Tutti i fronti di Israele

Articolo pubblicato originariamente sulla rassegna stampa di Internazionale a cura di Francesca Gnetti

Foto di copertina: Damasco, in Siria, il 1 aprile 2024. (Firas Makdesi, Reuters/Contrasto)

Mentre sullo sfondo i negoziati tra Israele e Hamas per arrivare a un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza vanno faticosamente avanti al Cairo, in Egitto, negli ultimi giorni Tel Aviv ha preso una serie di iniziative e compiuto attacchi che rischiano di inasprire le tensioni e allargare il conflitto. Intanto cresce la pressione interna sul governo di Benjamin Netanyahu, con migliaia di persone scese in strada nel fine settimana a Gerusalemme e Tel Aviv per protestare contro la gestione dell’offensiva militare nella Striscia di Gaza.

Di seguito una rassegna degli ultimi sviluppi, che approfondiamo con analisi e commenti nel prossimo numero di Internazionale, disponibile online da domani e in edicola dal 5 aprile.

Attacco all’Iran
Un raid attribuito a Israele ha preso di mira il 1 aprile la sezione consolare dell’ambasciata iraniana nella capitale siriana Damasco, uccidendo tredici persone, tra cui sette Guardiani della rivoluzione, l’esercito ideologico dell’Iran. Due vittime – Mohammad Reza Zahedi e Mohammad Hadi Haji Rahimi – erano alti ufficiali della Forza Quds, l’unità d’élite del corpo dei Guardiani della rivoluzione che opera al di fuori dei confini nazionali. In particolare Zahedi è il militare di più alto rango ucciso dal 3 gennaio 2020, quando un drone statunitense prese di mira in Iraq il generale Qassem Soleimani, capo della Forza Quds.

Gli osservatori si chiedono quale potrà essere la reazione di Teheran, che ha subìto un duro colpo e per di più in una sede diplomatica. Secondo il giornalista di Haaretz Amos Harel, questo “potrebbe essere lo sviluppo più pericoloso sul fronte nord da quando è cominciata la guerra quasi sei mesi fa” e porta “a un nuovo culmine” lo scontro tra Israele da una parte e Iran ed Hezbollah, la milizia libanese sostenuta da Teheran, dall’altra. Harel sottolinea che l’attacco mostra l’intenzione di Tel Aviv di far pagare un prezzo sempre più alto a Hezbollah, con cui da mesi si scambia colpi alla sua frontiera settentrionale, che finora hanno causato la morte di più di trecento persone. La domanda è se la milizia e i suoi sostenitori a Teheran decideranno di reagire alzando il livello dello scontro, conclude Harel: “Questo potrebbe accorciare la strada verso la guerra”.

Operatori umanitari uccisi
Sette impiegati dell’ong statunitense World central kitchen (Wck), che consegna aiuti alimentari agli abitanti della Striscia di Gaza, sono rimasti uccisi il 1 aprile in un bombardamento israeliano. Le vittime erano tre britannici, un polacco, un’australiana, un palestinese e un cittadino con la doppia cittadinanza statunitense e canadese. L’ong, che ha annunciato la sospensione delle attività, era impegnata nell’invio di aiuti via mare da Cipro grazie a un molo temporaneo costruito nella Striscia di Gaza. Un primo carico era stato consegnato a metà marzo.

Un’indagine del quotidiano israeliano Haaretz ha ricostruito l’accaduto. Nella notte del 1 aprile tre automobili, con il logo dell’ong visibile sul tetto e sulle portiere, stavano scortando un camion carico di aiuti in un magazzino a Deir al Balah, nel centro della Striscia di Gaza. Ma i militari israeliani responsabili della sicurezza della strada hanno individuato nel convoglio un uomo armato, sospettato di essere un terrorista. Dopo aver raggiunto il magazzino, le tre auto sono ripartite (l’uomo armato sarebbe rimasto all’interno della struttura), percorrendo una strada concordata con l’esercito israeliano. A quel punto è stato dato l’ordine di colpire una prima macchina. I passeggeri si sono rifugiati nella seconda e hanno avvertito i responsabili di essere stati attaccati. La macchina è avanzata di qualche metro ed è stata centrata da un altro missile. Le persone a bordo dell’ultima auto stavano trasportando i sopravvissuti al suo interno quando sono stati colpiti da un terzo missile.

Soraya Ali, portavoce di Save the children, ha detto al New York Times che la notizia dell’attacco è “un incubo diventato realtà” e conferma che Gaza “è il posto più pericoloso al mondo per essere un operatore umanitario”. Michael Capponi, fondatore di Global empowerment mission, un’ong che distribuisce tende e materiale sanitario agli abitanti della Striscia, conferma che “tutti si sentono in pericolo ora” e che devono esserci maggiori garanzie per le organizzazioni attive sul territorio.

Devastazione all’ospedale
Il 1 aprile l’esercito israeliano si è ritirato dal complesso medico di Al Shifa, a ovest della città di Gaza, lasciando dietro di sé un’enorme distruzione e centinaia di cadaveri all’interno dell’ospedale e nei dintorni, dopo un assedio durato circa due settimane. Le autorità della Striscia di Gaza hanno riferito che sono stati trovati circa trecento corpi, tra cui persone con mani e piedi legati. Secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza, l’esercito israeliano ha ucciso circa quattrocento palestinesi nell’ospedale e nelle case circostanti, e ha commesso “crimini contro l’umanità”.

The New Arab racconta che non appena l’esercito ha annunciato il suo ritiro, gli abitanti si sono precipitati ad Al Shifa per aiutare a recuperare i corpi delle vittime e cercare le persone ancora vive e bloccate dentro l’ospedale. Decine di corpi decomposti erano sparsi ovunque, alcuni travolti dai carri armati israeliani, altri con segni di un’esecuzione a sangue freddo. Nessun reparto dell’ospedale è rimasto operativo, la struttura è completamente fuori servizio, ha annunciato il ministero della sanità palestinese.

Proteste contro il governo
Dal 31 marzo, per almeno quattro giorni, migliaia di israeliani hanno protestato a Tel Aviv e a Gerusalemme, davanti al parlamento e alla casa di Netanyahu, per chiedere le dimissioni del governo, le elezioni anticipate e un accordo “immediato” per la liberazione dei 134 ostaggi nelle mani dei miliziani di Hamas dal 7 ottobre 2023. Dopo essere scesi in piazza tutti i sabati, i manifestanti antigovernativi si sono uniti alle famiglie degli ostaggi per esprimere il loro scontento verso l’operato del governo. Il 2 aprile la polizia ha disperso i manifestanti con la forza e ha arrestato cinque persone.

Secondo il Times of Israel si tratta della più grande protesta dagli attacchi di Hamas nel sud d’Israele. Il quotidiano israeliano racconta anche che un gruppo di attivisti ha protestato nel quartiere ultraortodosso di Mea Shearim, a Gerusalemme, per chiedere la fine dell’esenzione dal servizio militare per questa comunità. Il governo di Netanyahu non è riuscito a mettersi d’accordo sull’estensione di una legge che esclude gli ultraortodossi dal servizio militare, scaduta il 1 aprile. La corte suprema ha ordinato al governo di sospendere i sussidi speciali a sostegno degli studenti della comunità che non hanno risposto alla leva.

La legge contro Al Jazeera
Il parlamento israeliano ha approvato il 1 aprile una legge che dà al governo il potere di bloccare “temporaneamente” le emittenti straniere considerate un rischio per la sicurezza nazionale. La misura sarà in vigore per un periodo di 45 giorni e potrà essere rinnovata. Netanyahu ha annunciato che “agirà immediatamente” per chiudere gli uffici locali di Al Jazeera. Per anni i funzionari di Tel Aviv hanno accusato l’emittente del Qatar di avere pregiudizi antisraeliani e le loro critiche sono aumentate dopo il 7 ottobre.

Al Jazeera ha respinto quelle che definisce “calunnie” e ha ritenuto Netanyahu responsabile di “incitamento” all’odio e di mettere a repentaglio la sicurezza del suo personale in tutto il mondo. Il Committee to protect journalists, un’organizzazione statunitense che monitora la libertà di stampa nel mondo, ha scritto che la legge “pone una minaccia significativa ai mezzi d’informazione internazionali” e “contribuisce a un clima di autocensura e all’ostilità nei confronti della stampa, una tendenza che è aumentata dall’inizio della guerra” tra Israele e Hamas.

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