Massacro a Beirut, ormai Israele nemmeno avverte più

Articolo pubblicato sulla pagina FB di Pasquale Porciello

Libano. Nessun ordine di evacuazione sulla capitale. Colpito il centro, 15 uccisi e si scava ancora. Le bombe in piena notte sul quartiere artigiano di Basta terrorizzano la popolazione: «Siamo sfiniti». Pesanti raid a est e sud: decine di morti

Di Pasquale Porciello

Basta è un dedalo di vicoli, stradine, slarghi, una mappa irregolare sul dorso della collinetta che scende verso il parlamento e la downtown di Beirut, il centro del centro della capitale, dove si arriva passeggiando in pochi minuti.

«Sono saltata letteralmente dal letto e ho scritto ai miei amici per sapere se stavano bene, se avevano sentito anche loro…e per non sentirmi sola», racconta Miriam, svegliata in piena notte alle 4 dalla serie di esplosioni che hanno abbattuto una palazzina di otto piani a Basta Fawqa, la parte superiore del quartiere sciita colpito sabato mattina prima dell’alba dall’aviazione israeliana.

COME LEI, mezza città si è svegliata nel cuore della notte. «Nessun responsabile di Hezbollah si trovava nel palazzo», fa sapere il partito sciita, mentre l’esercito israeliano e altre fonti parlano di un solo responsabile. Sono almeno 15 i civili uccisi, oltre 60 i feriti. Si scava, fino a sera.

Al tramonto, dopo 12 ore, la strada principale che unisce Beirut est a Beirut ovest, un tempo impraticabile il sabato sera, è illuminata solo dalle luci blu intermittenti delle ambulanze, che fanno avanti e indietro, e dei mezzi dei vigili del fuoco, che continuano a scavare nella speranza di trovare superstiti. Basta è un quartiere popolare, di artigiani, si vendono mobili a basso costo usati, ma anche antiquariato, meravigliose madie, specchi intarsiati, armadi di legno pregiato e madreperla, antiche manifatture damascene.

«SI VENDEVANO, ora da qualche mese praticamente niente», corregge Ahmad, mercante del posto. La voragine lasciata dall’esplosione è impressionante. Si tratta del quarto attacco fuori dalla Dahieh in una settimana. La consuetudine adesso è non avvisare: l’esercito israeliano bombarda senza dare nessun ordine di evacuazione.

Innumerevoli i bombardamenti su Beirut sud, la Dahieh appunto. Il campus dell’Università Libanese, nel quartiere di Hadath, è stato danneggiato. Nella zona di Santa Teresa (Hadath), un’area a ridosso di un ospedale è stata colpita, causando il panico.

In mattinata, alle 9.30 l’ennesima esplosione violentissima, questa volta tra Hadath e Chiyah, tra i pochissimi quartieri ancora abitati. «È stata più forte di quella di Nasrallah (leader di Hezbollah ucciso il 27 settembre, ndr). Pensavo avessero bombardato il porto, davanti casa mia, ma poi ho pensato che non ne è rimasto niente dal 4 agosto 2020», racconta Rita, che porta addosso le cicatrici di quel giorno.

A Baalbek e nella Bekaa, ad est, almeno 33 morti e 18 feriti in un primo bilancio mattutino, a cui poi il ministero della salute libanese ha aggiunto altri 24 morti e 45 feriti. A Chmestar, nell’area, l’aviazione israeliana ha ucciso otto persone, di cui quattro bambini. Due pescatori ammazzati a Tiro, in un raid sulla spiaggia della città nel Libano del sud. Qui il bilancio totale è di almeno cinque morti e una ventina di feriti. Fosforo bianco su Mari (Hasbaya, a sud), su una struttura dell’esercito libanese.

ISRAEL KATZ, ministro della difesa israeliana, in una conversazione con il suo omologo statunitense Lloyd Austin ha affermato che Israele «continuerà ad agire con determinazione, a colpire le infrastrutture terroristiche di Hezbollah e a eliminarne i dirigenti terroristi». Hezbollah ha lanciato missili sulla base di Shraga, sede amministrativa del comando della brigata Golani, su Acre, Kyriat Shmona, Safed e altri presidi militari nel nord di Israele.

Violenti i combattimenti sul terreno a Khiam (Nabatieh), al confine, e nella città costiera di Bayada. In campo aperto Hezbollah tiene e finora non ha permesso l’avanzata della fanteria israeliana, respingendo di volta in volta le incursioni. L’esercito israeliano ha annunciato due giorni fa che 1.018 soldati sono stati feriti e 83 uccisi dall’inizio delle operazioni di terra nel sud del Libano da Hezbollah e dai gruppi affiliati. Continuano gli scontri anche intorno alla base italiana Unifil di Chama (come intorno a quella di Naqora), dove venerdì quattro soldati italiani sono stati leggermente feriti da missili lanciati probabilmente da Hezbollah.

Il ministro della difesa italiana Crosetto aveva ammonito Israele di non operare a ridosso della base usandola come «scudo», che è il motivo per cui si ipotizza sia stata colpita – volontariamente o meno – dal Partito di Dio. Il premier ad interim Najib Mikati ha rassicurato ieri Giorgia Meloni si impegnerà affinché venga fatta chiarezza sull’«inaccettabile» atto.

Rita chiude il suo racconto con una riflessione disarmante: «I traumi qui non si risolvono mai, si accumulano. Siamo stanchi anche di quest’etichetta attaccata sulla fronte che abbiamo di popolo resiliente, una parola di cui si riempie la bocca chi parla in maniera superficiale del Libano. Quale resilienza. Siamo sfiniti, feriti, umiliati».

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