Articolo pubblicato originariamente su Orient XXI. Foto di copertina: Colleghi e familiari pregano al funerale del cameraman di Al Jazeera Samer Abudaqa a Khan Yunis, Gaza, Mahmud Hams/AFP
Di Lorenzo Forlani
Le informazioni dalla Striscia di Gaza e dal Libano arrivano grazie al lavoro e al coraggio dei giornalisti locali. Anche per questo, sono ormai un obiettivo acclarato dei bombardamenti israeliani, che ne hanno uccisi almeno 143.
Nell’era dell’informazione globalizzata si tende a darlo per scontato, ma la totalità dei filmati e delle immagini del Libano e della Striscia di Gaza in questo anno di guerra è giunta sui nostri schermi grazie al coraggio di decine di cronisti locali: dipendenti di emittenti, quotidiani e radio regionali o nazionali, freelance, ma anche tantissimi giovani reporter in erba che, mentre la terra intorno a loro veniva ribaltata dalle bombe israeliane, si sono muniti di smartphone o di una telecamera per affrontare un battesimo di fuoco, una declinazione di citizen journalism durante l’assedio militare sui popoli di cui fanno parte.
Senza le centinaia di testimonianze audiovisive raccolte sul posto in questi mesi, oggi non avremmo chiare le proporzioni della tragedia palestinese, i Procuratori delle Corti internazionali non potrebbero circostanziare1 in modo così dettagliato l’accusa di genocidio nei confronti delle autorità politiche e militari di Tel aviv, e forse faticheremmo a credere a molte delle evidenze distopiche via via emerse sulla condotta bellica di Israele.
Ciò è ancor più vero se si considera che Israele stesso ha, sin dall’8 ottobre 2023, bandito l’ingresso di giornalisti nella Striscia di Gaza, concedendo solo ad alcune emittenti la possibilità di avere inviati embedded con le truppe israeliane, i cui contenuti sarebbero dovuti essere approvati2 dall’esercito. Non è quindi un caso che ad unirsi a Tshal siano stati giornalisti smaccatamente filo israeliani come Douglas Murray, immortalato in una foto mentre posa sulla poltrona su cui si era seduto Yahya Sinwar prima di essere ucciso, o Danny Kushmaro, presentatore di Channel 12, ripreso alla fine dello scorso ottobre mentre faceva personalmente saltare in aria3 una casa nel sud del Libano.
Già ad inizio novembre 2023, diversi politici israeliani avevano iniziato ad invocare l’uccisione di giornalisti palestinesi, dopo la pubblicazione di una foto che ritraeva un fotografo freelance4 in compagnia di un leader di Hamas, e la Knesset approvava5 un emendamento alla legge anti terrorismo, in cui si dispone fino ad un anno di carcere per chiunque “consumi sistematicamente online materiale di natura terroristica”, una definizione che poi verrà di fatto applicata all’emittente internazionale Al Jazeera, l’unica di questo rilievo presente a Gaza. Il 9 gennaio 2024, poi, la Corte Suprema israeliana ha rigettato la petizione6 dell’Associazione della Stampa estera, che chiedeva libero accesso7 della stampa a Gaza.
Non è possibile fare i giornalisti a Gaza, a meno di non esservi già intrappolati all’interno, come i reporters gazawi.
I numeri del “giornalisticidio”
Il prezzo dell’opera di testimonianza dell’ultimo anno è stato, quindi, estremamente alto: secondo i dati del Committee to Protect Journalists (Cpj), tra il 7 ottobre 2023 e la fine di ottobre 2024 sono stati uccisi nella Striscia di Gaza e nel sud del Libano ben 143 tra giornalisti ed operatori. E’ l’83% del totale dei giornalisti e degli operatori uccisi tra Gaza e Libano dal 1992 ad oggi, l’8% di quelli uccisi nello stesso trentennio in tutto il mondo, l’85% di quelli uccisi quest’anno a tutte le latitudini.
Questi numeri considerano soltanto i decessi la cui dinamica sia stata definitivamente chiarita, e scorrendo la lista dei 143 è già possibile farsi un’idea delle condizioni in cui l’esercito israeliano li ha costretti ad operare: nessuno è morto nel corso di scambi a fuoco tra contendenti, in situazioni cioè di crossfire, e quasi tutti sono stati uccisi nel corso di un dangerous assignment, uccisi nel corso di un bombardamento di un’area, un campo profughi o un edificio in cui si trovavano.
Sono poi almeno 5 i reporter deliberatamente assassinati dall’esercito, la cui morte è stata classificata come murder, omicidio, cioè giornalisti riconoscibili e riconosciuti dai militari come tali ma presi ugualmente di mira. Si tratta, ovviamente, di crimini di guerra.
Il primo – il 13 ottobre 2023 – è stato il libanese Essam Abdallah dell’agenzia Reuters, ucciso dall’artiglieria israeliana mentre si trovava in un punto d’osservazione su una piana nei pressi di Alma Al Shaab, nel sud del Libano, non lontano dalla Linea Blu. Abdallah era con altri sei colleghi di diverse agenzie, lontano da qualunque raggruppamento di Hezbollah, nonché a meno di 100 metri dalla postazione dei merkava dell’esercito israeliano sul promontorio antistante, che li aveva potuti riconoscere grazie ai banner identificativi della stampa localizzati anche sulla loro jeep.
Dopo meno di un’ora dal loro arrivo, un carro armato israeliano, senza nemmeno un colpo d’avvertimento, gli ha sparato addosso ben due volte, con proiettili da 120mm: la prima uccidendo Abdallah e ferendo sei colleghi; la seconda, 37 secondi dopo, distruggendo la jeep di Al Jazeera con su scritto “TV”. Oltre ad Abdallah, morto sul colpo, a farne le spese peggiori è stata Christina Assi, del quotidiano libanese l’Orient Le Jour, alla quale è stata amputata la gamba destra nei giorni successivi. Secondo un report delle truppe Unifil che pattugliavano non lontano, fino a quel duplice strike sui giornalisti non si era udito alcuno scambio a fuoco transfrontaliero per i precedenti 40 minuti.
Il 7 gennaio 2024, non lontano da Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, è toccato ad Hamzah al Dahdouh e Mustafa Thuraya. Il figlio di Wael Al Dahdouh (capo del bureau di Al Jazeera a Gaza) e l’amico freelance in servizio per Afp, attorno alle 10.30 del mattino secondo i testimoni – in particolare i colleghi Amer Abu Amr e Ahmed Al Bursh, rimasti poi feriti – si erano recati nei pressi di un edificio bombardato dall’esercito israeliano. Lo avevano fatto usando tutte le cautele del caso, aspettando quasi 24 ore prima di accedere al sito, temendo un secondo bombardamento. Mentre alcuni soccorritori estraevano feriti dalle macerie per caricarli sull’ambulanza, Thuraya avrebbe fatto volare a fini giornalistici, per circa quattro minuti, un piccolo drone commerciale.
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Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…