E’ sopravvissuto a 141 giorni di sciopero della fame in custodia israeliana. Giura di rifarlo se arrestato nuovamente

Articolo pubblicato originariamente su Haaretz e tradotto in italiano da Beniamino Rocchetto

Dopo aver condotto lo sciopero della fame più lungo di sempre di tutti i detenuti amministrativi palestinesi, Hisham Abu Hawash è stato trattenuto da Israele per più di un altro mese fino al suo rilascio dalla prigione lo scorso fine settimana.

Di Gideon Levy e Alex Levac

Ecco come appare il male israeliano: Anche dopo che un malato moribondo Hisham Abu Hawash ha concluso il suo sciopero della fame, che era durato 141 giorni in segno di protesta contro la sua detenzione amministrativa, Israele ha insistito per riportarlo nella sua cella fino al termine della sua pena detentiva senza processo. Lo scorso fine settimana, è stato finalmente rilasciato. Ma nonostante la felicità del ritorno a casa, è ancora lontano dall’essere la persona che era una volta. I suoi medici del Centro Medico Shamir, vicino a Rishon Letzion, dove ha trascorso gli ultimi giorni del suo digiuno, gli dissero che ci sarebbe voluto un anno e mezzo prima che il suo corpo si riprendesse. Per ora, parla debolmente, la sua camminata è esitante e il cibo che mangia è misurato. Il suo peso è già salito a 60 kg, mentre al culmine dello sciopero della fame, il più lungo di qualsiasi detenuto palestinese nella storia di Israele, era sceso a 38 kg. Abu Hawash ha rischiato di morire. Ma non ha desistito neanche per un momento. Dice che era determinato a essere rilasciato dalla detenzione amministrativa, o a morire.

Ha 40 anni, è sposato con Aisha; la coppia ha cinque figli, di cui la più piccola, una figlia, è nata circa un mese prima del suo arresto. La famiglia vive a Tabaqa, un sobborgo della città di Dura, a sud di Hebron. Quando siamo arrivati ​​lì, lunedì, l’allestimento per gli ospiti era stato appena smantellato e i manifesti appesi per celebrare il suo rilascio erano stati rimossi. Abu Hawash indossava una nuova tuta nera che gli era stata comprata in occasione del suo rilascio, adatta alla sua attuale taglia, e sandali. Era chiaramente provato non solo per la sua detenzione, ma anche per le centinaia di ospiti che gli hanno fatto visita durante i suoi primi giorni a casa. Lo sciopero della fame lo ha reso un eroe locale. La sua morte avrebbe potuto benissimo infiammare la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, quindi anche l’Egitto è stato coinvolto negli sforzi per salvarlo.

Abu Hawash è un caposquadra edile e un veterano della detenzione amministrativa. Fu arrestato per la prima volta nel 2004, durante la Seconda Intifada, e condannato a tre anni di reclusione, dopo la sua condanna per reati di sicurezza. Fino ad allora, le autorità non avevano affermato che appartenesse a nessuna organizzazione illegale. Quello fu il suo ultimo processo. Da allora Israele lo ha imprigionato altre tre volte, senza processarlo, sostenendo che è attivo nella Jihad islamica, senza offrire prove e senza un atto d’accusa. Nel 2008 ha scontato un anno di detenzione amministrativa; nel 2012 è stato nuovamente posto in detenzione amministrativa, che è stata prorogata ripetutamente, il tutto per 26 mesi consecutivi, durante i quali ha giurato che se mai fosse stato arrestato di nuovo senza processo, avrebbe intrapreso uno sciopero della fame.

Il 26 ottobre 2020, una forza militare israeliana è arrivata a casa sua nel cuore della notte e lo ha preso in custodia. Questa volta non è stato nemmeno interrogato. In breve tempo ha scoperto di essere stato posto di nuovo in detenzione amministrativa. Inizialmente il termine era fissato a sei mesi, e già allora aveva deciso di intraprendere uno sciopero della fame ad un certo punto. Abu Hawash era preoccupato che la sua pena detentiva sarebbe stata prolungata più e più volte, arbitrariamente, come era successo la volta precedente. Al termine dei sei mesi, infatti, è stato condannato ad altri sei mesi di reclusione.

È stato il 17 agosto 2021, circa nove mesi dopo essere stato arrestato per la prima volta, che ha iniziato lo sciopero della fame. Pochi giorni prima aveva restituito alcuni dei pasti serviti in carcere, reato per il quale era stato punito con l’isolamento per una settimana; fu anche multato di 450 shekel (126 euro) e gli è stato proibito di fare acquisti nella mensa del carcere. Ha aspettato il giorno in cui mancavano 70 giorni allo scadere della sua seconda pena detentiva, quindi ha iniziato lo sciopero. Era certo di poter resistere per 70 giorni e così evitare l’apparente interminabilità della sua detenzione.

Ha detto ad alcuni dei suoi amici della prigione del suo piano; alcuni hanno cercato di dissuaderlo, altri lo hanno incoraggiato. Sua moglie, che gli fece visita due giorni prima che iniziasse il digiuno, lo implorò anche lei di non fare il passo estremo. Gli rispose che non poteva fare come lei chiedeva, e lei gli disse che rispettava la sua decisione. Abu Hawash ha anche inviato un messaggio al servizio di sicurezza dello Shin Bet tramite le autorità carcerarie, in cui chiedeva di essere rilasciato dalla detenzione amministrativa e affermava che, in caso contrario, avrebbe deciso di avviare uno sciopero della fame a tempo indeterminato.

Le autorità carcerarie confiscarono immediatamente tutti i suoi effetti personali, compresi spazzolino da denti, sapone, asciugamano e vestiti. Fu posto in totale isolamento, con le finestre della cella coperte. Giaceva su un sottile materasso di plastica, senza cuscino e con una sottile coperta. La cella era illuminata 24 ore al giorno. Dopo 24 ore, le guardie hanno cercato di convincerlo a desistere, tra vaghe promesse che lo avrebbero aiutato a liberarlo. Abu Hawash non ha mai considerato di obbedire. Le guardie gli proibirono di pulire la sua cella e si rifiutarono di dargli una scopa. La sua cella cominciò a puzzare terribilmente.

Durante i primi quattro giorni, ricorda, provò un’intensa fame. Beveva quanta più acqua poteva, circa quattro litri al giorno, rifiutandosi di accettare qualsiasi additivo come minerali e vitamine, che avrebbero migliorato le sue condizioni. Il sedicesimo giorno fu mandato per la prima volta all’infermeria del carcere, per essere esaminato e pesato. Al momento del suo arresto pesava 78 kg, ed era ingrassato deliberatamente, arrivando a 89 kg, per preparare il suo corpo al digiuno. Entro il sedicesimo giorno, era sceso a 68 kg e alla fine pesava 38,6 kg. Erano passati due giorni dall’annullamento dello sciopero, sebbene non fosse ancora stato in grado di riprendere a mangiare.

Il sessantesimo giorno è stato il più difficile di tutti: la tensione era troppa per il suo cuore, il suo polso era estremamente irregolare, oscillando da 15 a 250 battiti al minuto. È stato ricoverato nel Centro Medico della prigione, presso la struttura carceraria di Ramle. Dopo un mese di ricovero, con il peggioramento delle sue condizioni, è stato portato al vicino Centro Medico Shamir, ma quando ha rifiutato di assumere qualsiasi farmaco, fu trasferito di nuovo a Ramle tre giorni dopo. Dopo di che è stato riportato in ospedale ogni giorno, ma senza miglioramenti. I viaggi sono stati estremamente stressanti. Secondo Abu Hawash, il direttore della struttura di Ramle gli disse: “Morirai qui”.

L’ottantacinquesimo giorno è stato riportato al Centro Medico Shamir. Il novantesimo giorno, ha iniziato a perdere la sensibilità alle gambe. Questo è successo dopo pochi giorni durante i quali non era stato in grado di stare in piedi. Dopo il centesimo giorno, cadde in uno stato di incoscienza. Ricorda molto poco di quello che è successo in quel momento e dice che si sentiva vivo solo cinque minuti al giorno. Ogni mezz’ora un’infermiera entrava nella sua stanza e gli dava dell’acqua da sorseggiare. Anche quello era ormai difficile. Ha rifiutato categoricamente di ricevere una trasfusione di sangue.

Il 120° giorno, un ufficiale del servizio penitenziario israeliano è arrivato e gli ha detto che era stato deciso di sospendere la sua detenzione, il che significa che molte delle restrizioni erano state revocate fino a quando non avesse iniziato a riprendersi. “O finisci lo sciopero o morirai”, ha detto l’ufficiale. Le tre guardie che per tutto quel tempo non si erano mai mosse dal suo capezzale se ne andarono, gli furono tolte le manette e a sua moglie fu permesso di rimanere. Le fotografie pubblicate di Anu Hawash in quel momento non erano di facile visione. Sembrava stesse morendo. Era incosciente la maggior parte del tempo. Non ha riconosciuto suo fratello minore, Imad, 37 anni, un attivista per i diritti umani, quando è venuto a trovarlo. Un medico disse a Imad che “era in fin di vita”.

Il corpo di Abu Hawash era rimpicciolito, il viso avvizzito, gli occhi vitrei. Uno dei medici ha cercato di convincere sua moglie ad aggiungere vitamine all’acqua che beveva e quando lei glielo disse si infuriò; pensava che stesse agendo contro la volontà di lui. Dopo di che ha bevuto solo da bottiglie d’acqua sigillate. In un breve video del 130° giorno, lo si sente gemere debolmente, in uno stato di totale incoscienza.

Prima di intraprendere lo sciopero della fame, Abu Hawash aveva letto di altri casi simili e notevoli in passato. Lesse di un americano che si perse nel deserto e non mangiò per 89 giorni e, naturalmente, degli scioperanti della fame dell’IRA in una prigione dell’Irlanda del Nord che morirono in una tempo relativamente breve, dopo che le autorità avevano compiuto sforzi per alimentarli forzatamente. Anche in Israele diversi prigionieri palestinesi sono morti in circostanze simili negli anni ’70, ’80 e ’90. I prigionieri irlandesi non bevevano acqua, ma Abu Hawash decise che avrebbe bevuto per prolungare lo sciopero e non morire. “Nessuno fa lo sciopero della fame per morire”, dice. “Una persona intraprende uno sciopero della fame per liberarsi”. Ha anche sentito parlare del prigioniero palestinese Shadi Abu Aker, che ha perso la vista a causa del digiuno, terminato lo scorso novembre. Abu Hawash doveva resistere per 70 giorni; non avrebbe mai immaginato che la sua protesta sarebbe durata il doppio.

Ciononostante era determinato, dice, a morire o ad essere rilasciato. La sofferenza della sua famiglia non ha influenzato la sua decisione. A un certo punto, cominciò a sentire che stava scivolando via. Nel frattempo, la sua detenzione amministrativa è stata prorogata per altri sei mesi. A seguito di un ricorso del suo avvocato, il tribunale l’ha ridotta a quattro mesi. Ha rifiutato di desistere dallo sciopero della fame fino a quando non ha ricevuto la promessa che una volta terminato la pena, la sua reclusione non sarebbe stata più prorogata. Dal centesimo giorno, dice, era certo che ogni giorno sarebbe stato l’ultimo.

Un giorno, dice ora, aprì gli occhi e vide il suo avvocato, Jawad Boulos nella sua stanza. Informò Abu Hawash che, sulla scia dell’intervento egiziano, era stato raggiunto un accordo con lo Shin Bet: la sua detenzione amministrativa non sarebbe stata nuovamente prorogata. Ora racconta che, poiché la sua mente era così annebbiata, Boulos impiegò circa un’ora per spiegarglielo. Israele si è impegnato a rilasciarlo il 26 febbraio 2022. È stato liberato due giorni prima, il 24, giovedì scorso, a causa del fine settimana. Ha trascorso altri 49 giorni in prigione dopo aver terminato lo sciopero della fame.

Rimase in ospedale per i primi 15 giorni dopo la fine dello sciopero, sorseggiando ogni giorno qualche cucchiaino di tè freddo, servitogli dalla moglie. Dopo 12 giorni è passato a qualche cucchiaio di yogurt. Il suo tratto digestivo fermo da mesi ha ripreso a funzionare molto lentamente. Anche adesso può mangiare solo cibi leggeri, anche se ha ripreso a fumare; il suo corpo è ancora dolorante e ha difficoltà a dormire. È stato trasferito alla prigione di Ramle prima ancora che potesse alzarsi in piedi. Un altro prigioniero è stato trasferito nella sua cella, per assisterlo.

Rifarebbe tutto di nuovo? “Se vengo arrestato di nuovo senza essere processato”, dichiara, “inizierò un altro sciopero della fame”.

Giovedì scorso è stato lasciato al posto di blocco di Meitar, Hebron. Un centinaio di persone lo stavano aspettando dall’altra parte. I primi ad abbracciarlo furono i bambini.

Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.

Alex Levac è diventato fotografo esclusivo per il quotidiano Hadashot nel 1983 e dal 1993 è fotografo esclusivo per il quotidiano israeliano Haaretz. Nel 1984, una fotografia scattata durante il dirottamento di un autobus di Tel Aviv smentì il resoconto ufficiale degli eventi e portò a uno scandalo di lunga data noto come affare Kav 300. Levac ha partecipato a numerose mostre, tra cui indiani amazzonici, tenutesi presso l’Università della California, Berkeley; la Biennale israeliana di fotografia Ein Harod; e il Museo di Israele a Gerusalemme. Ha pubblicato cinque libri.

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