Articolo pubblicato originariamente su Novara Media. Traduzione a cura della redazione di Bocche Scucite
Di Tayab Ali
Mentre Israele porta avanti una campagna implacabile contro i palestinesi di Gaza, della Cisgiordania e di Israele vero e proprio, segnata da gravi violazioni del diritto internazionale, i suoi alleati e sostenitori militari hanno reindirizzato le loro critiche verso Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati (TPO) dal 1967. Invece di intraprendere azioni significative per ritenere Israele responsabile, essi – più recentemente l’ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite – sono ricorsi ad attaccare un funzionario dell’ONU – una tattica che professa preoccupazione per la responsabilità” mentre permette a Israele di eluderla.
Le affermazioni secondo cui il ruolo di Albanese rappresenterebbe un’ingiusta attenzione nei confronti di Israele mancano di sostanza. Albanese è l’ottava persona a ricoprire questa posizione, istituita dalle Nazioni Unite nel 1993. Insieme ad altri 12 relatori specifici per paese – tra cui Bielorussia, Myanmar, Repubblica Centrafricana e Iran – il ruolo è stato creato perché l’occupazione dei territori palestinesi è una crisi internazionale di lunghissima durata (che risale, come chiarisce il titolo della relatrice, almeno al 1967) con profonde implicazioni per i diritti umani all’interno e all’esterno della regione. Il fatto che tra i suoi colleghi dell’ONU, Albanese riceva di gran lunga il maggior numero di controlli è indicativo di questo, oltre che della sua particolare efficacia nel suo lavoro.
Da quando è stata nominata relatrice nel maggio 2022, Albanese è diventata ampiamente riconosciuta per il suo impegno incrollabile nel valutare le azioni militari di Israele a Gaza attraverso la lente del diritto internazionale umanitario, un settore in cui ha oltre due decenni di esperienza. Il suo mandato è un controllo vitale sul potere e sull’ingiustizia nei territori occupati, soprattutto se si considera la morsa che Israele esercita sulla copertura dei media stranieri. Esponendo i crescenti crimini di guerra di Israele e mettendo in luce la complicità di gran parte della comunità internazionale, Albanese ha rivelato l’ipocrisia di coloro che sostengono di sostenere lo stato di diritto. Di conseguenza, ha dovuto affrontare un fiume di critiche da parte di chi è determinato a screditare il suo lavoro, persone più interessate a mettere a tacere la sua voce che ad affrontare le violazioni dei diritti umani che porta alla luce.
Dal 7 ottobre, il ruolo di Albanese non è mai stato così importante. Più di 40.000 (secondo alcune stime, più di 180.000) gazawi, soprattutto donne e bambini, sono stati uccisi dagli attacchi israeliani contro la Striscia e le infrastrutture civili sono state cancellate. Giornalisti, medici e persino bambini sono considerati obiettivi legittimi da alcuni alti funzionari israeliani.
La posizione di relatore speciale è sempre stata una pietra miliare dell’impegno delle Nazioni Unite per la giustizia e la responsabilità, documentando le violazioni dei diritti umani in un determinato territorio o area tematica. Il mandato di Albanese non è diverso: il suo lavoro è fondato su un’analisi rigorosa e guidato dal diritto internazionale, con l’obiettivo di far luce su quella che oggi è riconosciuta dalla Corte penale internazionale come un’occupazione potenzialmente genocida.
Tuttavia, i critici di Albanese – principalmente lobbisti pro-Israele e funzionari statali desiderosi di proteggere il loro alleato dal controllo internazionale – continuano ad accusarla di parzialità e persino di antisemitismo. Queste accuse non servono ad altro che a distogliere l’attenzione dagli abusi su cui Albanese ha il compito di indagare e a chiudere qualsiasi discussione sostanziale sui diritti umani.
Ma la cosa forse più esasperante per i critici di Albanese è che, nonostante gli attacchi incessanti da parte di potenti attori, Albanese ha dimostrato una ferma determinazione nell’adempiere al suo mandato. Incarna l’essenza di un difensore dei diritti umani, agendo in modo imparziale e senza paura. Non sorprende, quindi, che Stati sempre più isolati per il loro sostegno alle azioni indifendibili di Israele – azioni che Albanese ha definito genocidio – ricorrano ad attaccare la sua persona piuttosto che affrontare le conclusioni legali che presenta.
Definendola in modo errato come di parte, anti-israeliana o addirittura antisemita, questi detrattori eludono le questioni centrali su cui Albanese sta indagando. I suoi rapporti descrivono dettagliatamente le dure realtà che i palestinesi devono affrontare, tra cui la costruzione di insediamenti, la distruzione di proprietà, l’espropriazione, l’annessione, l’apartheid e la discriminazione etnica – realtà che persistono sotto un’occupazione illegale da più di cinque decenni e che sono state recentemente dichiarate illegali dalla Corte internazionale di giustizia.
Lottando per trovare un punto d’appoggio nelle loro critiche alla Corte penale internazionale e alla Corte internazionale di giustizia – non da ultimo perché i loro membri includono legislatori israeliani – i difensori di Israele hanno scoperto che è molto più utile lanciare attacchi ad hominem contro un singolo funzionario delle Nazioni Unite.
Le critiche di Albanese sono rivolte alle azioni e alle politiche statali che violano il diritto internazionale, non agli individui in base alla loro appartenenza a un gruppo religioso. I suoi detrattori trascurano volutamente questa distinzione per minare la levatura morale di Albanese e screditare la sua opinione legale – e per estensione l’intero sistema del diritto internazionale umanitario.
La vigilanza sui diritti umani è fondamentale, soprattutto nelle regioni afflitte da violenze prolungate e sproporzionate, a maggior ragione quando uno Stato è stato recentemente giudicato dalla più alta corte del mondo come occupante illegittimo di un altro territorio e da un altro come possibile autore di un genocidio. In questo contesto, il lavoro di Francesca Albanese non è solo lecito ma indispensabile. Qualsiasi tentativo di far deragliare la sua missione con attacchi a sfondo politico è un affronto diretto ai valori fondamentali sostenuti dalle Nazioni Unite e dalla più ampia comunità internazionale.
Se gli Stati membri dell’ONU sostengono davvero i principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, devono sostenere fermamente Albanese, difendendola da coloro che cercano di minare il suo lavoro. Abbandonarla significherebbe rinunciare ai principi stessi su cui l’ONU è stata fondata. Ora più che mai, l’ONU e i suoi Stati membri devono agire con integrità e coraggio, sostenendo Albanese nella sua ricerca di giustizia e responsabilità.
Tayab Ali è direttore del Centro internazionale di giustizia per i palestinesi e socio e responsabile del settore diritto internazionale di Bindmans.
Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…