione degli aiuti umanitari dopo le violenze degli ultimi giorni, che hanno causato decine di morti.

Ieri la difesa civile palestinese ha affermato che almeno 27 persone sono state uccise dall’esercito israeliano vicino a un centro per la distribuzione di aiuti umanitari nel sud della Striscia di Gaza. Lunedì un’altra strage simile aveva causato 31 morti e 176 feriti. Secondo la ricostruzione della difesa civile, le forze israeliane hanno sparato con carri armati e droni contro migliaia di civili che si erano radunati nei pressi della rotonda di Al Alam, nella zona di Al Mawasi, a nordovest di Rafah. La rotonda si trova a circa un chilometro da un centro per la distribuzione di aiuti gestito dalla Ghf. L’esercito israeliano ha affermato di aver aperto il fuoco contro “alcune persone sospette”.

L’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Volker Türk, ha definito “crimini di guerra” questi attacchi israeliani contro i civili. La Ghf, che ha avviato le sue operazioni poco più di una settimana fa, ha annunciato “lavori di ristrutturazione, riorganizzazione e miglioramento dell’efficienza”, precisando che riprenderà la distribuzione degli aiuti domani.

Nel prossimo numero di Internazionale, online da domani e in edicola dal 6 giugno, pubblichiamo un articolo da Al Jazeera di Ahmad Ibsais, poeta e studente di giurisprudenza palestinese-statunitense, che parla di “umanitarismo coloniale”, denunciando come gli aiuti distribuiti dalla Ghf fanno parte del sistema che serve a mantenere i palestinesi sotto controllo, privarli dei loro diritti e disumanizzarli. Una tesi simile a quella espressa dal vignettista e scrittore keniano Patrick Gathara, che in una column individua la trappola dell’“umanitarismo totale” in cui rischiano di cadere le agenzie umanitarie e i giornalisti che, puntando sulla solidarietà, tralasciano le responsabilità politiche.

Un’infografica di Al Jazeera ricostruisce il caos scoppiato il 27 maggio, il giorno in cui la Ghf ha aperto il suo primo centro di distribuzione degli aiuti a sud di Rafah.

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