Articolo pubblicato su Middle East Eye. Traduzione a cura di Veronica Bianchini, per Bocche Scucite
Foto di copertina: Mohsen Mustafa, 27 anni, e suo cugino Ahmed Sherif Ahmed Abdel Wahab, 23 anni, non hanno più dato notizie da quando hanno pubblicato su Facebook un post in cui rivendicavano la responsabilità dell’incursione del 25 luglio.
Giovani egiziani assaltano un ufficio per la sicurezza dello Stato per protestare contro la politica dell’Egitto nei confronti di Gaza che accusano di complicità con Israele
Di Osama Gaweesh
La notte del 25 luglio 2025 un gruppo di giovani egiziani si e’ reso protagonista di un attacco audace che ha scosso l’ordine politico del Paese. I giovani, autodenominatisi “Iron 17” (Ferro 17), hanno assaltato l’ufficio per la sicurezza dello Stato presente all’interno della stazione di polizia di Ma’asara, a Helwan, tenendo in ostaggio per ore diversi membri del personale di sicurezza in un’azione senza precedenti, la prima di questo tipo dall’ascesa di Abdel Fattah al-Sisi alla carica di presidente nel 2013. Il raid, ripreso in video poi divenuti virali, non si è risolto in un mero attacco a una struttura governativa, ma ha mostrato che la crescente rabbia della popolazione può arrivare a minacciare la presa sul potere di Sisi. Gran parte di questa rabbia deriva dal ruolo dell’Egitto nella catastrofe umanitaria in corso a Gaza, e in particolare dalla chiusura del valico di Rafah. Da quando Israele ha occupato il versante palestinese del valico nel maggio 2024, la crisi umanitaria a Gaza è peggiorata, al punto che secondo il ministero della Salute palestinese sono morte di fame decine di persone, molte dei quali bambini.
Il regime egiziano nega di essere responsabile della chiusura del valico, ma è stato accusato di non essersi adoperato abbastanza affinché fosse riaperto. Questa posizione ha alimentato l’indignazione dell’opinione pubblica, che la considera una resa alle pressioni israeliane e statunitensi a scapito della causa palestinese.
A versare benzina sul fuoco è sopraggiunta l’intervista rilasciata dal governatore del Sinai settentrionale Khaled Megawe venerdì al giornalista pro regime Mustafa Bakri. Nel corso di quest’ultima, il governatore ha ammesso che l’Egitto non può aprire il valico di Rafah con la forza poiché gli Stati Uniti sono contrari a questa misura; una dichiarazione che i critici considerano un’ammissione implicita del ruolo esercitato dal Cairo nella chiusura.
Gli attivisti hanno approfittato di una falla nella sicurezza durante le preghiere del venerdi’
Attraverso il canale Telegram “Nation’s Flood”, che conta quasi 50.000 iscritti, sono emerse immagini in cui si vedono i giovani uomini all’interno dell’ufficio per la sicurezza dello Stato di Ma’asara tenere in ostaggio gli agenti per ore.
I video, che hanno registrato milioni di visualizzazioni, mostrano come il gruppo condanni la chiusura del valico di Rafah, punto di accesso salvavita per la popolazione di Gaza vittima del blocco, e l’arresto degli attivisti impegnati nella raccolta di aiuti destinati all’enclave. In uno scambio agghiacciante, uno dei funzionari presi in ostaggio risponde alla richiesta di riaprire Rafah con una sola parola: “Impossibile”. I filmati non si limitano a documentare l’accaduto, ma testimoniano il fatto che la popolazione è ormai stanca del regime che ritengono complice delle sofferenze inflitte a Gaza. La domanda su come il gruppo abbia potuto introdursi in una struttura di massima sicurezza ha trovato rapidamente risposta. Documenti divulgati attraverso lo stesso canale Telegram, hanno reso noti elenchi di persone sottoposte al famigerato programma egiziano del “monitoraggio per la sicurezza”, che impone ai detenuti rilasciati di presentarsi regolarmente alle stazioni di polizia. In un altro video, inoltre, si spiegava che il gruppo ha scelto di attuare la propria azione durante le preghiere di venerdì 25 luglio, approfittando di una falla nella sicurezza in quelle ore della giornata. Ex detenuti hanno confermato queste dichiarazioni, mettendo in evidenza la facilità con cui era possibile accedere all’ufficio per la sicurezza dello Stato posto al quarto piano per effettuare i controlli di routine, una lacuna di cui il gruppo ha approfittato per entrare e prendere in ostaggio il personale. I documenti resi noti hanno inoltre rivelato il nome di attuali detenuti e di vittime di sparizione forzata per accuse quali l’avere partecipato a proteste o per presunti legami con i Fratelli musulmani. I nominativi dei detenuti comprendevano anche una classificazione per criteri di sicurezza, con etichette quali membri dei Fratelli musulmani, salafiti o simpatizzanti.
Il FactCheckar, un’iniziativa indipendente che si occupa di verifica dei fatti, in un’analisi dettagliata pubblicata sulla sua pagina Facebook ufficiale, ha confermato l’autenticità di alcuni nomi, tra cui Fathi Rajab Hassan Ahmed e Ahmed Nadi Haddad Darwish, entrambi legati al caso delle “Brigate Helwan”, e Abdel Rahman Ramadan Mohamed Abdel Shafi, precedentemente indicato come vittima di sparizione forzata in un rapporto pubblicato dallo Shahab Ceneter for Human Rights (SHR) nel 2024.
L’Egitto ha risposto negando che l’episodio sia mai avvenuto e cercando di eludere le accuse
Il ministero dell’Interno egiziano ha rapidamente rilasciato una dichiarazione in cui ha negato l’autenticità dei video sostenendo fossero stati realizzati nel quadro di un complotto ordito dai Fratelli Musulmani. Pur annunciando l’arresto delle persone coinvolte nella diffusione dei filmati, ha evitato di affrontare la questione della validità dei documenti diffusi, limitandosi ad affermare che non erano collegati all’incidente. La smentita emessa in modo automatico, con una tattica ormai nota, non è riuscita a nascondere l’imbarazzo del ministero e ha alimentato le critiche secondo cui il regime è ormai incapace di affrontare la realtà e portato a liquidare le legittime rimostranze della popolazione come complotti stranieri. Un successivo video di “Nation’s Flood” mostrava uno dei giovani, insanguinato e con i vestiti strappati, dichiarare più volte che lui e i suoi compagni non erano terroristi e che avevano usato una pistola a salve al solo intento di inviare un messaggio. Il giovane chiedeva a uno degli agenti presi in ostaggio di garantire che se lo avesse rilasciato non sarebbero stato loro fatto del male. Tuttavia, la comunicazione con il gruppo si è interrotta bruscamente e tutti i messaggi trasmessi in precedenza sul canale Telegram sono scomparsi, lasciando immaginare che le forze di sicurezza abbiano preso il controllo del canale o che i suoi amministratori ne abbiano cancellato il contenuto.
Il manifesto di Iron 17: un appello per il risveglio della società
Poche ore prima che il canale smettesse di funzionare, ha diffuso una dichiarazione audio il cui stile ricalcava da vicino quello dei comunicati delle fazioni palestinesi, in cui si rivendicava la responsabilità dell’operazione “Iron 17”. Nella dichiarazione, attribuita ad Ahmed Abdel Wahab e Mohsen Mustafa, gli attivisti hanno rigettato qualsiasi affiliazione politica e si sono definiti “eredi di Omar ibn al-Khattab e Amr ibn al-Aas”, intenti a riportare in vita lo spirito nazionale egiziano. Si tratta dei primi leader islamici militari e politici, simbolo di forza, giustizia e rinascita nazionale. Il loro messaggio è stato chiaro: fermare il genocidio a Gaza e porre fine alla repressione degli egiziani. Rivolgendosi al popolo egiziano, hanno denunciato i “gravi colpi” inflitti alla nazione e hanno giurato di risvegliarla dalla sua “morte”.
I social media hanno registrato reazioni polarizzate. Alcuni hanno messo in dubbio l’autenticità dei video, mentre altri li hanno considerati un grido di protesta sincero.
I critici hanno accusato la repressione incessante del regime e le pesanti misure di sicurezza di aver spinto la popolazione a tali estremi. Altri, facendo eco alla narrazione del governo, hanno accusato i Fratelli Musulmani e altri attori di aver orchestrato un complotto per destabilizzare l’Egitto con video falsi e disinformazione.
Sabato mattina, il portavoce della presidenza egiziana ha pubblicato una breve dichiarazione su un incontro tra Sisi e il ministro dell’Interno Mahmoud Tawfiq, senza specificare quali fossero gli argomenti trattati. I media di regime hanno ipotizzato che si sia discusso di aggiornamenti sulla sicurezza e di un imminente rimpasto riorganizzazione dei funzionari del ministero dell’Interno, ma non è chiaro se Sisi abbia affrontato l’incidente di Ma’asara o preso in considerazione la possibilità di licenziare Tawfiq.
Ripercussioni politiche: un regime sotto pressione
L’incidente di Ma’asara non è un fatto isolato, ma segue le molte proteste inscenate la settimana scorsa davanti alle ambasciate egiziane delle capitali europee. L’ondata di azioni è stata innescata dall’attivista Anas Habib nei Paesi Bassi, con la chiusura simbolica dei cancelli dell’ambasciata in segno di protesta contro la chiusura di Rafah. Tali azioni si sono poi diffuse in altre città andando a riaffermare con forza che gli egiziani, in patria come all’estero, rifiutano di accettare ciò che considerano una forma di complicità nella tragedia di Gaza. L’operazione di Ma’asara prende le mosse da questa congiuntura e mostra che la rabbia si sta ora traducendo in azioni audaci.
L’assalto a Ma’asara, insieme alle proteste davanti alle ambasciate, indica che sul regime, già messo a dura prova da crisi economiche e sociali, grava ora una pressione crescente.
Queste azioni potrebbero incoraggiare le forze dell’opposizione a organizzarsi ulteriormente, soprattutto in un contesto di repressione sempre più intensa. Il ricorso alla forza bruta da parte di Al-Sisi potrebbe ritorcersi contro di lui se le richieste dell’opinione pubblica per Gaza e per riforme interne dovessero essere ignorate. Gli attuali disordini riecheggiano lo spirito della Rivoluzione del 25 gennaio, lasciando pensare che si sia vicini a un potenziale punto di svolta in cui gli egiziani potranno riappropiarsi della loro voce.
In ultima istanza, l’incidente di Ma’asara rappresenta un clamoroso grido di protesta contro l’ingiustizia, sia a Gaza che all’interno dell’Egitto. Il regime si trova di fronte a una prova cruciale: dare ascolto a queste voci o rischiare un’escalation che potrebbe ridisegnare il panorama politico.
[…] dalla “devastazione che si è dispiegata davanti agli occhi del mondo”. ( https://bocchescucite.org/difendere-la-dignita-e-la-presenza-del-popolo-di-gaza/ ) Mai così espliciti e rinunciando…
Grazie per il vostro coraggio Perché ci aiutate a capire. Fate sentire la voce di chi non ha voce e…
Vorrei sapere dove sarà l'incontro a Bologna ore 17, grazie
Parteciperò alla conferenza stampa presso la Fondazione Basso il 19 Mercoledì 19 febbraio. G. Grenga
Riprendo la preghiera di Michel Sabbah: "Signore...riconduci tutti all'umanità, alla giustizia e all'amore."