Israele al voto: la volta buona?

Articolo pubblicato originariamente su Ispi

Di voto in voto

Oggi gli elettori israeliani si recheranno alle urne per la quinta volta in tre anni e mezzo. L’obiettivo che il governo formato nel 2021 si era posto di arrivare fino al 2025 si è rivelato una chimera: ostaggio delle numerose divisioni interne, la coalizione guidata dal premier uscente Yair Lapid si è sciolta.

Come nelle ultime tornate, queste elezioni assomigliano molto a un referendum sulla figura dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, al governo dal 2009 al 2021 e ora sotto processo per corruzione, frode e abuso d’ufficio. Anche se il partito che guida è dato in testa ai sondaggi, non è detto che la sua coalizione riuscirà ad ottenere i 61 seggi che servono per la maggioranza. Insomma, difficile che il voto possa porre fine allo stallo politico in cui Israele si trova da anni.

Questioni di confine

L’economia e la sicurezza sono state al centro della campagna elettorale. Non sorprende: il costo della vita è in continuo aumento, mentre il tema della sicurezza ha rappresentato storicamente il fulcro di ogni sfida elettorale. Soprattutto ora che l’ondata di violenze che ha interessato i territori palestinesi nelle ultime settimane ha reso il tema di nuovo attuale, dimostrando che la soluzione del conflitto è ancora lontana.

Se sul fronte palestinese la situazione rimane tristemente invariata, la grande novità di questi giorni è nei rapporti con il Libano, con cui Israele è formalmente in guerra dal 1948. Il voto si svolgerà infatti ad appena cinque giorni dalla firma di un accordo tra i due Paesi sui confini marittimi (aspramente criticato da Netanyahu e fortemente voluto da Lapid). Ma gli elementi inediti non finiscono qui.

Svolta a destra?

Come mai prima d’ora, questa tornata elettorale è segnata dall’ascesa dell’alleanza dei partiti di estrema destra, alleati di Netanyahu e noti per la loro ideologia suprematista. Con il pubblico israeliano già poco incline all’idea di riprendere i negoziati coi palestinesi, la salita al governo di questi partiti renderebbe la risoluzione del conflitto quanto mai lontana.

In questo contesto, il vero ago della bilancia potrebbe essere la minoranza araba, che rappresenta circa un quinto della popolazione totale. Spaventati dall’ascesa dell’estrema destra ma disillusi dal sistema politico israeliano, gli elettori arabi potrebbero però disertare le urne, spianando così la strada a un nuovo governo a guida Netanyahu. Con queste premesse, un altro governo destinato a durare poco?

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