Articolo pubblicato originariamente su Kritika
Di Federica D’Alessio
Una lunga conversazione con Omar Barghouti, fondatore del movimento BDS (Boycott, Divestment, Sanctions). “L’Italia finora ha fatto troppo poco per fermare il genocidio, ma il vostro sciopero generale è un evento storico”
Abbiamo intervistato Omar Barghouti, fondatore del movimento BDS (Boycott, Divestment, Sanctions), in questi giorni in Italia per incontrare personalità politiche – oggi alla Camera c’è stato un incontro con l’Intergruppo parlamentare per la pace fra Israele e Palestina – e portare avanti i lavori del movimento, a 20 anni dalla sua fondazione.
Siamo qui a dialogare proprio nel mezzo di uno sciopero generale in solidarietà con il popolo palestinese che sta coinvolgendo circa 80 diverse località e centinaia di migliaia di persone in piazza, in tutta Italia. È una notizia importante, tanto più che il sindacato non è sceso in piazza in modo unitario, e il principale sindacato italiano di sinistra, la CGIL, ha disertato questa piazza. Che ne pensa?
È un evento storico. Lo sciopero nazionale di oggi in Italia è il primo sciopero nazionale a livello globale contro il genocidio perpetrato da Israele, che è armato, finanziato, sostenuto e protetto dall’Occidente coloniale guidato dagli Stati Uniti, ma che include anche l’Italia. Si tratta quindi di una forma di resistenza molto importante contro la complicità dello Stato italiano, delle aziende italiane e delle istituzioni italiane. È una sorta di campanello d’allarme per l’Italia nel suo complesso, per far capire che la complicità del governo e di aziende come Leonardo non rappresenta gli italiani. Oggi, penso che la maggioranza che prima era una maggioranza silenziosa non sia più silenziosa.
Ritiene che potrebbe portare ad altri scioperi altrove?
Speriamo vivamente di sì, perché ci sono paesi in cui il movimento di solidarietà è molto più grande che in Italia, dove però non ci sono mai stati scioperi nazionali. Paesi come l’Irlanda, la Spagna, la Norvegia, la Slovenia, Malta o la Gran Bretagna. Abbiamo avuto molto lavoro solidale, molti successi del movimento BDS contro le aziende, molto sostegno dai sindacati, ben più che in Italia, ma mai uno sciopero nazionale. Quindi questo è un precedente davvero importante per ispirare azioni simili. La società civile palestinese ha lanciato un fine settimana di mobilitazione. Questo sciopero è avvenuto di lunedì, subito dopo il fine settimana, ma è comunque un grande momento di mobilitazione contro la complicità. Quello che noi stiamo dicendo a tutti infatti è questo: la solidarietà inizia con la fine della complicità. Non si può affermare di essere solidali con il popolo palestinese se non si lavora per porre fine a qualsiasi complicità con il genocidio.
Qui in Italia, la scintilla che ha acceso la mobilitazione è stata l’iniziativa dei lavoratori portuali che hanno colto l’opportunità di fermare materialmente l’invio di armi a Israele. E in alcuni casi, ad esempio a Ravenna, grazie ai lavoratori portuali che osservavano le movimentazioni, quando i cittadini hanno scoperto che le leggi italiane sul permesso di far passare missili attraverso i porti venivano violate, tutta la cittadinanza si è mobilitata per protestare. È come se i lavoratori portuali avessero dato voce a tutti, anche in solidarietà con la Global Sumud Flotilla. Quest’ultima, a sua volta, è stata una scintilla piuttosto importante per mobilitare tante persone tutte insieme. Cosa ne pensa?
Il fatto che tutto sia iniziato da sindacati più piccoli, dai lavoratori portuali, dimostra che alcune persone con la giusta bussola morale, se possiedono anche i principi, il coraggio e la strategia, possono avere un impatto superiore alle loro effettive dimensioni. Non basta avere i principi giusti. È una cosa buona, ma non è sufficiente. A volte, a sinistra, la gente pensa che sia sufficiente. In realtà, senza una strategia non si ottiene alcun impatto. Quindi, chiaramente, i sindacati in questo caso avevano una strategia: formare grandi coalizioni. Forse non così grandi come si può sperare, come diceva lei magari il movimento sindacale è ancora diviso, ma ciò che hanno ottenuto è comunque incredibile. Hanno dato vita a qualcosa di molto più grande di loro. Speriamo di poter costruire su questo, attraverso richieste chiare. Mi pare che lo sciopero di oggi (22 settembre, ndr), per quanto importante e storico, non abbia avanzato richieste chiare allo Stato italiano né alle aziende italiane. Chiede la fine del genocidio, il che è assolutamente giusto, ma la domanda è: come porre fine alla complicità italiana? Qual è il ruolo dell’Italia nella fine del genocidio? Senza identificare bene questo si tratta di un appello astratto, e l’Italia non è uno spettatore estraneo degli avvenimenti. L’Italia è complice del genocidio: è complice del commercio di armi con Israele, della ricerca militare, della ricerca sulla sicurezza e di molte altre cose. Leonardo è pienamente coinvolta nel genocidio e lo Stato italiano possiede un terzo di Leonardo. Quindi ogni cittadino italiano ha voce in capitolo: è il vostro Stato, le vostre tasse vengono utilizzate per sostenere il genocidio e trarne profitto. C’è una responsabilità, ed è prima di tutto un dovere etico, ma anche un dovere legale agire per porre fine alla complicità. Nel movimento BDS, il nostro obiettivo e richiesta fondamentale è: non fate del male, smettete di farci del male. E a chiunque dica: “Voglio essere solidale con la Palestina”, noi rispondiamo: “Inizia ponendo fine alla complicità del tuo Stato, delle tue aziende e delle tue istituzioni”.
Effettivamente, in tante mobilitazioni in questo Paese spesso la posizione morale sopravanza la posizione politica. Lo slogan principale dello sciopero di oggi era: “Blocchiamo tutto”. Il che significa: dobbiamo fermare tutto questo, ma senza avanzare alcuna reale richiesta politica. La consegna dello sciopero era più di schieramento che di effettivo conflitto. Pensa che attraverso il BDS sia possibile dare un percorso più politico al proprio schieramento morale?
Si tratta di compiere un passo avanti incrementale su cui poter costruire. Il movimento BDS è guidato dalla più grande coalizione della società palestinese: tutti i sindacati fanno parte del movimento BDS in Palestina, abbiamo un nucleo palestinese unificato al cuore del BDS. Le nostre richieste sono molto chiare. Ruotano tutte attorno alla fine della complicità, in particolare con l’embargo militare. Che significa esportazione, importazione, doppio uso (militare-civile), transito. E l’Italia è colpevole di tutto questo, della ricerca militare, dell’esportazione militare, dell’importazione militare, della sicurezza, del doppio uso, e chi più ne ha più ne metta. Tutto ciò è stato denunciato dai giornalisti italiani e dalla società civile. Quindi, sì, i sindacati palestinesi chiedono ai sindacati italiani e internazionali: non ci fate del male. Ponete fine alla complicità del vostro Stato, prima di tutto. Se volete davvero fare il vostro lavoro, il vostro ruolo nel porre fine al genocidio, fermate la complicità.
Voi del movimento BDS siete ora al ventesimo anniversario della vostra attività. A che punto vi trovate secondo lei in questo momento, dopo vent’anni di lavoro e mentre un genocidio sta avvenendo davanti ai nostri occhi?
Ci sono due punti. Innanzitutto, stiamo celebrando i 20 anni del movimento BDS ma non riusciamo a usare il termine “celebrare”, perché non possiamo festeggiare nulla nel bel mezzo di un genocidio. Proviamo troppo dolore e troppa rabbia per festeggiare, perché decine di migliaia di palestinesi sono stati uccisi. I palestinesi vengono uccisi ogni singolo giorno. I nostri bambini, le nostre donne, i nostri uomini vengono fatti morire di fame, non solo uccisi dalle bombe, ma dalla fame e dalle malattie in modo deliberato. Per la prima volta nella storia, un genocidio viene trasmesso in diretta streaming. Quindi nessuno può dire: “Non lo sapevo” come alcuni fecero con l’Olocausto, quando alcuni hanno detto: “Noi non lo sapevamo. Solo quando l’esercito sovietico ha aperto i cancelli di Auschwitz, solo allora lo abbiamo scoperto, ma non ne avevamo idea”. Nessuno può affermarlo ora. In Ruanda hanno detto: “Oh, non sapevamo che fosse in corso un genocidio”. Non è vero che non lo sapevano, ma non era stato trasmesso in televisione. Quindi hanno potuto mentire. Ora non possono mentire. Questo è un genocidio israeliano, occidentale, europeo, americano. Perché è importante dirlo? Perché attribuisce la responsabilità alla società, alla società civile, ai sindacati, alle persone, ai movimenti di base, ai movimenti per la giustizia e così via, affinché facciano qualcosa per porre fine a quel regime.
In vent’anni, perciò, il movimento BDS ha ottenuto risultati notevoli in termini di boicottaggi accademici, culturali e sportivi, disinvestimenti da aziende e banche coinvolte nei 77 anni di colonialismo e apartheid israeliani. Il boicottaggio economico e il disinvestimento hanno iniziato ad avere un impatto su molte aziende coinvolte.
Inoltre, ciò che abbiamo visto durante il genocidio è l’inizio di un impatto sugli Stati. Questo è un elemento piuttosto nuovo. Prima del genocidio, il BDS operava nella società civile, nelle università, nella sfera culturale e basta. Avevamo un impatto molto limitato sugli Stati. Solo per fare un esempio concreto, prima del genocidio nessun paese appoggiava l’embargo militare contro Israele. Nessuno. Oggi sono almeno 52. Almeno 52 Stati chiedono ufficialmente un embargo militare contro Israele. Fra questi, alcuni Paesi europei. La Slovenia è stata la prima; il Primo ministro spagnolo si è impegnato in tal senso. Non ha ancora promulgato un embargo militare, ma si è impegnato a farlo. La Norvegia e l’Irlanda si stanno muovendo in questa direzione. Malta potrebbe farlo. Quindi abbiamo già alcuni Paesi europei, in particolare la Spagna, che è uno dei principali Paesi europei, che si stanno muovendo in questa direzione. Il movimento BDS ha svolto un ruolo indispensabile nel portarci a questo punto. Naturalmente, è stato il genocidio a scatenare un’accelerazione. Ma la tragedia da sola non basta a determinare una politica migliore. È il potere che determina la politica. È il potere del popolo. Si può spazzare via un popolo dalla faccia della Terra e nessuno reagirà, a meno che non si abbia il potere di costringerli a reagire. Se torniamo indietro di 500 anni, al colonialismo europeo, vediamo che solo quando si ha potere, il potere del popolo, il potere intersezionale, il potere della coalizione, si può far agire i politici. È allora che si incanala l’energia della solidarietà dalla tragedia in corso, dalla rabbia, dolore e senso di colpa verso una solidarietà reale che ha un impatto sulle persone al potere. Questa è la teoria del cambiamento. Costruire il potere dal basso verso l’alto per influenzare il cambiamento politico. Non è soltanto a causa del genocidio che ora il primo ministro spagnolo prende una serie di posizioni. Se non ci fosse stato il Movimento, il primo ministro spagnolo non avrebbe sostenuto un embargo militare. Pedro Sánchez è molto intelligente e si rende conto che la maggioranza assoluta dei suoi elettori è favorevole al BDS. Lui lo capisce.
Persino Giorgia Meloni potrebbe riflettere, a seguito di questo sciopero generale.
C’è un esempio che può essere molto utile per voi in Italia in questo momento. Sulla Spagna, ho sentito dire da molti italiani: “La Spagna ha un partito socialista in coalizione con la sinistra radicale. Non possiamo paragonarela all’Italia, qui abbiamo i fascisti che governano il Paese”. Ok, allora prendiamo qualcosa di comparabile. I Paesi Bassi. Hanno un governo di estrema destra molto simile a quello italiano. Solo che sono molto compromessi ideologicamente con Israele, a differenza dell’Italia. L’Italia non ha alcun impegno ideologico nei confronti di Israele. I Paesi Bassi invece hanno una lunga storia di sionismo. Un forte impegno nei confronti del sionismo. Ma la situazione è cambiata radicalmente. Oggi nei Paesi Bassi, tre quarti della popolazione sono contrari al genocidio e chiedono l’embargo militare. E moltissimi lo sostengono: nei campus, nei centri culturali, tra il pubblico. Abbiamo visto tutti a L’Aia, la manifestazione della “linea rossa”: 150mila persone hanno manifestato contro il genocidio, per i Paesi Bassi è un evento storico.
Ora nei Paesi Bassi, il governo di estrema destra sta proponendo sanzioni europee contro Israele. Stanno proponendo di escludere Israele da Horizon – il programma Ue per il finanziamento della ricerca accademica e industriale dentro e fuori l’Ue, ndr –. Quindi da voi italiani non possiamo accettare la scusa: “Abbiamo un governo fascista”. E allora? Fascisti o no, i politici capiscono il potere. Se mostriamo loro il potere, rispetteranno i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale. Possiamo costringerli se progettiamo il potere. Ecco l’importanza di questo sciopero oggi. È progettare il potere del popolo”.
A proposito del programma Horizon, voi del movimento BDS spesso richiamate l’attenzione sul ruolo delle Università nella complicità con il genocidio. A che punto siamo su questo?
Sono contento che me l’abbia chiesto, perché in questi due anni le Università sono state tra gli spazi più radicali in cui è avvenuto il cambiamento. Le Università e Hollywood. Hollywood forse era la cosa meno prevedibile. Ancora meno prevedibile del vostro sciopero generale. Ci aspettavamo in realtà che l’Italia si muovesse prima di Hollywood, ma Hollywood si è mossa prima dell’Italia. Ma parliamo delle Università. Prima del genocidio, una sola università al mondo aveva tagliato i ponti con Israele: l’Università di Johannesburg, nel 2011. Dal genocidio a oggi, decine di università hanno tagliato i ponti con Israele, soprattutto in Europa: in Spagna, Belgio, Irlanda, Norvegia, tra le altre. In Italia, non posso dire che ci sia un’università che lo abbia fatto, ma alcuni dipartimenti sì. Gli accademici italiani stanno davvero lavorando molto su questo, e BDS Italia si sta impegnando molto per promuovere questa causa. Non ci siamo ancora, ma potremmo vedere alcuni successi anche tra le Università italiane prossimamente. Siamo consapevoli che il contesto non è dei più semplici: intimidazioni, prepotenze e repressione da parte del governo e dei media sono costanti. I vostri cosiddetti “media mainstream” non sono neanche media. Sono spazzatura. Uso raramente questo termine, ma voglio dire questo: sono un difensore dei diritti umani da 43 anni. Ho avuto a che fare con tutti i media del mondo, dal New York Times a Fox News, alla BBC, ai peggiori e più razzisti e anti-palestinesi media possibili. Difficile trovare qualcosa di peggio della BBC e del New York Times in verità, ma almeno possiedono un certo livello di professionalità, che tra i vostri cosiddetti media mainstream non esiste affatto. È davvero spazzatura, e sono felice di dichiararlo pubblicamente. La maggior parte dei media mainstream in Italia non sono media. Sono spazzatura propagandistica.
Sembra che anche sul fronte sportivo il BDS stia facendo progressi. Qualcuno dice che potremmo anche trovarci di fronte alla decisione storica di escludere Israele dai Mondiali. Pensa che questo possa accadere?
Dubito che la FIFA agirà mai in questo modo. Ma noi stiamo spingendo in questa direzione. Lo stiamo facendo da molti anni. Abbiamo partner in tutto il mondo che si concentrano proprio sull’esclusione di Israele dal mondo dello sport, proprio come da quello accademico e culturale. Abbiamo un’intera rete che lavora sullo sport. Ora stiamo ottenendo più successo nel ciclismo. In Spagna abbiamo visto le decine di migliaia di sostenitori del BDS scendere in strada e bloccare la Vuelta. La cosa significativa è che il governo spagnolo li ha sostenuti. Di fronte al blocco, non ha chiesto la repressione dei manifestanti bensì l’esclusione di Israele. Qualcosa da cui il governo italiano dovrebbe imparare. Ha detto che erano dalla parte giusta della storia e che stavano manifestando in modo non violento per fermare un genocidio. Che forse la soluzione è escludere Israele, così come è stato escluso il Sudafrica, come è stata esclusa la Russia. E non c’è paragone tra i crimini della Russia e quelli di Israele. La Russia ha occupato parte dell’Ucraina solo nel 2022. Israele è un regime di colonialismo e apartheid che dura da 77 anni. E gli europei non hanno mai approvato sanzioni contro Israele. Neanche una nella storia. Quindi l’ipocrisia europea è ora lo zimbello del mondo. Quando i funzionari europei e persino le ONG girano il mondo pontificando e dandoci lezioni sui diritti umani, la gente ride di loro. Smettete con la vostra ipocrisia coloniale. Non siete nella posizione di darci lezioni sui diritti umani. Guardatevi allo specchio. Siete colpevoli di complicità nel genocidio. Non c’è niente di peggio. Gli europei sono esperti in genocidio. 500 anni di colonialismo, genocidio e schiavitù fino all’Olocausto.
Il mondo del calcio si alimenta moltissimo della partecipazione dal basso: ultras, club, tifosi comuni. Pensa che la loro iniziativa potrebbe produrre un cambiamento?
Senza dubbio sì. Quando abbiamo iniziato la campagna per espellere Israele dalla FIFA, non c’era alcun Stato che la sostenesse. Erano solo alcuni gruppi di ultras, di club in Irlanda, in Gran Bretagna, in Spagna, in Italia. Molti gruppi ma nessuno Stato. Ora ci sono l’Occidente, l’Associazione calcistica asiatica, l’Associazione calcistica dell’Asia occidentale che chiedono l’espulsione di Israele. Molti Paesi, non solo la regione araba. Anche la Spagna ora chiede l’espulsione di Israele e minaccia di non partecipare ai prossimi mondiali. Anche i Paesi Bassi, con un governo di tendenza fascista, proprio come l’Italia, molto filo-USA, molto NATO. Eppure hanno detto che Israele dovrebbe essere escluso dall’Eurovision, la televisione olandese ha detto che con Israele in gara, si ritireranno da Eurovision. Sono ancora scioccato del fatto che l’abbiano detto. Voglio dire: me lo posso aspettare dalla Spagna, dall’Irlanda, ovviamente. La Norvegia, forse la Finlandia, forse la Slovenia. Ma i Paesi Bassi! Questo è il frutto della pressione dal basso. Come può un governo di destra chiedere l’espulsione di Israele da Horizon e dall’Eurovision? Come? È grazie a una pressione pubblica enorme. E può succedere anche in Italia.
Per quanto riguarda i media mainstream e la loro complicità con l’hasbara, la propaganda israeliana: a volte sembra che gli israeliani non stiano nemmeno più cercando di nascondere le loro bugie; cercano solo di riprodurrle il più possibile. Ma, come giornalisti, la nostra posizione è piuttosto complicata, perché si può essere tentati – e penso che questo sia uno dei punti più deboli dei movimenti di sinistra qui – di contrastare la loro propaganda con un’altra propaganda. Noi giornalisti però non esistiamo per fare propaganda. Dovremmo raccontare la verità. Qual è lo spazio per il vero giornalismo in queste lotte?
Sono contento che me lo abbia chiesto. Nel sito web del BDS in inglese, abbiamo prodotto sette linee guida per un giornalismo etico che copre la Palestina. Il movimento BDS e il Sindacato dei giornalisti palestinesi hanno lavorato insieme allo sviluppo di sette brevi indicazioni su come fare giornalismo etico sulla Palestina, in armonia con gli standard internazionali. Non abbiamo inventato nulla, abbiamo esaminato tutti gli standard giornalistici a livello globale, tutti gli accordi firmati da 150 Paesi diversi. Abbiamo fatto ricerche e da lì abbiamo sviluppato una indicazione su come i giornalisti potessero parlare di Palestina in modo etico, rimanendo professionali. Perché non vogliamo che i giornalisti facciano i politici, non vogliamo che facciano gli attivisti, vogliamo che facciano il loro lavoro, che è il giornalismo. Quindi non mentire, non diffondere informazioni esagerate. Dire solo la verità e, quando lo si fa, riflettere sulla propria posizione e riflettere se si sta danneggiando o meno coloro di cui si parla. Faccio solo un esempio, scioccante: un fotografo che ha ripreso un bambino in Etiopia che stava morendo di fame e c’era un avvoltoio che aspettava che morisse per mangiarselo. E questo fotografo era lì, e invece di salvare il bambino ha scattato la foto. Allora, dove finisce il giornalismo? E l’umanità? È come se salvare quel bambino fosse più importante della tua maledetta foto (l’autore di questo scatto fu premiato con il Pulitzer e pochi mesi dopo il premio si suicidò, ndr). Questo ti dà un’idea di cosa intendiamo per giornalismo etico. I giornalisti dovrebbero essere giornalisti. Ma molti in Italia non lavorano come giornalisti. Sono agenti di propaganda pagati da Israele, dal governo fascista di estrema destra in Israele, non in Italia.
Questo lavorare ogni giorno per gli interessi di Israele lo vediamo molto anche nella presenza diretta della comunità sionista nella politica. Qui a Roma, dove abbiamo un sindaco che dovrebbe essere di centro-sinistra, il Comune non è ancora riuscito a promuovere nessuna reale iniziativa di solidarietà con il popolo palestinese, a causa della pressione diretta della comunità sionista, che è rappresentata anche nello stesso consiglio comunale. La pressione di tanti cittadini finora non ha funzionato.
Non è un fenomeno unico dell’Italia, anzi, il vostro è uno dei Paesi dove la comunità sionista è più ridotta, a prescindere dalla sua influenza politica e mediatica, la quale è significativa e di questo sono consapevole. Ma guardate la Francia, guardate la Gran Bretagna, voglio dire, l’influenza sionista è enorme lì. Come possiamo ottenere un cambiamento? Anche nei comuni, o nei sindacati, la gente fa pressione per tradurre lo schieramento in potere politico. Prendiamo ad esempio il Regno Unito. Non è un paragone equo con l’Italia perché il Regno Unito è la sede del più grande movimento di solidarietà con la Palestina. Il più grande e organizzato. Tutti i sindacati britannici sono affiliati alla Palestine Solidarity Campaign. Da quelli grandi con 1 o 2 milioni di iscritti, fino ai più piccoli, sono tutti affiliati. Cosa fanno loro? Quando ci sono le elezion, inviano a tutti gli iscritti alla loro mailing list, circa 100mila persone, una sorta di questionario per i politici che si candidano in Parlamento. Dicono: “Fai queste tre domande ai candidati al Parlamento nella tua sezione, e decidi se votarli o meno in base alle loro risposte”. E le domande riguardano tutte la posizione di questi candidati sull’embargo militare di Israele. I parlamentari si sentono sempre obbligati a rispondere e sanno che le loro chance di vincere il seggio dipendono anche da quello.
Una simile iniziativa causerebbe un certo scandalo in Italia, ma non sarebbe impossibile da attuare anche qui.
La democrazia britannica è più solida di quella italiana. Ma si potrebbe provare, ad esempio in una città come Bologna, con una lunga storia di sinistra che ancora, in qualche modo, persiste.
Parlando di Regno Unito, cosa pensa della recente iniziativa di riconoscimento dello Stato di Palestina?
Penso che non significhi nulla. Che senso ha riconoscere uno Stato in astratto, mentre si è ancora complici della distruzione del popolo palestinese. Che cos’è uno Stato senza il suo popolo? La Gran Bretagna, l’Australia, il Canada e la Francia sono tutti complici di genocidio. Non solo di complicità con l’apartheid e l’occupazione ma con il genocidio. Sono le loro armi, i loro voti e la protezione di Israele dalle sanzioni a consentirlo. Riconoscere lo Stato è solo un camuffare la realtà per nascondere la loro complicità nel crimine e placare l’opinione pubblica. Sanno che quest’ultima ha cambiato opinione riguardo alla Palestina e vogliono compiacerla. Starmer in Gran Bretagna guida un governo cosiddetto laburista che è estremamente razzista, anti-palestinese, colonialista e complice del genocidio. Quando saremo in grado, Starmer dovrà finire alle sbarre della Corte dell’Aia per la sua complicità nei crimini. A ottobre 2023 mentre Israele tagliava l’elettricità, l’acqua e il cibo ai palestinesi, Starmer difendeva queste azioni. Ed è un avvocato internazionale. Non è un contabile o uno che non conosce la legge. È un avvocato. È un esperto di diritto internazionale. Eppure ha difeso un atto di genocidio.
Da quando il movimento BDS è nato fino ad oggi, il mondo è cambiato parecchio. E per esempio, oggi assistiamo all’organica complicità delle grandi aziende tecnologiche con il genocidio. Parlando di boicottaggio, forse queste sono le aziende che è più difficile boicottare, per la presa che hanno sulla nostra esistenza quotidiana e la dipendenza che abbiamo sviluppato nei loro confronti. Come possiamo iniziare a lasciare Google fuori dalle nostre vite?
Questa è una domanda molto profonda e complessa, perché è esattamente la radice del problema. La affronterò prendendola un po’ larga.
Gaza sta mettendo a nudo i limiti della cosiddetta democrazia liberale. Sta rivelando alle persone del cosiddetto Occidente democratico che hanno vissuto nell’illusione. Un Paese come l’Italia per esempio non si può definire una democrazia. I governanti italiani non rappresentano il popolo italiano sotto molti aspetti. Sono le grandi aziende, le grandi banche e i grandi interessi a controllare molti di questi governi. Sono gli oligarchi, sia negli Stati Uniti sia in Italia. Non sono governi che parlano a nome del popolo. Gaza sta mettendo in luce tutto questo, perché le maschere sono cadute, ed è un buon momento per i sindacati per rendersi conto che hanno perso molto del loro potere con il neoliberismo, l’austerità e così via. Non si tratta solo dei palestinesi. Tutti siamo stati indeboliti per molti, molti anni. Abbiamo perso gran parte del nostro potere come cittadini, come sindacati, associazioni. E ora Gaza ci sta rivelando tutto questo come mai prima d’ora. Non solo in Italia, che è una quasi democrazia, ma anche in Stati più democratici come la Norvegia, la Svezia, la Finlandia, la Danimarca. Sono stato in tutti questi Paesi e le persone si chiedono: cosa è successo alla nostra società? In Svezia, quando gli studenti stavano occupando pacificamente un’università, è arrivata la polizia con i cani da combattimento. Questo ha scioccato moltissime persone in Svezia.
Quindi la domanda apre un punto molto importante. Le grandi aziende tecnologiche, militari, le grandi banche dominano il mondo, specialmente l’Occidente, che è diventato del tutto dipendente dagli Stati Uniti. Trump detta legge e Meloni, o Starmer, rispondono: “Sissignore”. Dove troverà l’Italia 800 miliardi di dollari per le armi? È quello che hanno promesso agli Stati Uniti, e lo preleveranno tutto dai sussidi sociali.
Affinché le persone accettassero tutto questo hanno colonizzato le menti. La gente è diventata compiacente. Guardano al sud del mondo e dicono: almeno noi abbiamo una vita migliore. Abbiamo un’istruzione e una sanità migliori. Va bene, abbiamo perso qualcosa, ma viviamo meglio. Che fine hanno fatto le azioni ribelli che un tempo avvenivano in tutta Europa? Che fine hanno fatto? Le menti delle persone sono state gradualmente colonizzate affinché accettassero questo nuovo strapotere da parte delle aziende tecnologiche, delle aziende produttrici di armi e del dollaro americano. Così quando Trump, il dittatore del mondo, dice: “Voglio un pezzo d’Europa, la Groenlandia”, riceve risposte timide. Persino dalla Danimarca. Quindi cosa possiamo aspettarci da META e così via? Dominano. Il mio punto è che le persone devono decolonizzare le loro società. Non solo per la Palestina, ma per loro stesse. Abbiamo bisogno di social media diversi, abbiamo bisogno di banche diverse, più etiche. Di respingere la militarizzazione. Investire nelle scuole e nei servizi sanitari, nei posti di lavoro e nell’energia verde, non nelle armi americane. Lo stesso vale per la tecnologia. Serve l’ingegno per iniziare a praticare alcune distanze e decolonizzarsi.
C’è un certo grado di comfort in questa vita che molte persone non ammetterebbero mai di amare, ma di cui non riescono a fare a meno.
Ma sta svanendo. Questo è il punto. Gradualmente. A poco a poco, ci stanno colonizzando la mente per farci accettare di avere sempre meno, finché non avremo perso tutta la volontà di resistere. Le big tech americane controllano le nostre vite. Amazon, Google, Microsoft, è vero che apparentemente non possiamo vivere senza di loro. Ma perché non avviare movimenti intersezionali per una tecnologia più etica, un sistema bancario più etico?
Quello che lei sta sollevando è il problema principale, e dobbiamo vederlo come tale perché dobbiamo collaborare a risolverlo. Nessuno può farlo da solo. Quando ero a Napoli, discutevamo con alcune persone di come Airbnb e Booking abbiano colonizzato l’industria del turismo. I più grandi centri turistici del mondo sono colonizzati dalle aziende tecnologiche. Un operatore mi ha detto: “Non posso lasciare Booking. Se mi cancello, sono fuori dal mercato e chiudo”. Da qui dovremmo iniziare. Dal non lasciarlo solo. Perché non unire fra loro tutte le piccole imprese italiane che lavorano nel settore dell’ospitalità, bed and breakfast, ristoranti? Potrebbero pensare alla formazione di una rete di realtà che fa pressione su Booking. E, parallelamente, si potrebbe iniziare a lavorare con accademici, con tecnologi, e pensare ad alternative tecnologiche ed etiche a marchi come Airbnb o Booking.
Quando sei il proprietario di un ristorante o di un appartamento, se provi a combattere Booking in solitudine, ti distruggeranno. Ma se hai una rete in tutta Italia, ti ascolteranno. Si tratterebbe di formare una sorta di sindacato: perché perché sono stati inventati i sindacati? Perché i lavoratori da soli non hanno potere, quindi avevano bisogno di un potere collettivo. Questa è l’idea geniale del sindacalismo. È lo stesso anche con il BDS. Abbiamo bisogno di potere collettivo. Non di azioni individuali. Ecco perché i boicottaggi devono essere collettivi e quelle reti devono essere collettive. È così che otteniamo il potere. Senza quello, non abbiamo nulla. Loro non capiscono l’etica, non capiscono il diritto internazionale. Abbiamo bisogno di potere.
[…] dalla “devastazione che si è dispiegata davanti agli occhi del mondo”. ( https://bocchescucite.org/difendere-la-dignita-e-la-presenza-del-popolo-di-gaza/ ) Mai così espliciti e rinunciando…
Grazie per il vostro coraggio Perché ci aiutate a capire. Fate sentire la voce di chi non ha voce e…
Vorrei sapere dove sarà l'incontro a Bologna ore 17, grazie
Parteciperò alla conferenza stampa presso la Fondazione Basso il 19 Mercoledì 19 febbraio. G. Grenga
Riprendo la preghiera di Michel Sabbah: "Signore...riconduci tutti all'umanità, alla giustizia e all'amore."