Articolo pubblicato originariamente sul Manifesto.
Foto di copertina: Rafah, primo giorno di tregua: una piccola folla intorno ai pacchi di aiuti – foto Xinhua/Rizek Abdeljawad
Di Chiara Cruciati
Cambiano le procedure di accredito per chi opera nei Territori palestinesi occupati: un team misto di ministeri, polizia e servizi sarà «autorizzato a rifiutare la registrazione o cancellarla se ritiene che l’organizzazione agisca contro gli interessi dello stato di Israele». Misure discrezionali, a rischio il 90% delle associazioni straniere
Da mesi le organizzazioni e le istituzioni internazionali avvertono dello sforzo sovrumano che servirà per immaginare un futuro a Gaza. Le priorità sono così tante e i tempi di realizzazione così lunghi da rendere impossibile per un singolo soggetto – fosse anche l’Onu – agire in solitaria.
C’È CHI A GAZA e nel resto dei Territori palestinesi occupati lavora da decenni. Hanno esperienza e operano con i partner palestinesi, in grado di individuare e decifrare le necessità più impellenti e le aree su cui agire. Sono le circa duecento organizzazioni non governative, di tutto il mondo, già attive sul territorio. In questi 15 mesi hanno mantenuto rapporti costanti con le comunità palestinesi, raccolto fondi, mandato camion di aiuti, raccontato nei rispettivi paesi cos’era Gaza e cos’è oggi.
Su quelle 200 ong pesa la scure che le autorità israeliane hanno iniziato ad abbattere. L’obiettivo politico, come spesso accade, è camuffato da burocrazia: una revisione delle procedure di accreditamento delle organizzazioni straniere, da cui discendono i visti di lavoro e la possibilità di accedere ai Territori occupati. A inizio dicembre il governo israeliano ha annunciato nuove modalità per la registrazione delle ong in Israele, l’unico modo per operare a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme est.
Procedure molto più restrittive e talmente opache che lo stesso testo della legge in via di approvazione ammette che si deciderà caso per caso, in modo del tutto discrezionale. Il timore, che ha già mobilitato il mondo dell’associazionismo, è impedire alle realtà con esperienza sul campo di non poter contribuire alla gigantesca mole di lavoro necessaria a Gaza.
La registrazione delle ong non sarà più in capo al ministero degli affari sociali ma a un dipartimento – tuttora da creare – del ministero per la diaspora e la lotta all’antisemitismo. Ne faranno parte rappresentanti dei ministri della difesa, degli esteri, dell’aliyah e quelli della polizia e dei servizi segreti, ognuno dei quali «autorizzato a rifiutare la registrazione o a cancellarla se ritiene che l’organizzazione agisca contro gli interessi dello stato di Israele».
Poi, la specifica: «Negare la natura ebraica e democratica dello stato, sostenere la resistenza armata o mantenere rapporti con gruppi terroristici, compiere attività che danneggiano l’ordine pubblico, promuovere la delegittimazione di Israele o fare appello al suo boicottaggio». Una lista che resta “aperta”: il nuovo dipartimento, si legge nella normativa, può assumere la decisione «sulla base di altre considerazioni non menzionate qui sopra».
SOTTO UN SIMILE ombrello, può finire chiunque: chi ha rapporti pubblici con ong palestinesi ritenute da Israele terroristiche, da Al-Haq ad Addameer (da anni nella lista nera di Tel Aviv pur godendo di uffici all’Onu e partnership con le più note organizzazioni internazionali) e chi “osa” esporre le politiche di Israele in materia di diritti umani, monitora le violazioni del diritto internazionale e fa appello al suo rispetto a tutela dei più vulnerabili, una delle colonne portanti del lavoro di simili soggetti.
Le opzioni sono poche: perdere l’accredito, autocensurarsi o ridursi a realtà che fanno mero assistenzialismo. La registrazione viene negata o revocata anche nel caso in cui uno dei dipendenti dell’ong «ha fatto appello al boicottaggio di Israele o partecipato al boicottaggio nei sette anni precedenti». Non solo verrà negato il visto al cooperante, ma verrà punita tutta l’organizzazione.
Prima del 7 ottobre 2023, i cooperanti delle ong registrate ricevevano visti di lavoro B1 validi un anno e rinnovabili per altri quattro. A novembre 2023, il ministero degli affari sociali ha esteso in automatico fino al febbraio successivo tutti i visti in scadenza. Poi, il buio: da dodici mesi nessun visto è stato rinnovato né ne sono stati rilasciati di nuovi. In appena un anno il numero di cooperanti internazionali si è drasticamente ridotto.
«Oggi i cooperanti italiani presenti nei Territori – ci spiega Francesca Annetti, responsabile regionale della ong italiana Cospe – sono solo tre. E poi ci sono stati casi gravi di visti validi cancellati. È accaduto a due cooperanti di due diverse ong italiane, ma sono stati segnalati casi anche da altri paesi: persone a cui a gennaio 2024 al valico di Allenby il visto è stato annullato con una penna, senza spiegazioni; ad altri è stata consegnata una lettera in cui si comunicava il ritiro del visto in quanto “persona pericolosa per lo stato di Israele”. Grazie agli avvocati, i visti sono stati poi riattivati. Ma il problema rimane: non ne stanno rilasciando di nuovi».
Molte ong stanno operando con il solo staff locale, palestinese. «È un problema operativo – spiega al manifesto Valentina Venditti della ong italiana Ciss – Israele vieta ai palestinesi di Gaza e Cisgiordania di entrare in territorio israeliano, non possono nemmeno andare a Gerusalemme dove hanno sede le ambasciate straniere e i ministeri israeliani. Chi rappresenta l’ong ha delle responsabilità dal punto di vista legale, dei conti in banca, di interlocuzione con le istituzioni…I visti, la registrazione delle ong, la messa al bando di Unrwa sono tutti pezzi di una battaglia contro l’intero sistema umanitario».
NELL’OTTOBRE scorso Aida, l’associazione che tiene insieme le ong internazionali operative nei Territori occupati, si è rivolta alla Corte suprema israeliana evidenziando un fatto ovvio: secondo il diritto internazionale, Israele in quanto potere occupante è obbligato a garantire aiuti umanitari al popolo occupato. La Corte ha chiesto allo stato di dire la sua. La risposta è arrivata con le nuove procedure e il passaggio di consegne tra ministeri.
Cambiano anche le tempistiche: dal 2010, quando la registrazione è divenuta obbligatoria, l’accredito non aveva data di scadenza; ora, andrà aggiornato ogni tre anni (rendendo difficile una programmazione di lungo periodo, indispensabile a chi chiede fondi europei o governativi) e può essere revocato in qualsiasi momento.
Tra i primi a lanciare l’allarme sono state le Nazioni unite, tramite il loro ufficio per gli affari umanitari, Ocha, che teme – a ragione – una riduzione consistente delle ong e di conseguenza degli aiuti, mai così necessari. Cospe, dice Annetti, «sta considerando di chiudere i progetti in Palestina e fare advocacy da fuori, senza paura di poter parlare di diritti». «Il 90% delle ong è in pericolo – aggiunge Venditti – A Gaza rischiano di finire organizzazioni che non ci hanno mai lavorato perché Israele preferisce che non abbiano contatti pregressi. Grandi carrozzoni che non conoscono la realtà». L’8 gennaio associazioni palestinesi e israeliane, tra cui Adalah, B’Tselem, Combatants for Peace, Gisha, HaMoked, Yesh Din, hanno dato voce alle loro preoccupazioni in una lettera aperta.
«PER DECENNI, il governo israeliano è venuto meno ai suoi obblighi legali, in quanto potenza occupante, di provvedere al benessere della popolazione palestinese sotto il suo controllo…La nuova decisione fornisce un quadro di riferimento per intimidire e punire le organizzazioni che documentano e riportano le sofferenze umane e la distruzione fisica della devastante campagna militare di Israele a Gaza e della crescente oppressione dei palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme est».
Concludono chiedendo a Tel Aviv di tornare sui propri passi e alla comunità internazionale di fare pressioni. A oggi, nonostante le sollecitazioni delle ong ai governi europei, non vola una mosca.

[…] dalla “devastazione che si è dispiegata davanti agli occhi del mondo”. ( https://bocchescucite.org/difendere-la-dignita-e-la-presenza-del-popolo-di-gaza/ ) Mai così espliciti e rinunciando…
Grazie per il vostro coraggio Perché ci aiutate a capire. Fate sentire la voce di chi non ha voce e…
Vorrei sapere dove sarà l'incontro a Bologna ore 17, grazie
Parteciperò alla conferenza stampa presso la Fondazione Basso il 19 Mercoledì 19 febbraio. G. Grenga
Riprendo la preghiera di Michel Sabbah: "Signore...riconduci tutti all'umanità, alla giustizia e all'amore."