Articolo originariamente pubblicato su The Guardian. Traduzione a cura di Veronica Bianchini per Bocche Scucite
L’ipocrisia dei media occidentali è stata messa a nudo dall’uccisione dei giornalisti palestinesi ad opera di Israele a partire dall’attacco di Hamas del 7 ottobre
Da quasi due anni Israele prende sistematicamente di mira e uccide i giornalisti palestinesi a Gaza. Domenica notte l’esercito israeliano ha ucciso senza alcun ritegno altri sei giornalisti che avevano trovato rifugio in una tenda per operatori dei mezzi di informazione a Gaza city. Tra questi c’era il corrispondente di Al Jazeera Anas al-Sharif, 28 anni, e il resto del team della rete che trasmetteva dal territorio assediato.
Israele può permettersi di uccidere impunemente i giornalisti palestinesi non soltanto per il sostegno militare e politico incondizionato che riceve dagli Stati Uniti e da altre potenze occidentali, ma anche perché molti media e giornalisti occidentali non insorgono in difesa dei loro colleghi palestinesi. I media occidentali accettano di buon grado di criticare pubblicamente i governi, e di organizzare campagne in difesa dei giornalisti perseguitati o imprigionati dagli avversari degli Stati Uniti, come Russia, Cina o Iran, ma restano per lo più in silenzio quando è la volta di Israele, alleato degli Stati Uniti.
Questa vergognosa ipocrisia dei media occidentali, e in particolare di quelli statunitensi, è stata messa a nudo dall’uccisione dei giornalisti palestinesi ad opera di Israele a partire dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. I giornalisti godono della stessa protezione dei civili ai sensi del diritto internazionale, che ne considera l’uccisione mirata un crimine di guerra. Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) afferma che dal 7 ottobre sono stati uccisi 192 giornalisti, 184 dei quali palestinesi uccisi da Israele. Dei giornalisti palestinesi uccisi, il CPJ ha potuto accertare che almeno 26 sono stati presi di mira intenzionalmente per il loro lavoro, senza però riuscire a stabilire se anche altri sono stati uccisi specificamente per la loro professione.
A Gaza sono stati uccisi più giornalisti che nella guerra di secessione statunitense, nelle due guerre mondiali, nella guerra di Corea, nella guerra del Vietnam, nelle guerre in Jugoslavia e nella guerra degli Stati Uniti in Afghanistan messe insieme.
Altre organizzazioni stimano che il numero degli operatori dei mezzi di informazione uccisi a Gaza sia ancora più elevato: un recente studio del progetto “Costs of War” (“I costi della guerra”) della Brown University ha rilevato che alla fine di marzo erano stati uccisi almeno 232 operatori. In una delle sue più dure conclusioni, il rapporto evidenzia che a Gaza sono stati uccisi più giornalisti che nella guerra di secessione statunitense, nelle due guerre mondiali, nella guerra di Corea, nella guerra del Vietnam, nelle guerre in Jugoslavia e nella guerra degli Stati Uniti in Afghanistan messe insieme.
Si potrebbe pensare che cifre così scioccanti possano indurre i media e i giornalisti di tutto il mondo a condannare gli attacchi di Israele contro i loro colleghi palestinesi. Ma le testate statunitensi sono rimaste in gran parte in silenzio, rispetto, ad esempio, alla crociata che molte di loro hanno condotto per la liberazione del corrispondente del Wall Street Journal Evan Gershkovich, arrestato e accusato di spionaggio dalla Russia nel marzo 2023. In quella occasione i media più importanti hanno incentrato i loro servizi sull’idea che Gershkovich fosse stato detenuto ingiustamente dalla Russia e condannato in un processo farsa fondato su accuse inventate.
Eppure, questi stessi media sono spesso riluttanti a considerare i giornalisti palestinesi altrettanto meritevoli del beneficio del dubbio, e di protezione, contro le minacce e le diffamazioni israeliane. L’esercito israeliano ha iniziato a minacciare al-Sharif, il corrispondente di Al Jazeera ucciso domenica scorsa, nel novembre del 2023, quando questi ha riferito di aver ricevuto diverse telefonate da funzionari militari israeliani che gli intimavano di interrompere il suo lavoro e di lasciare Gaza. Un mese dopo, il padre novantenne di al-Sharif è stato ucciso in un attacco aereo israeliano che ha colpito la casa di famiglia.
Israele ha quindi messo in atto il suo abusato copione, accusando al-Sharif di essere un “terrorista”, come ha fatto con altri giornalisti palestinesi che ha poi ucciso, senza fornire prove credibili a sostegno delle proprie accuse. Nell’ottobre del 2024 l’esercito israeliano ha affermato che al-Sharif era uno dei sei giornalisti di Al Jazeera, allora tutti impegnati come corrispondenti a Gaza, affiliati in quel momento o in passato ad Hamas o alla Jihad islamica palestinese. Al Jazeera, insieme a organizzazioni per la difesa della libertà di stampa, ha considerato le accuse una potenziale condanna a morte per i sei giornalisti, uno dei quali è stato ucciso da Israele a marzo.
La campagna di diffamazione dell’esercito israeliano contro al-Sharif si è intensificata il mese scorso, dopo che i suoi strazianti reportage sull’assedio e la fame imposti a Gaza da Israele sono diventati virali, compresa una trasmissione in cui si è commosso in diretta mentre una donna che camminava dietro di lui è crollata a terra per la fame (Di recente ho trascorso sei settimane nel mio Paese natale, il Libano, guardando spesso i servizi di Al Jazeera, e mi è apparso evidente che al-Sharif era diventato il volto della guerra di Gaza per milioni di telespettatori del mondo arabo). E in effetti, il CPJ era così allarmato dalle minacce israeliane contro al-Sharif che il mese scorso ha emesso una dichiarazione in cui si diceva “gravemente preoccupato” per la sua sicurezza e chiedeva che si intervenisse con urgenza per proteggerlo.
Ma questi appelli non hanno trovato eco nella maggior parte delle redazioni degli Stati Uniti o di altri Paesi occidentali. Ci sono state poche campagne mediatiche o dichiarazioni di solidarietà con i giornalisti palestinesi, rispetto alle iniziative poste in atto per Gershkovich e altri corrispondenti occidentali presi di mira dagli avversari degli Stati Uniti. I principali media statunitensi non hanno pubblicato lettere aperte sui loro giornali per richiamare l’attenzione del pubblico sui giornalisti che erano perseguitati per il proprio lavoro, come hanno fatto il New York Times, il Wall Street Journal e il Washington Post per Gershkovich nel maggio 2024 in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa.
La libertà di stampa e la protezione dalla persecuzione, a quanto pare, sono appannaggio dei soli giornalisti occidentali.
Nel 2022 Shireen Abu Akleh, una delle corrispondenti più importanti di Al Jazeera e cittadina palestinese-statunitense, è stata uccisa da un soldato israeliano mentre operava come corrispondente in Cisgiordania. Tuttavia, l’amministrazione di Joe Biden ha rifiutato di chiamare Israele a rispondere della sua uccisione. L’impotenza di Biden ha acuito il senso di impunità di Israele. Una volta che i leader israeliani hanno capito che non avrebbero subito alcuna conseguenza per l’uccisione di una delle giornaliste più importanti del mondo arabo, che era anche cittadina statunitense, possiamo stupirci che ne abbiano concluso di poterla fare franca se avessero ucciso molti altri giornalisti palestinesi a Gaza?
I media occidentali hanno costantemente posto a Israele una sola richiesta, e cioè che consentisse l’ingresso dei corrispondenti stranieri a Gaza, cosa che il governo israeliano ha rifiutato di fare dall’ottobre 2023, eccetto i casi in cui i giornalisti sono entrati nel territorio al seguito delle truppe israeliane. Se da una parte le testate giornalistiche hanno condotto una campagna ammirevole, dall’altra i termini in cui l’hanno posta sono problematici. Alcuni media e giornalisti occidentali sembrano infatti ritenere che solo i giornalisti stranieri possano garantire una copertura completa e imparziale delle notizie riguardanti Gaza.
John Simpson, giornalista di lungo corso della BBC, ha recentemente ribadito questa tesi scrivendo su X: “Il mondo ha bisogno un’informazione onesta e imparziale frutto del lavoro di testimoni oculari, che aiuti le persone a formarsi un’opinione sulle questioni importanti del nostro tempo. Finora ciò non è stato possibile a Gaza”.
Si tratta di una sciocchezza che rafforza le peggiori tradizioni coloniali dei media tradizionali, che considerano i giornalisti occidentali (laddove per “occidentali” spesso si intende “bianchi”) unici arbitri della verità. Questo dibattito mi ricorda “Scoop” di Evelyn Waugh, in cui il romanziere britannico critica senza pietà i corrispondenti esteri e il giornalismo sensazionalistico degli anni ’30. Purtroppo, la satira di Waugh è ancora attuale.
Uno dei principali problemi di questa concezione dei giornalisti occidentali come mediatori ultimi di un’informazione libera da pregiudizi, è che sminuisce la professionalità e il coraggio di centinaia di giornalisti palestinesi, molti dei quali hanno sacrificato la loro vita mentre per raccontare l’attacco di Israele a Gaza. L’ironia, ovviamente, è che una volta che i giornalisti stranieri saranno ammessi a Gaza, la maggior parte di loro dovrà necessariamente affidarsi a giornalisti, traduttori e altri facilitatori (fixer) palestinesi, che spesso si sobbarcano il grosso del lavoro per i corrispondenti occidentali.
Questo è uno dei segreti della copertura mediatica straniera in gran parte dei media occidentali tradizionali: l’essere fondata sul lavoro nascosto e in gran parte misconosciuto dei giornalisti e dei fixer locali. Mentre i giornalisti stranieri non erano ammessi a Gaza, giornalisti palestinesi come Anas al-Sharif hanno potuto raccontare la storia del loro popolo direttamente al mondo. E Israele li sta metodicamente uccidendo per questo, mentre molti dei loro colleghi occidentali e le istituzioni giornalistiche internazionali restano vergognosamente in silenzio.
*Mohamad Bazzi è direttore dell’Hagop Kevorkian Center for Near Eastern Studies e professore di giornalismo alla New York University. È inoltre ex capo dell’ufficio per il Medio Oriente del Newsday.

[…] dalla “devastazione che si è dispiegata davanti agli occhi del mondo”. ( https://bocchescucite.org/difendere-la-dignita-e-la-presenza-del-popolo-di-gaza/ ) Mai così espliciti e rinunciando…
Grazie per il vostro coraggio Perché ci aiutate a capire. Fate sentire la voce di chi non ha voce e…
Vorrei sapere dove sarà l'incontro a Bologna ore 17, grazie
Parteciperò alla conferenza stampa presso la Fondazione Basso il 19 Mercoledì 19 febbraio. G. Grenga
Riprendo la preghiera di Michel Sabbah: "Signore...riconduci tutti all'umanità, alla giustizia e all'amore."